Com'è Harry Potter e La Maledizione dell'Erede?

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Sono passati diversi mesi dall’uscita del nuovo capitolo del mago più famoso (scusa Merlino) dell’era moderna, Harry Potter. L’hype che ruotava attorno al nuovo libro scritto da John Tiffany e Jack Thorne, con la supervisione di Joanne Kathleen Rowling, era molto alto per non dire altissimo, quasi ai livelli dell’uscita de “I doni della Morte”.
Perché tutta questa aspettativa? Perché si ritornava nel mondo di Hogwarts molto tempo dopo l’uscita dell’ultimo libro, perché il rischio di fare un “polpettone” seguendo semplicemente le orme dei 19 anni dopo poteva essere alto e perché quando c’è di mezzo la Rowling, dopo tutto quello che ha creato, ci si sente quasi in dovere di leggere con le pinze ogni singola frase di una sua opera. Iniziamo con il principio e nel far capire che Harry Potter e la Maledizione dell’Erede nasce come un’opera teatrale, unica forma possibile per raccontare questa vicenda secondo mamma Rowling, e quindi come libro si presenta in forma di sceneggiatura dove, oltre ai dialoghi, trovano spazio le soluzioni sceniche, ma non le approfondite descrizioni che avevano contribuito a rendere le atmosfere dei romanzi leggendarie, quindi la suddivisione è in atti e non capitoli. La lettura scorre quindi molto veloce -io che sono un lettore lento l’ho letto in due serate- anche se a volte in presenza di molti personaggi risulta non troppo agevole, per il bisogno continuo di capire chi parla e cosa sta succedendo.
Il plot e la storia ha degli alti e bassi con delle trovate già viste, vedi Ritorno al Futuro nelle vicende di Scorpius e Albus che viaggiano avanti indietro nel tempo causando strappi e conseguenze nel futuro e presente, ma anche delle situazioni molto interessanti da vivere. Il confronto con la monumentalità della saga purtroppo è impari visto lo spessore di trama dei precedenti sette capitoli, le medesime emozioni che provai nella lettura dell’intera saga difficilmente sono riproponibili. Forse il vero punto debole della Maledizione dell’Erede è che si tratta di una storia estremamente derivativa che cerca di infilare dentro sé stessa quanti più personaggi e situazioni che hanno fatto grande la saga di Harry Potter. Nonostante ciò lo sviluppo di alcuni personaggi come Albus e Scorpius (i relativi figli di Harry e Draco) risultano interessanti e anche l’introduzione di nuovi elementi sono scritturati bene. A dirla tutta proprio l’elemento Malfoy è quello risultato più vincente: un Draco ormai adulto, che ha passato vent’anni a venire a patti con il suo passato e quello dei suoi genitori, un mix tra rabbia e redenzione rendono la figura di Malfoy finalmente degna di nota con moltissime battute pregnanti e pungenti, ma la vera star è senza dubbio Scorpius. Il figlio di Draco – così come Albus – è un personaggio più moderno rispetto a come suonavano all’epoca delle loro avventure giovanili Harry, Ron ed Hermione, ma nonostante ciò lo rende fresco e molto interessante e soprattutto è l’amicizia che lega Scorpius ad Albus ad essere il punto di forza di questo ottavo capitolo, sentimento assolutamente pieno di forza e accentratore di tutta la vicenda. In pratica, ogni scena con Scorpius e Albus è migliore della precedente. Ovviamente come nella saga precedente in questo capitolo tornano i temi cardine della Rowling: la morte, l’amicizia, la responsabilità delle proprie azioni, la purezza dei sentimenti, la possibilità di imparare dai propri errori. La scrittrice cerca anche di gettare nuova luce sulle origini di Harry Potter, sulla sua condizione di orfano esiliato e sul fardello che le sue scelte, nel corso delle varie storie, gli hanno gettato sulle spalle, sul rapporto difficilissimo che Harry ha con il proprio figlio Albus, le difficoltà nel crescere un figlio con un nome (Albus Severus) così pesante ma soprattutto le difficoltà di essere padre. Dall’altra parte un Albus ribelle che fatica ad accettare il proprio cognome Potter all’interno di Hogwarts e proprio per questo stabilisce questa contrastata amicizia con il figlio di Malfoy.
In conclusione, Harry Potter e la Maledizione dell’Erede è un ottavo capitolo non molto riuscito, pieno di alti e bassi e con alcuni buchi di trama non di poco conto (non è opera principale di mamma Rowling difatti), ma presenta anche molte trovate interessanti ed un ottima caratterizzazione dei nuovi protagonisti e comunque alla fine dei giochi mi ha fatto piacere leggere questo libro, perché ho ritrovato la sensazione di tornare con vecchi amici a vivere storie che ci hanno fatto crescere e in fondo l’utilizzo di questo linguaggio teatrale lo rendo diverso dalla saga principale, molto diverso…troppo diverso! Da ciò che si legge in rete l’adattamente teatrale è davvero incredibile, ricco di effetti speciali e con attori di prim’ordine -e su questo non avevamo dubbi, ma sinceramente ci sentiamo di consigliare la lettura questo libro solo ai fan più accaniti del maghetto inglese perché l’incanto dura poco e, svanito il primo effetto della pozione magica, ci accorgiamo che, oltre a Harry, Ron e Hermione anche qualcun altro è cresciuto. E siamo proprio noi (compresa la Rowling stessa).


 

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