La Casa di Carta: Parte 3 – Questa volta è per la famiglia | Recensione

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La Casa di Carta

Il 19 luglio su Netflix ha debuttato, finalmente, la terza parte de La Casa di Carta, la serie evento creata da Alex Pina e diretta da Jesus Colmenar. La Casa di Carta è la serie Netflix, tra quelle non in lingua inglese, più vista sulla piattaforma di streaming ed il meritatissimo successo ha portato alla realizzazione di una terza stagione. Il budget c’era e le idee anche e, nonostante non fosse prevista e l’arco narrativo fosse arrivato alla sua naturale conclusione, il successo e il blasone della serie nel mondo era arrivati troppo in alto per fermarsi.

Prodotto nativo spagnolo, originario dal canale iberico Antena 3, la distribuzione da parte di Netflix su scala mondiale ha consacrato La Casa di Carta come uno dei prodotti di punta della piattaforma e una delle serie più seguita del momento. I fattori che hanno dato questa ampia visibilità sono davvero tanti, dalla sorprendente qualità che la contraddistingue alla grande iconicità dei personaggi che sono entrati subito nel cuore del pubblico. Il rischio di questa terza parte era davvero alto, in quanto, con una storia pressoché chiusa, non si sentiva la necessità di avere un nuovo arco narrativo, ma la scommessa è stata sicuramente vinta da parte di Netflix.

La Casa di Carta

Le prime due parti della serie, considerabili un’unica prima stagione, ci hanno presentato la banda creata dal Professore, con lo scopo di compiere un colpo alla Zecca di Stato, basandosi su un piano del padre dello stesso Professore. La seconda stagione inizia con questa terza parte, e continuerà con la quarta, prevista per il 2020. Dopo il colpo, la banda si è sciolta e si è sparpagliata per il mondo, a godersi la vita ed a nascondersi, visto lo status di notorietà di buona parte dei membri. La relativa quiete dei membri del gruppo viene rotta quando Tokyo, stanca della vita sull’isola deserta con Rio, decide di tornare nel mondo civilizzato, facendo si che i servizi segreti spagnoli riescano a  tracciare le telefonate dei due ed a localizzarli. Rio, da solo sull’isola deserta, viene catturato e consegnato ai servizi segreti spagnoli.

A questo punto, Tokyo contatta il Professore, e quest’ultimo decide di rimettere insieme la banda per salvare Rio, considerato, come ogni membro del gruppo, parte della famiglia.
Il salvataggio verrà messo in atto tramite un nuovo piano, questa volta molto più rischioso e complicato, congegnato dal Professore insieme a Berlino, che consiste nell’attacco alla Banca di Stato, con la banda che si è allargata, grazie ai nuovi membri Lisbona, Stoccolma, Bogotà, Marsiglia e Palermo. Mentre Lisbona e Stoccolma sono due volti che arrivano dalla prima stagione (Lisbona è il nome in codice preso dall’Ispettore Raquel Murillo, ora fidanzata del Professore, mentre Stoccolma è Mónica Gaztambide, amante di Arturo Román nella prima stagione e ora compagna di Denver), Bogotà, Marsiglia e Palermo sono tre personaggi nuovi.

Di questi tre nuovi membri, Marsiglia e Bogotà vengono sviluppati poco dal punto di vista della caratterizzazione, su tutti il primo, poiché non prende direttamente parte al colpo vero e proprio, mentre Palermo è quello che sicuramente ha maggior spazio, essendo di fatto il Berlino di questa stagione.

Esattamente come per la prima stagione, uno degli aspetti più importanti è la forte connotazione politica che ha sempre contraddistinto la serie. I ladrones della prima stagione sono sicuramente stati il simbolo di quella che è una resistenza sociale e, come moderni Robin Hood, hanno messo in scena il desiderio di rivalsa di molti, schiacciati da un economia controllata da un manipolo di ricchi.
In questa terza parte de La Casa di Carta sembra, già dalle prime battute, non aver ne dimenticato ne ignorato la sua natura politica, che anzi viene valorizzata, pur spostando il discorso politico da una protesta di stampo economico ad una poco velata critica alla violenza delle forze dell’ordine, colpevoli di utilizzare metodi che spesso arrivano molto vicini al concetto di tortura.

Anche dal punto di vista narrativo abbiamo un cambio di rotta: se nella prima stagione avevamo una partita a scacchi tra il Professore e l’ispettore Murillo, che voleva un confronto pacifico tra i rapinatori e le forze dell’ordine, in questa nuova stagione non c’è il minimo tentativo di evitare lo scontro diretto e gli spargimenti di sangue. Messa da parte quasi tutta la parte tattica vista nel primo piano, in questo caso il piano è mosso dal sentimento, dal senso di colpa di Tokyo per aver abbandonato Rio a quello del Professore per aver reso i membri della banda dei ricercati che non possono più vivere liberamente. Ne consegue una struttura narrativa molto più incentrata sull’azione che non sulla componente tattica del piano, con diverse sequenze che, per esagerazione, ricordano più la seconda parte della scorsa stagione che non la prima.

Per quanto riguarda le dinamiche della banda, in questa stagione ci sono molti più rapporti di coppia rispetto alla prima stagione (Professore-Raquel, Denver-Stoccolma, Tokyo-Rio), con tutti i problemi che possono arrecare al piano, con il Professore che non sa come gestire determinate situazioni, laddove nella prima stagione il piano risultava pressoché perfetto.

La recitazione rimane sullo stesso livello della scorsa stagione, mantenendosi su un buonissimo livello ed elevandosi come uno dei più validi prodotti spagnoli, sia per regia che per recitazione. Spiccano, come nella prima stagione, gli interpreti di Professore, Denver, Nairobi, e tra le new entry sicuramente Palermo. Sorprende molto positivamente anche la performance di Enrique Arce, che da il volto ad Arturo “Arturito” Roman, personaggio molto più sicuro di se stesso, dopo le vicende della prima stagione.

Dal punto di vista registico e narrativo la serie, come già accennato, cambia registro, virando sull’action già vista in parte della Parte 2, confermandosi un prodotto buono e decisamente sopra la media dei prodotti spagnoli, anche per merito del considerevole aumento di budget. Tuttavia, sono presenti alcuni errori tecnici piuttosto grossolani, lampanti in scene in cui si nota troppo facilmente il cambio da campo a controcampo, soprattutto nell’importante scena del litigio tra Nairobi e Palermo. La Casa di Carta

Questa terza parte conferma l’ottimo prodotto a cui eravamo abituati, pur essendo una palese trovata commerciale per sfruttare un brand di successo, ottenuto in buona parte grazie  alla distribuzione a livello internazionale da parte di Netflix. Nonostante le premesse, lo showrunner Alex Pina è comunque riuscito a rendere credibile una stagione che, nei piani originali della serie, non sarebbe dovuta nemmeno esistere.

Qualitativamente ci attestiamo sui livelli della seconda parte, non riuscendo ad eguagliare la prima parte che, per ora, è decisamente inarrivabile. Se avete apprezzato le prime due parti, non sarete delusi, pur con l’impronta molto più action rispetto alle precedenti, anche perché, viste le premesse e la costruzione della serie, non ci sentiamo di segnalare questa maggiore azione come un difetto, anzi, ne è una caratteristica intrinseca legata alla svolta narrativa presa sin dall’inizio.

Visto il finale, con il cliffhanger che crea moltissima attesa per la prossima parte, non sappiamo se aspettarci una svolta ancora più action o se torneremo al Professore calcolatore visto nella prima stagione de La Casa di Carta.