Nel 1998 in Giappone andava in onda per la prima volta Cowboy Bebop, anime diretto da Shin’ichirō Watanabe e scritto da Hajime Yatate. La serie sarebbe arrivata solo un anno e mezzo più tardi in Italia su MTV, canale all’epoca di riferimento per la trasmissione degli anime. Ma che fosse il 1998 o i mesi a cavallo tra il 1999 e il 2000, poco importava: quel prodotto era destinato a fare la storia e lasciare il segno, ovunque. Così è stato, perché Cowboy Bebop è letteralmente un’icona dell’animazione giapponese, perché l’opera riesce ad essere un melting pot vincente di elementi diversi e quasi contrastanti tra di loro, che però nella storia raccontata da Studio Sunrise trovano legami tra di loro. Ecco dunque che l’ironia si fonde alla perfezione con la malinconia, l’azione con la riflessività, la solitudine con il concetto di famiglia. Insomma, la serie è entrata e continua ad entrare nel cuore di tutti quanti i suoi spettatori, che rimangono folgorati da un’avventura che narra di cuore, di soldi e di vendetta, ma lo fa ambientando il tutto nell’insolito scenario dello spazio infinito.
Quando poi nel 2017 è arrivato l’annuncio da parte di Netflix della messa in cantiere di un adattamento in live-action, i dubbi sono stati – verrebbe da dire, in maniera lecita – tantissimi. Com’era possibile trasporre con attori in carne e ossa quella storia così semplice ma al tempo stesso così sopra le righe? Com’era possibile rendere giustizia a personaggi che passavano nel giro di qualche secondo dall’essere delle macchiette all’essere soggetti con una profondità rara da vedere in un prodotto animato? Le critiche – queste, invece, ingiuste – arrivate a priori non hanno fatto desistere il colosso dello streaming che, esattamente come il Bebop, è andato avanti per la sua strada, fino a questo momento. Il momento dell’adattamento live-action di Cowboy Bebop.
Spike Spiegel (Jon Cho) è un cacciatore di taglie che vaga per lo spazio assieme a Jet Black (Mustafa Shakir) a bordo del Bebop con l’obiettivo di catturare criminali, consegnarli alla giustizia e incassare appunto i soldi messi in palio. Il cammino dei due cowboy si incrocia con quello di Faye Valentine (Daniella Pineda), cacciatrice di taglie dalla spiccata ironia e alla ricerca del suo passato. Proprio il passato è ciò che si ripresenterà alla porta di Spike, che nasconde diversi segreti ai suoi compagni di avventura. Nel frattempo, il Red Dragon e Vicious (Alex Hassell) agiscono nell’ombra per acquisire sempre più potere, mentre la bella ma misteriosa Julia (Elena Satine) sembra essere prigioniera in una vita che non sente più sua…
Prima di parlare della qualità dell’adattamento di Cowboy Bebop, vale la pena spendere qualche parola sul concetto stesso di “adattamento”, che è decisamente diverso da quello di “remake”. Non si tratta di un rifacimento, ma di una trasposizione degli elementi chiave e più caratteristici di un’opera, che vengono però rimaneggiati, rimodulati e perché no, anche reinterpretati per il medium che si sta prendendo in considerazione. Va da sé, dunque, che quando si fa un passaggio dall’animazione al live-action alcuni elementi devono per forza di cose cambiare. A maggior ragione se si passa anche da un anime di ventisei episodi usciti a fine Anni Novanta a cadenza settimanale ad una serie del 2021 composta da dieci puntate e pensata per il binge watching. Per questo motivo, chi si aspetta di vedere una riproduzione 1:1 dell’anime di Shin’ichirō Watanabe ma in live-action resterà deluso. Ma allo stesso modo sarebbe rimasto deluso in caso di remake pedissequo in stile Il Re Leone del 2019, perché quel Cowboy Bebop è stato pensato per essere e per restare un anime.
Per quelli che invece “accetteranno” questa situazione, si può dire che Cowboy Bebop è una gran bella serie. Un ottimo adattamento, che rende decisamente giustizia all’opera originale, senza dover necessariamente scadere nell’inutile fan-service che fa emozionare il fan accanito lì per lì per poi non lasciare niente di concreto al prodotto. Ecco, Cowboy Bebop è un adattamento intelligente: in fase di sceneggiatura Christopher Yost si è dimostrato sì un grande amante della serie originale, ma anche un suo esperto conoscitore, capendo su cosa dover puntare e su cosa dover lasciare da parte perché magari di scarso apporto in un racconto più serrato rispetto ai 26 episodi dell’anime. Ne nasce una storia che ripropone sì quei momenti di trama verticale che hanno probabilmente fatto la fortuna di Cowboy Bebop, ma vengono abbinati ad un nuovo fil rouge che sta nella trama orizzontale: decisamente sottile e accennata a singhiozzi – assolutamente per scelta – nell’anime, nella serie Netflix questa è costantemente presente, come un’ombra che segue i protagonisti per scoprire esser poi il collante di tutto il motore narrativo.
