Il 10 dicembre arriva in tutte le librerie, grazie a Bao Publishing, il nuovo lavoro di Sergio Gerasi, intitolato L’Aida, terzo libro dell’autore milanese dopo In inverno le mie mani sapevano di mandarino e Un Romantico a Milano.
Aida è una ragazza alto borghese il cui mal di vivere non riesce a prendere una forma precisa. Un giorno, quasi per sbaglio, conosce un collettivo di artisti emarginati e davvero fuori dagli schemi, e la sua vita comincia a cambiare, insieme alle sue priorità. La guarderemo crescere, imparare a buttarsi, a non preoccuparsi di cadere. E a ricominciare a fidarsi di sé. Per il suo terzo libro con BAO, Sergio Gerasi rende ancora più vera e tridimensionale la sua (nostra) amata Milano, regalandoci una storia su ciò che succede appena fuori dal campo visivo della gente “perbene”, e dentro alle loro teste, quando nessuno guarda.
Non vi parleremo oltre della trama, perché vogliamo lasciarvi il piacere di scoprire la meravigliosa vicenda narrata ne L’Aida dall’autore milanese: quello che possiamo dirvi è che siamo di fronte ad una storia di lotta, di ribellione e di crescita, su più livelli. C’è la lotta di Aida, contro la propria situazione, contro il male che sente crescere dentro di sè e contro la propria condizione familiare, con rapporti rotti o rovinati. Con gli amici, che fingono di essere diversi da quel che sono, e con la madre, che sembra non capirla o non volerlo fare. C’è la lotta dei The Virus, contro il consumismo, contro la deriva dei social che ha tolto il tempo alle persone, contro la morte delle relazioni e la dipendenza dal modello capitalista.
C’è la ribellione, che nasce da queste lotte, e che trova sfogo in un cambio di look e di priorità in Aida, nel cambio di prospettive della madre e degli amici, e nelle installazioni artistiche dei The Virus, che regalano tempo e mandano messaggi in luoghi strategici e simbolici di Milano, con lo scopo di, come suggerisce il nome stesso, diffondersi il più possibile, portando speranza e rivoluzione. Infine, c’è la crescita, che non è semplice, perché viene dalla lotta, e che si manifesta in modi diversi: non aspettatevi un finale felice, perché L’Aida non ha un finale felice, almeno non nella concezione più stretta del termine. L’Aida ha un finale dolce amaro, che regala speranza ma anche rassegnazione, perché solo nelle favole il bene vince ed il male perde, ma nella realtà tutto questo non accade. Rimangono i buoni propositi e la speranza, i piccoli cambiamenti che potrebbero portare a miglioramenti, ma non sono dati per scontati, anzi.
L’anima punk di Sergio Gerasi irrompe in maniera prorompente in questo volume, che ci mette di fronte ad uno scontro ideologico identico alla genesi dello stesso movimento culturale e musicale, ma non solo. C’è una forte, e volutamente non velata, critica all’inasprimento delle capacità relazionali dell’essere umano, sempre più schiavo, volontario o meno non importa, di modelli di vita legati al consumismo ed al capitalismo, ai social, all’apparenza, ad un’ ipocrisia di fondo che, anziché abbandonarci, si insinua sempre di più nel nostro stile di vita e nelle nostre scelte. I The Virus, poi, co-protagonisti (o protagonisti principali, a seconda dei punti di vista e delle chiavi di lettura) dell’opera, sono un riuscitissimo mix tra movimenti no global, performer di parkour, hacktivisti e street artist decisamente ispirati al celeberrimo Bansky.
E proprio la street art, di cui Bansky è esponente più celebre al mondo, così come la critica alla dipendenza dal consumismo e dalle apparenze, è al centro della vicenda, e ne è sia motore che oggetto protagonista. E Milano, città natale dell’autore, “modificata” dalle opere dei The Virus, è sia teatro delle vicende di Aida che soggetto vivo e indissolubile dalle stesse. Per chiunque conosca il capolugo lombardo, non sarà difficile riconoscere luoghi iconici come i Navigli, CityLife, Piazza Missori, il Duomo, il Pirellone e molti altri, utilizzati da Gerasi come location per sviluppare la trama e come “vittime” degli “attacchi” dei The Virus.
Non scopriamo certo oggi le qualità di Sergio Gerasi, sia come disegnatore che come autore completo, ma sulle pagine de L’Aida l’autore milanese supera decisamente se stesso: la scrittura che alterna azione e introspezione si sposa alla perfezione con una narrazione per immagini fluida, senza punti morti, con il passaggio senza soluzione di continuità da tavole ricche di dialoghi a momenti di silenzio ad altri ancora dominati da scorci meravigliosi, impreziositi dai superlativi colori, opera dello stesso Gerasi e di Valeria Brevigliero. Proprio la colorazione si palesa come uno dei maggiori punti di forza dell’opera, con scelte cromatiche incredibilmente efficienti, tutte legate ai personaggi ed agli stati d’animo, con momenti lisergici e cieli che sembrano fotografie colorate ad acquerello.
La sceneggiatura segue uno spartito classico, secco, diretto: veniamo introdotti alla protagonista e ad alcuni comprimari, abbiamo le primissime avvisaglie del disagio di Aida e, pagina dopo pagina, scopriamo tutto quello che si nasconde dietro la vita della ragazza, della madre e degli amici, fino all’incontro con i The Virus, voluto dal caso e che, come da tradizione, porta alla presa di coscienza della nostra eroina, e all’affrontare i propri problemi e le dinamiche che li circondano, fino all’atto finale che, come detto, ci regala speranza ma anche un senso di rassegnazione.
Sergio Gerasi, con L’Aida, ci regala un racconto di paura, lotta, ribellione e crescita, di critica sociale e volontà di cambiamento. Ambientato in una Milano dai colori lisergici e ricoperta da installazioni artistiche di critica al consumismo e al capitalismo, il nuovo lavoro dell’autore milanese è una perla imperdibile, da leggere e far leggere. Una storia di crescita, dall’animo punk, che ci lascia speranza, ma anche rassegnazione perché, come dice Aida, “Ora so cosa fare. E come farlo. Voglio sentire il peso delle cose e delle emozioni. Anche di quelle brutte, senza che mi facciano male fisico. Voglio sentire il mio peso sui piedi e finalmente parlare, quando e se serve. Senza dovermi togliere gli occhiali nel buio per nascondermi in qualcosa che non c’è. Che non vedo davvero.”