Quello che voleva Essere di Carol Swain | Recensione

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Durante la mia infanzia, ho trascorso diverse giornate presso la cascina dove abitavano i miei nonni. Seppur mio nonno non facesse più da tempo l’agricoltore e l’allevatore, teneva comunque degli animali, cani, gatti, galline, pulcini, e alle volte anche dei maiali. Ricordo che gli chiedevo spesso di portarmi a vederli: agli occhi di un bambino cresciuto in città, era ogni volta una sorpresa. Questi ricordi sono riaffiorati alla mia memoria leggendo Quello che voleva essere, libro scritto dall’autrice inglese Carol Swain, di recente pubblicato nel nostro paese da Tunuè.

quello che voleva essere

La protagonista è proprio una bambina, Helen, traferitasi da poco in campagna con i suoi genitori, che passa le sue giornate annotando su un quaderno tutto ciò che vede, dalle abitudini degli uccelli, ai dettagli della vita di campagna. Proprio durante una di queste sua “indagini”, la piccola viene a conoscenza del suicidio di un uccello raro, Emrys, un uccello senza piume e che non sapeva nemmeno volare. Seppur sia ancora piccola, Helen sa bene che c’è qualcosa di più dietro tutto questo: la sua curiosità la spingerà a ripercorrere le orme di questo Emrys, andando sempre più a scoprire qualcosa di più su questo personaggio, ma arrivando anche a far fronte alla cruda realtà della vita stessa.

Effettivamente, leggendo una sinossi del genere, io stesso sono rimasto colpito, addirittura dubbioso riguardo al tipo di lettura che si va ad intraprendere. Eppure, per quanto questa possa risultare semplice e complessa allo stesso tempo, sfogliando le pagine, ci si ritrova sempre di più immersi nella vita di Helen e nelle sue esperienze, anche le più quotidiane e banali. Non a caso, Carol Swain, autrice di fumetti da tantissimi anni, il cui talento è stato riconosciuto persino da Alan Moore, negli anni si è affermata come una delle migliori fumettiste inglesi. Sebbene questo sia il primo titolo della Swain ad arrivare nel nostro paese, ci si accorge fin da subito dell’effettivo fondamento di questi riconoscimenti.

quello che voleva essere

Le pagine scorrono in fretta, i dialoghi sono pochi, eppure, sempre lentamente, veniamo presi per mano ed immersi nelle campagne gallesi che Helen visita, soffermandoci su ogni scorcio. Procedendo con questo ritmo, scandito dalla divisione serrata delle vignette più classica che esista, comprendiamo sempre di più la bambina, ancora piena di quell’ingenuità e capacità di sorprendersi che noi adulti ci ritroviamo spesso ad invidiare. Attraverso il suo sguardo limpido e anche grazie alle note che riempiono il suo taccuino, la vediamo letteralmente investigare sulla vita dello scomparso Emrys, la cui esistenza e le motivazioni che lo hanno spinto a compiere un gesto tanto estremo, ci saranno, forse, sempre più chiare. Attorno a lei, passano uomini ed animali: a conti fatti, Helen sembra interagire molto di più con i cani e il montone di Emrys, piuttosto che con i propri genitori. Animali che, aiutando la piccola detective, mostrano caratteristiche proprie della nostra specie. La sensazione è proprio quella di sentire la storia entrare sotto la nostra pelle, e questo non sarebbe stato possibile senza anche lo stile della Swain. Insieme alla griglia 9×9, la fumettista illustra le sue pagine quasi con freddezza, sfruttando uno stile addirittura sgraziato, spigoloso, che è riuscito addirittura mettermi a disagio. Merito anche del fatto che le pagine siano state realizzate interamente a matita.

Quello che voleva essere è un’autentica sorpresa, un fumetto in grado di entrare dentro il cuore dei lettori, di restituirgli la capacità di sorprendersi di quando si era bambini, ma al contempo riuscendo anche ad affrontare problematiche sociali importanti, sopratutto per il nostro presente.