Sia chiaro, per chi ha già visto l’anime è lampante come questa impalcatura narrativa sia comunque stata attinta dalla serie del 1998: Yost non ha inventato quasi nulla, ha solo reso più palese determinate situazioni, andando come si diceva prima a rimescolare e reinterpretare alcuni momenti e personaggi. Questo per dare un po’ di ordine in più allo storytelling e, soprattutto, fornire un valido motivo per andare avanti a tutti quelli spettatori, che saranno sicuramente tanti, che arrivano a questa versione di Cowboy Bebop senza aver visto l’originale.
Nonostante questo grande acume della produzione nella parte della sceneggiatura, la più grande intelligenza sta nella messa in scena. Adattare pedissequamente l’anime non solo sarebbe stato impossibile, ma anche un errore. Ecco dunque che la produzione ha optato per la via del pulp e non poteva esserci scelta migliore. Nei dieci episodi di Cowboy Bebop ci sono tante scene sopra le righe, che risulterebbero quasi ridicole in altri contesti, ma nella serie è tutto perfettamente in linea con la storia che si sta raccontando. A livello registico le zoomate, i tagli e i dialoghi tra i personaggi sono tutti sferzanti e dinamici, dando alla serie una freschezza che, a onor del vero, nella prima puntata potrebbe sembrare quasi gelo. L’impatto, infatti, forse non è dei migliori, perché c’è tanto materiale e tanto pulp da buttare giù, in quello che ha più i connotati di un pilota che di un episodio in sinergia con i restanti nove (non a caso, è l’episodio in cui ci sono forse più easter egg al mondo di Cowboy Bebop, dal neon con la scritta “Watanabe” agli abiti della croupier che ricordano quelli originali di Faye). Quando però lo spettatore capisce con cosa ha a che fare, tutto l’impianto inizia a funzionare alla meraviglia.
Per assurdo, questo essere estremamente sopra le righe aiuta enormemente quella sospensione dell’incredulità fondamentale in un prodotto del genere. Non importa che ci siano momenti poco realistici o in cui i personaggi dicono o fanno cose opposte alla logica, perché ormai le regole sono chiare, grazie soprattutto ad un world building eccezionale, sicuramente supportato dall’iconicità della serie originale, certo. In tutto questo, a guadagnarne enormemente sono le scene d’azione, pulp fino al midollo: queste sequenze prendono a piene mani dal cinema di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, mostrandosi al pubblico quasi come esagerate e decisamente poco plausibili, ma anche qui il tutto è realizzato in maniera così magistrale che è impossibile storcere il naso. Purtroppo, c’è chiaramente da scendere a compromessi e alcuni scontri iconici dell’anime sono assenti o cambiati in maniera importante, ma ciò che conta è che tutto sia comunque coerente e utile a questo Cowboy Bebop. E così è.
Non si deve pensare, però, che quest’aura volontaria, e perfetta, da B-movie renda la serie una grande sfilza di gag e di momenti di scontri che hanno come unico obiettivo quello di fomentare lo spettatore. I momenti più lenti e più intimi e riflessivi di Cowboy Bebop sono presenti anche in questo adattamento di Netflix e sono assolutamente degni dell’anime originale. Questo perché, come detto in precedenza, la trama orizzontale è decisamente più corposa e questo permette di puntare sin da subito su topic narrativi come il passato di Spike, il rapporto con Julia e il dualismo con Vicious. Anche l’introduzione immediata di Faye aiuta in tal senso. Ma il vero collante di tutti questi momenti è probabilmente la novità assoluta della serie: Jet è qui un personaggio decisamente coerente – anche se anche lui risente di un avvio di serie un po’ troppo “troppo” – con la controparte animata ma è anche un uomo, nel vero senso della parola, con una profondità tutta nuova. Il lavoro fatto sul capitano del Bebop lo porta ad essere molto di più che questo, facendolo diventare un ottimo catalizzatore di dialoghi e di snodi narrativi che passano tutti attraverso di lui, con la sensazione che in sua assenza la serie avrebbe faticato non poco.
Questi momenti più seriosi sono poi supportati dello splendido lavoro di Yoko Kanno. La compositrice è tornata a bordo del Bebop per la serie Netflix e anche lei ha dimostrato che è possibile adattare un’opera mantenendone l’anima più vera e intima andando però a modificarsi e reinventarsi. Le musiche sono moderne, ma perfettamente in linea con ciò che era Cowboy Bebop ma anche con ciò che è oggi, nel 2021. In tal senso, l’esempio più cristallino di come la colonna sonora si sia rinnovata pur rimanendo fedele alla prima iterazione è l’utilizzo dell’opening. Se nel 1998 ogni puntata partiva con Tank! dei Seatbelts, nella serie live-action i titoli di testa vengono inseriti magari dopo qualche minuto, con la musica che parte quando ancora succedono cose a schermo o magari viene remixata con altre tracce. Sarà praticamente impossibile non accorgersi di questa novità mentre si guardano le puntate e la reazione sarà una di quelle che strappano il sorriso.
