Il quinto episodio della quarta stagione di Black Mirror, Metalhead, è sicuramente uno di quelli del quale è più difficile parlare, ed occorre decisamente partire con un preambolo: non è assolutamente vero, come spesso si sente, che con il passaggio a Netflix la serie creata da Charlie Brooker abbia in qualche modo perso la propria natura autoriale a favore di scelte più mainstream, anzi, Brooker, con il passaggio da 3 a 6 episodi ha avuto modo di sperimentare ancora di più e questo episodio, forse il più sperimentale di tutta la serie, ne è la dimostrazione.
Purtroppo, non sempre la sperimentazione porta a risultati positivi: questo Metalhead ha sicuramente dei punti estremamente positivi, come la regia sopraffina di David Slade, regista di 30 Giorni di Buio e Hard Candy, che tornerà nell’episodio interattivo Bandersnatch, la performance di Maxine Peake, che regge sostanzialmente tutto l’episodio e, come dicevamo, il tentativo di sperimentare, che ci porta ad un thriller con elementi action e survival, totalmente in bianco e nero, ambientato in un mondo post apocalittico. Il punto negativo che affossa decisamente Metalhead è la sceneggiatura, molto meno curata e approfondita rispetto agli standard della serie: ci troviamo, come detto, in un mondo post apocalittico, in cui Bella, Clark e Anthony devono recuperare un fantomatico oggetto da riportare all’accampamento per aiutare un bambino (o una bambina).
Arrivati nel magazzino dove si trova il bersaglio della ricerca, i tre vengono attaccati da un cane robot, facente parte di un’unità utilizzata precedentemente dall’esercito, ed ora indipendente e, sembrerebbe, intenzionata a vendicarsi dell’umanità. Anthony si sacrifica per permettere la fuga dei due compagni, venendo trafitto dalle scaglie di una granata a frammentazione lanciata dal cane, ma, siccome Bella è stata colpita da una delle scaglie metalliche lanciate dall’animale, e contenenti una sorta di sistema di tracciamento, il cane riesce a ritrovare i due, e questa volta a morire è Clark.
Bella, tra mille peripezie, riesce a giungere presso una casa, ma soprattutto, scopre uno dei punti deboli dei cani (il primo, ovvero il fatto che siano dotati di batteria, ci viene mostrato in una scena precedente): il visore radar dei cani, una sorta di radar in cui i bersagli appaiono come elementi di colore bianco, viene reso inutilizzabile dalla sopravvissuta lanciando della vernice bianca addosso al cane, rendendolo di fatto cieco. Una trovata brillante, che ci porta ad un altro dei difetti di scrittura di questo episodio: se da un lato Bella dimostra arguzia ed intelligenza nel trovare un metodo molto valido per evitare il cane, dall’altro, dopo averlo accecato, anziché scappare decide di voler sparare al cane con un fucile a pompa. Il cane rilascia la stessa granata a frammentazione che era costata la vita ad Anthony, colpendo Bella con alcune scaglie, una delle quali trafigge la giugulare della donna, portandola rapidamente alla morte. Decisamente un paradosso, e quindi un errore imputabile allo sceneggiatore, vedere una persona agire prima in maniera estremamente scaltra e, pochi istanti dopo, incaponirsi in un’azione tutto sommato inutile che le costerà la vita.
Il finale ci mostra tre scene diverse, riprese dall’alto: in una, vediamo i cani intorno alla casa dove si era rifugiata Bella; in un’altra, sempre i cani, raggruppati intorno alla zampa persa dal compagno; nella terza, scopriamo cosa contenesse il carico che i tre sopravvissuti avrebbero dovuto portare in salvo, ovvero un orsacchiotto di pezza, da donare al bambino per alleviare i suoi ultimi giorni.
La puntata, come sempre, prende spunto dalla tecnologia, in questo caso dai Big Dog di Boston Dynamics, e come sempre ci mostra che la tecnologia, anche la più perfetta, ha un difetto, un punto debole. Inoltre, Brooker ne approfitta per muovere nuovamente la propria critica proprio contro la tecnologia, in questo caso contro i sistemi di sicurezza, ma i lati positivi della sceneggiatura si fermano qui: è infatti la scrittura dell’episodio a vanificare la splendida regia e l’ottima prova di Maxine Peake.
I principali difetti della sceneggiatura sono sicuramente, oltre alla scrittura altalenante della protagonista, il troppo citazionismo dato che, esattamente come USS Callister citava costantemente Star Trek fino a sembrarne una parodia, anche Metalhead si perde in continue citazioni, provenienti soprattutto da altri episodi della stessa Black Mirror oltre che di film come Terminator. Inoltre, difetto ben maggiore, la componente action di questo episodio prende dal genere tutti i difetti: situazioni casuali, coincidenze assurde, una trama banale e basica, poco approfondita, a cui vanno aggiunte una totale assenza di background che spieghi come si sia creata la situazione post apocalittica, se ci sia qualcuno o meno dietro alle azioni dei cani meccanici, ed una tecnologia che, diversamente da quasi ogni altro episodio, viene semplicemente demonizzata, donandoci una puntata decisamente moralista.
D’altro canto abbiamo dei pregi decisamente innegabili: come già detto, Slade utilizza sapientemente un bianco e nero mai troppo accentuato in una direzione piuttosto che nell’altra, con una fotografia che trasmette tuta l’angoscia di cui è pervaso il mondo. Maxine Peake fornisce una prova decisamente convincente, pur se sceneggiata in maniera decisamente insoddisfacente. Il messaggio di umanità, di come gli esseri umani siano in grado di farsi forza ed unirsi per sopravvivere e per aiutarsi vicendevolmente in situazioni disperate, è decisamente positivo e rivaluta l’essere umano, che si dimostra in grado di tentare una missione suicida solo per portare un orsacchiotto di pezza ad un bambino sofferente.
Purtroppo, Metalhead è un episodio scritto forse troppo di fretta, che meritava più lavoro in fase di sceneggiatura, e che, tecnicamente, è probabilmente quello registicamente migliore di tutta la serie. Se paragonato al livello qualitativo a cui ci ha abituati Black Mirror, siamo di fronte decisamente ad una delusione, ed è un peccato che a deludere così tanto sia una delle puntate più coraggiose dal punto di vista della sperimentazione.
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