Walter Veltroni parla del successo dei manga: “Il passaggio dai valori dell’America a quelli dell’Asia”

0
Walter Veltroni

Il mondo dei fumetti e dei manga non è certo nuovo a “incursioni” da parte di elementi esterni: se, da un lato, fa sempre piacere che si parli della nostra passione preferita, dall’altro esiste sempre il timore che questa passione venga denigrata, o demonizzata o, peggio ancora, sfruttata per ricevere qualche like o far parlare di se. Non è questo il caso dell’articolo scritto da Walter Veltroni e pubblicato ieri su Corriere.it, ma c’è da dire che, nonostante le probabili buone intenzioni, il pezzo scritto dall’ex sindaco di Roma e segretario del Partito Democratico contiene tutta una serie di inesattezze e luoghi comuni, partendo dal mondo dei manga per arrivare ad una riflessione sull’influenza culturale e di valori proenienti dall’Asia: ecco, se sicuramente si tratta di una riflessione interessante (seppur lampante a chiunque non si sia svegliato oggi accorgendosi di quanto il mondo orientale sia ormai ben radicato in quello occidentale), Walter Veltroni fa alcuni collegamenti logici che nulla hanno a che vedere con il mondo dei manga e, tra le righe, seppur non apertamente, non lesina qualche condanna di troppo, legata decisamente ad una concezione che, nel 2021, riporta alla memoria le critiche degli anni ’80 e ’90, quando il fumetto giapponese veniva tacciato di violenza e pornografia.

“È un male, è un bene? Queste pubblicazioni hanno ovviamente una doppia caratteristica: si leggono, per noi occidentali, al contrario e i fumetti richiedono che si vada da destra a sinistra. Le storie sono sempre intrise di una violenza parossistica e perciò irreale ma c’è chi scorge, nella struttura narrativa, una critica ai modelli formativi giapponesi fondati esclusivamente sull’agonismo sociale e, in generale, una sollecitazione alla dimensione comunitaria come risposta alla società violenta che viene evocata e sublimata.”

Oltre a scoprire con una ventina d’anni di ritardo il senso di lettura dei fumetti giapponesi, Veltroni non lesina un banale “le storie sono sempre intrise di una violenza parossistica e perciò irreale”, come se i manga fossero TUTTI violenti. Dimenticando quindi prodotti appartenenti a generi e stili totalmente privi di violenza, non interessati a criticare i modelli formativi giapponesi e privi di qualsivoglia forma di eccesso e violenza. Diciamo che è come se un giornalista giapponese parlasse del cinema italiano dicendo che vengono prodotti solo cinepanettoni.

“È in fondo positivo che dei ragazzi varchino, spesso per la prima volta, la soglia di ingresso di una libreria. Cominceranno dai manga e forse — ma i librai dicono che già è così — scopriranno per questa via altre storie, altri testi, altri paesaggi. Ma questa considerazione sul fenomeno manga, in atto da tempo ma ora esploso, si salda alla registrazione del successo planetario della serie coreana Squid Game , un vero fenomeno, e alla passione per la musica K-pop. A Roma, a Campo de’ Fiori, i ragazzi si ritrovano la sera per bere Jimin Coffee, una bevanda ispirata a una omologa coreana, e ballare sulle note della musica di una boy band di quel Paese, i Bts. I quali, peraltro, cantano rigorosamente in inglese. Un loro brano, Dynamite, ha più di un miliardo di ascolti su Spotify. Un miliardo.”

In questo punto l’articolo entra nel vivo, ed inizia a traslare dall’analisi del fenomeno manga (che, stando a Veltroni, sta vivendo un boom di vendite: dato vero, ma non si tratta certo del periodo più florido per il fumetto giapponese in Italia, che ha visto numeri e successo ben maggiori ad inizio anni 2000 e che, semplicemente, continua a macinare ottimi numeri) per spostarsi su un’analisi “a tutto tondo” sui fenomeni culturali d’importazione asiatica, non potendosi esimere dal citare Squid Game, neanche fosse il prodotto di maggior successo della storia dell’intrattenimento asiatico (ma bisogna pur parlarne, visto il successo, per sembrare “sul pezzo”, no?), infilandoci, abbastanza a caso, un altro fenomeno pop come i BTS, boyband coreana sulla cresta dell’onda da un paio di anni anche in occidente. Della serie “leggi manga, guardi i k-drama, ascolti k-pop” (che poi, due su tre non hanno nulla a che vedere con i manga, ma tralasciamo): un po’ come se un lettore di comics Marvel, DC o Image ascoltasse per forza musica statunitense (o meglio, canadese) o guardasse serie TV nordamericane.

Fortunatamente, Walter Veltroni si spinge poi verso un territorio che decisamente gli appartiene di più, andando ad analizzare come “Nell’immaginario delle generazioni precedenti il riferimento principale erano gli Stati Uniti. I loro spazi, i loro linguaggi, la loro visione del mondo — conquista e opportunità — hanno informato sogni e riferimenti di generazioni che hanno associato quel mondo, con le sue icone, all’evoluzione della libertà individuale e collettiva.” Una discreta sviolinata al mondo a stelle e strisce, che serve ad introdurre l’argomento reale: le generazioni attuali guardano anche -quando non solamente- al mondo asiatico. E lo stesso Veltroni, pur fermandosi ad una posizione che più democristiana non si può, non giudicando se sia un bene o un male, guarda con flebile ma innegabile preoccupazione a questo fenomeno:

“Non dobbiamo aver paura del Vento d’Oriente. Né pensare a improbabili censure. D’altra parte la globalizzazione ha allargato i confini del conoscibile e ha fatto entrare altre culture a contatto con la nostra. Non è un male, se sapremo presidiare anche di fronte a creature occidentali, come i social, i valori fondamentali del nostro vivere civile: il pluralismo, il rispetto dell’altro da sé, il rifiuto della guerra e del terrorismo come strumento di regolazione dei conflitti. Il dubbio contro l’odio, il dialogo contro la violenza. Non è scontato che tutto questo sia certo, nel tempo di caos che viviamo.

Mai dare per scontata la libertà.

Non ho un giudizio definitivo sul fenomeno culturale in corso. Forse mi inquieta, ma non mi indigna.”

In sostanza, Walter Veltroni sfrutta i manga, Squid Game e i BTS (tre fenomeni non necessariamente correlati e non necessariamente seguiti dallo stesso genere di persone), inserendo qua e là qualche stoccatina educata ed edulcorata al loro mondo di provenienza, per dirci qualcosa che, chiunque non viva chiuso in una campana di vetro, sapeva da tempo: il mondo va avanti, il modello americano non è necessariamente più l’unico da seguire. Se ne è accorta l’economia, se ne è accorto il cinema, se ne è accorto anche lo sport: perchè se ne accorgesse la politica italiana, ovviamente in ritardo e con tutti i possibili errori concettuali del mondo, non poteva che servire ulteriore tempo.

“Non ho un giudizio definitivo sul fenomeno culturale in corso. Forse mi inquieta, ma non mi indigna” è un po’ quello che vorremmo dire noi su questo articolo.

 

Lascia un commento