[der Zweifel] Sam Peckinpah e la vendetta di Sergio Leone

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Sam Peckinpah

Visto che oggi è il suo compleanno, parliamo del grande regista americano Sam Peckinpah.

Di aneddoti strani e stravaganti il mondo del cinema, nazionale e non solo, ne è pieno. Direi stracolmo, stando alle ultime denunce fuoriuscite su Weinstein da parte di famose attrici hollywoodiane, che poi si sono sparse a macchia d’olio ricadendo sulla testa di ben altri personaggi dello spettacolo. Bisognerebbe aggiungere, tuttavia, che ciò che è accaduto, e che tuttora accade, rimane sempre una tema delicato e non sempre facile da prendere alla leggera. Quello di cui invece intendo parlare, sono proprio quelle curiosità stuzzichevoli che tutti noi abbiamo ricercato su internet almeno una volta nella vita. Per esempio, a chi non incuriosirebbe sapere che l’attore inglese Oliver Reed, il Proximo de “Il Gladiatore”, è morto d’infarto mentre stava giocando a braccio di ferro durante la lavorazione del colossal di Ridley Scott? Con un alto livello di alcol in corpo, tra l’altro. Un mito, su.

Oppure quando il regista William Friedkin ha schiaffeggiato l’attore che interpretava un prete nel film “L’esorcista” –tra l’altro un vero e proprio prete gesuita-, perché non riusciva a piangere. Una scena che sembra uscita direttamente da “Tropic Thunder”. E ancora, l’urlo straziante di Daniel Radcliffe in “Harry Potter e l’ordine della fenice”, quando il giovane mago vede morire l’amato Sirius Black: secondo la produzione, il grido di dolore lanciato da Radcliffe era così vero e struggente che decisero di tagliarlo per non spaventare troppo il pubblico.

Sinceramente io ci campo su queste cose. Un film potrà essere sensazionale e fantastico quanto vuoi, ma naturalmente, sono questi piccoli misteri fuori dal set e durante il periodo di produzione che accrescono la curiosità, l’adrenalina nel sapere, e che ci costringe a chiederne ancora. Ancora curiosità. Ancora e ancora.

Uno fra questi pettegolezzi da set cinematografico, di sicuro quello che più mi ha affascinato, è lo screzio che avvenne tra Sam Peckinpah e il nostrano e intramontabile Sergio Leone, durante le riprese di “Giù la testa”.

Peckinpah, già affermato regista di cult come “Il mucchio selvaggio” del 1969, “La ballata di Cable Hogue” 1970, “Cane di paglia”, e “Getaway”, nel 1971 fu chiamato da Sergio Leone che volle offrirgli un lavoro. La direzione del film “Giù la testa” con Rod Steiger e James Coburn come protagonisti. Il film non era iniziato con i migliori auspici. Leone voleva fermamente Eli Wallach, specie dopo la memorabile prova attoriale in “Il buono, il brutto e il cattivo”, in coppia con Malcolm Mcdowell, l’Alex di “Arancia Meccanica”. La produzione americana rifiutò, imponendo al regista italiano Rod Steiger nella parte di Juan Miranda e James Coburn in quella di John “Sean” Mallory. A movimentare ancora di più il carattere burbero di Leone fu lo storico scontro con Peckinpah.

Leone gli consegnò il lavoro nelle mani, offrendogli, oltre ad un cast ricco e un’attrezzatura di prim’ordine, la possibilità di accrescere maggiormente il proprio successo. Inoltre, il padre degli spaghetti western, voleva avere maggiore tempo per scrivere “C’era una volta in America”. E poi, se ti chiama Leone non è che ti chiama Gigi Er Bullo –Sergio Leone aveva scelto il regista americano perché rispettava il suo lavoro e ne era rimasto affascinato. Tuttavia, visto che quando un italiano s’incontra con un americano, statunitense, difficilmente i due vanno d’accordo, e anche in questo frangente la cosa si dimostrò veritiera. Peckinpah, non si sa per quale strana ragione, rifiutò la parte con l’insolenza di un bambino viziato. Leone, fuori dai gangheri e offeso nel profondo, prese in mano le redini del progetto dirigendo egli stesso il film.

(da sinistra) Rod Steiger, Sergio Leone e James Coburn sul set di “Giù la testa”

Un’opera che, a distanza di anni, rimane forse quella più combattuta e meno apprezzata di Leone, che durante la fase di lavorazione, si ritrovò più volte costretto a interrompere le riprese a causa di continui problemi, specialmente con gli attori.

Ma la lite tra i due registi non finisce qui. Sergio Leone ottenne la sua vendetta nel 1974 con il film “Il mio nome è nessuno” diretto da Tonino Valeri, con la supervisione dello stesso regista romano, e con Terence Hill e Henry Fonda. Nella scena in cui Hill legge a voce alta i nomi sulle tombe del cimitero, rimane chiaro e distinto il nome di uno dei defunti: Sam Peckinpah. Un giochino questo che fece rimbalzare il vulcanico temperamento di Leone nel firmamento dei feroci registi vendicativi, facendo accrescere ancora di più il mio amore e stima verso di lui. Fu il suo modo di vendicarsi e, per citare uno dei suoi film, il suo modo di vedere le cose.

Eppure, Leone da quell’astio con Peckinpah ne uscì vincitore una seconda volta. Quando nel 1984 uscì in tutte le sale l’ultimo capolavoro leoniano “C’era una volta in America”, Sam Peckinpah morì e le sue opere non riuscirono mai a prevalere su quelle dell’italiano. Più vittoria di così.