Il post-apocalittico legato al racconto di famiglie vende sempre bene, come dimostrano Bird Box o A Quiet Place. Nel primo, la sopravvivenza di una madre e dei suoi figli richiedeva l’uso di bende sugli occhi. Nel secondo, dipendeva dalla loro capacità di non produrre rumore. In questo film invece tutto dipende da delle grosse corde ancestrali…
La nuova pellicola di Alexandre Aja, uno dei talenti del cinema horror francese, giunto al successo con il film Alta tensione (2003) seguito dal remake di Le colline hanno gli occhi (2006), non mancherà di scuotervi grazie ad un racconto che offre sorprendenti variazioni sul tema della sopravvivenza e delle dinamiche di famiglie disfunzionali. Il film si insinua sullo schermo come una fiaba oscura, avvolgendo il pubblico in un paesaggio forestale di rami contorti, corde lunghissime e pietre muschiose. Vengono citati i fratelli Grimm tanto quanto la Bibbia, mescolando metafore sui cordoni ombelicali e sull’origine del male con una trama drammatica incentrata sulla paura dell’ignoto e un rito di passaggio assai precoce.
Il film racconta di una madre (Halle Berry) che vive in una baita fatiscente in mezzo al nulla con i suoi due figli, Samuel (Anthony B. Jenkins) e Nolan (Percy Daggs IV). Tutti e tre devono rimanere sempre nella propria casa e possono uscire solamente se legati a una corda saldamente fissata alle fondamenta dell’abitazione, altrimenti il Male li può toccare e impadronirsi di loro. Quando il Male cominciò a diffondersi nel mondo, il nonno costruì la casa con un legno benedetto per proteggere la famiglia. Solo la mamma può vedere il male… finché uno dei figli inizia a dubitare.
Alexandre Aja dirige il primo e il secondo atto con la mano sicura di un regista horror di lunga data, enfatizzando l’umore e il ritmo. Mette in risalto gli interni in legno della baita, l’illuminazione naturale, lancia accenni alla vita prima della tragedia che ha scatenato un male amorfo nel mondo. Gradualmente, il regista aumenta la tensione fino al punto di rottura e oltre, stringendo inesorabilmente il cappio figurativo, in particolare lo spettro della fame e gli effetti debilitanti sui corpi e sulle menti dei protagonisti. La performance di Halle Berry riflette perfettamente tutto il pericolo che deriva da questa divisione. I due figli sempre devoti ora non sono più uniti. Con disinvoltura e credibilità l’attrice da vita a una donna allo stesso tempo protettiva e instabile, feroce e intransigente nell’applicazione delle regole, pronta a fare qualsiasi cosa per i suoi cari ma perseguitata da traumi passati con sfumature di religiosità. Lei ha visto il Male in azione. E continua a vedere i riflessi di quello che è successo. Parte del successo di Never let go è che per quasi tutto il film si pensa che la madre sia pazza, poi si comincia a dubitarne, per poi tornare a pensare che lo sia… insomma, il continuo cambio di narrazione lascia sempre bilico su cosa possa essere vero e cosa no, mettendo in costante dubbio le certezze di chi guarda.
Sul piano formale, Alexandre Aja sfrutta al meglio le sue scenografie, gioca col timore dell’ignoto utilizzando il montaggio e gli effetti sonori con risultati decisamente buoni per creare l’atmosfera desiderata. Nonostante l’indiscusso fascino del racconto e la riuscita interpretativa, Never let go solleva questioni affascinanti ma non scava mai in profondità, lasciando sempre a chi guarda decidere quale sia la verità sul Male che aleggia sui protagonisti. L’ambiguità e l’incertezza la fanno da padroni. Siamo persi nella foresta dei racconti horror o nei colpi di scena di un cervello malato? Allo spettatore decidere.
Lo spunto narrativo di Never Let Go è piuttosto interessante e si presta a diverse interpretazioni. Un horror principalmente giocato sul metaforico e simbolico, capace di trasmettere tensione e disagio. Un film più interessato a ciò che può evocare rispetto a ciò che può affermare o mostrare.
Never Let Go di Alexandre Aja è al cinema dal 26 settembre con Midnight Factory. Ecco il trailer italiano del film: