L’inizio dell’anno ha coinciso con la premiazione di due film biografici, o per meglio dire ispirati ad eventi realmente accaduti, ovvero Bohemian Rhapsody e First Man. Uscire in sala dopo le storie delle vite di due colossi come Freddie Mercury e Neil Armstrong deve fare paura se stai presentando quella del semi sconosciuto artista Mark Hogancamp, eppure non ci potrebbe essere stato debutto più adatto per un film dove il sentimento di paura, del sentirsi troppo piccoli e deboli è al centro della storia.
Scritto e diretto dal registra premio Oscar Robert Zemeckis (Ritorno al Futuro, Forrest Gump, Cast Away), prodotto dalla Universal Pictures e con Steve Carell come protagonista, Benvenuti a Marwen inizia con lo schianto di un aereo nei pressi della piccola cittadina di Marwen, nella belgio della seconda guerra mondiale. Sopravvissuto all’impatto, il capitano Hogie cerca un luogo dove poter ripararsi, ma viene sorpreso ed aggredito da un gruppo di nazisti. Prima che però i tedeschi possano ucciderlo, Hogie viene soccorso da un gruppo di donne, che uccidono i nazisti e si presentano come le donne di Marwen. In quel momento però scopriamo che il film non è ambientato nel 1940, ma ai giorni nostri e che quanto abbiamo visto è solo l’immaginazione del protagonista: Mark Hogancamp, un artista affetto da disturbo post traumatico e dalla perdita totale di memoria riscontrati in seguito ad un terribile pestaggio subito da parte di un gruppo di suprematisti bianchi. In seguito all’attacco Mark ha dovuto smettere di illustrare fumetti, scegliendo come attività di ripiego quella di costruire delle storie attraverso le foto delle sue bambole. Il film quindi si divide così in due parti: quella che segue la distrutta vita di Mark e il suo barcamenarsi per andare avanti e quella che racconta le vicende del piccolo paesino per bambole di Marwen, utilizzato da Mark come rifugio mentale e metodo per elaborare il tremendo assalto ricevuto.
Benvenuti a Marwen è una storia particolare e data la sua natura il film non pretende di proporci scene d’azione incredibili o effetti speciali fantastici (per quanto l’animazione delle bambole sia di fatto ottima) questo può far storcere il naso in alcune scene ad alcuni, ma questa probabilmente é stata una scelta voluta dal regista (di sicuro anche per ridurre i costi) atta a sottolineare i “ limiti” della immaginazione del protagonista. Quello che risulta invece di primissimo piano è sul piano recitativo del protagonista: Steve Carell riesce completamente nella difficile impresa di mostrare un personaggio così fragile e tormentato come lo è Mark Hogancamp, non esattamente l’archetipo più facile con cui lo spettatore possa empatizzare. La regia risulta molto story-driven, in un modo simile a quanto fatto da Chazelle con First Man: c’è ma fa apposta a non farsi notare per non distogliere lo spettatore dalla trama, ma quando serve si palesa in brevi ma ben studiati barlumi.
Passiamo quindi al tratto più importante di questo film: la sceneggiatura e la storia. Benvenuti a Marwen é un film fatto davvero con il cuore e si sente una grandissima sensibilità al suo interno, sia per la questione umana che tratta, sia per il genuino calore dei personaggi coinvolti. Una volta che si capisce che ogni avventura delle bambole di Mark é in realtà una sua rielaborazione di quello che prova, di quello che spera, il film scorre molto rapido, e si ride o si sorride alle punchlines che le bambole dicono (Mark prima di perdere la memoria era un disegnatore di fumetti) e la natura del film permette questa dimensione molto grottesca e didascalica. Tuttavia per quanto giustificata non vuol dire che tutti gli spettatori possano ritrovarsi ad apprezzare questo approccio, specie quando il trailer del film suggerisce tutt’altro mood che quello della pellicola effettiva.
Benvenuti a Marwen non é un film per tutti, anzi. Di sicuro non è un film per chi pensa di vedere una allegoria della seconda guerra mondiale con i pupazzi. No, per niente. Il film é un drammatico bello tosto, davvero struggente una volta colta la fragilità del protagonista. Vero è un film con elementi action, che però non fanno diminuire il progressivo nodo alla gola dello spettatore, ma al contrario lo alimentano, rendendo sempre più reale il distacco della realtà che il protagonista sta vivendo. Altra elemento particolarmente bello del film è il messaggio che lancia: il diritto di essere deboli e la forza unica che acquisiscono tali individui, oltre che dimostrare ancora una volta che l’arte più le fai del male, più lei diventa forte.