Se fino ad ora si è parlato di quanto questa serie sia qualitativamente eccelsa, bisogna anche dire quando lo show sia immenso. Si è detto di quanto gli scontri, tanto quelli corpo a corpo quanto quelli con armi da fuoco, siano concettualmente promossi, ma anche dal punto di vista della realizzazione è tutto praticamente perfetto. Ma il senso di grandezza di Cowboy Bebop lo si può toccare con mano quando si ammirano gli effetti speciali: già dai trailer c’era stata questa impressione, ma la serie conferma l’altissimo budget utilizzato per la CGI e i VFX. È vero, Netflix sta abituando sempre di più i suoi abbonati a situazioni del genere, ma è bello vedere come il budget, anche per un progetto “rischioso” come questo, venga utilizzato in maniera intelligente e oculata.
Fanalino di coda, ma non per importanza (anzi), è il cast. Senza dilungarsi nelle interpretazioni – tranne che per un’eccezione – che sono tutte generalmente buone, vale la pena spendere qualche parola sulle scelte operate da Netflix per gli attori. In molti, se non praticamente tutti, all’annuncio avevano criticato l’idea di assegnare il ruolo di Spike, che nell’anime è poco più che un vent’enne, a Jon Cho, attore che invece va per i cinquanta. Incredibile come invece difficilmente una scelta di casting si sia rivelata più azzeccata di questa, perché lo Spike Spiegel di Cho è praticamente perfetto in ogni suo aspetto: dall’interpretazione alla messa in scena, dall’abbigliamento iconico in versione live-action all’altrettanto iconica capigliatura del personaggio. La serie, o meglio la produzione ha confermato di conoscere in maniera pressoché perfetta l’anima di Cowboy Bebop: l’età di Spike non è un fattore fondante del cacciatore di taglie e poco importa che ad interpretarlo ci sia un vent’enne o un uomo di quasi cinquant’anni, perché l’importante è il cuore messo in fase di scrittura e interpretazione, e quel cuore c’è tutto.
Discorso analogo si può fare per Faye: Daniella Pineda fu aspramente criticata perché fisicamente c’entrava poco con la bella e slanciata ragazza che i fan hanno imparato ad amare nell’anime. Al di là del fatto che la Pineda sia comunque una donna molto bella, in Faye probabilmente si concentra ancor di più il succo del concetto di adattamento: questa versione della cacciatrice di taglie è libera da tutti quei cliché di donna in pericolo e alla costante ricerca di attenzioni da parte degli uomini della visti nell’anime, per lasciar spazio ad una donna forte, indipendente ma ugualmente malinconica e con le stesse fragilità della Valentine del 1998, seppur appunto rimodulati. La Pineda è veramente splendida in ogni scena e si gode ogni momento in cui può mettere in mostra tutte le sue abilità comiche e i suo tempi comici perfetti.. Buonissima anche la scelta di Mustafa Shakir per Jet Black, con l’attore che è perfettamente in grado di sobbarcarsi del ruolo che la serie gli cuce addosso e il suo personaggio è probabilmente il cuore pulsante della serie. Su Vicious e Julia è meglio non dire troppo, onde evitare di fare spoiler. Ciò che si può dire è che Cowboy Bebop riserva loro un posto speciale e decisamente inedito nella narrazione e Alex Hassell ed Elena Satine sono molto bravi nel trasmettere al pubblico questa nuova versione dei loro personaggi. Sì, Ein c’è e il Welsh Corgi è adorabile.
Cowboy Bebop è un adattamento, nel vero senso della parola, ed è uno di quelli ben fatti. La produzione ha dimostrato innanzitutto di avere un amore incondizionato per l’anime diretto da Shin’ichirō Watanabe e, soprattutto, di conoscerlo alla perfezione. Questo perché il Cowboy Bebop targato Netflix è un prodotto che per certi versi si discosta veramente tanto dal prodotto di partenza, ma riesce a mantenere sempre intatta e sempre al centro l’anima della storia di Spike, Jet e Faye. La scelta poi di dare una chiave di lettura decisamente pulp e quasi da B-Movie non fa che aumentare la profondità qualitativa di un prodotto che, seppur con un inizio un po’ troppo caotico a livello di richieste fatte allo spettatore, nell’arco di dieci puntate riesce a farsi adorare e amare, nei momenti più leggeri e d’azione e in quelli più intimi e gravi, permeati da quella malinconia caratteristica del titolo. Ottimi gli effetti speciali e ottime le scene d’azioni. Le musiche di Yoko Kanno, nemmeno a dirlo, sono magistrali e utilizzate con un’intelligenza fuori dal comune. Se il Cowboy Bebop del 1998 si presta ad ogni visione si presta ad una nuova lettura, l’adattamento live-action del 2021 è esso stesso una nuova lettura dell’opera: diversa sì, ma ugualmente con qualcosa da raccontare, in termini di trama verticale e, soprattutto, in termini di trama orizzontale.
Cowboy Bebop sarà disponibile su Netflix a partire da venerdì 19 novembre. Ecco il trailer ufficiale della serie: