Le Verità di Hirokazu Kore-eda | Recensione | Speciale Venezia 76

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Le Verità

Una promessa internazionale con dei difetti non innocui, il nuovo film del maestro Hirokazu Kore-eda va ad infrangere l’obbiettivo posto. Fin dalla prima rassegna stampa, dove si definirono i nuovi fattori rilevanti di “La Vérité– tradotto in Italiano come Le Verità, il pubblico rimase ammaliato dalla voglia di combattere oltre i propri confini geografici e di promettere un film “per tutti”, con una struttura transnazionale, che risulta troppo “comune”.

La trama è semplice, Fabienne (Catherine Deneuve) è una famosissima attrice del cinema francese con moltissimi difetti caratteriali e, nel momento in cui pubblica la sua autobiografia, la figlia Lumir (Juliette Binoche), con tutta la sua famiglia, torna a Parigi da New York. L’incontro tra madre e figlia si trasformerà in un confronto onirico: menzogne che torneranno a galla, orgogli e rimpianti vissuti verrano rivalutati in modo brutale e tutto sarà distribuito in un arco temporale molto breve. Il più grande difetto di questa pellicola è uno, la trama. 
Un componimento sceneggiato in banalità e cliché americani come battute ridicole e espressioni di superbia gratuite. 
La lentezza ingiustificata va ad accentuare una trama piatta, senza nessun momento di forza emotiva, andando a far perdere, in modo totalitario, l’attimo da pelle d’oca promesso al pubblico in sala. 
La voglia di esprimere il contrasto c’è e si riesce a notare, ma rimane lì, appeso ad un filo morbido di cotone che, con la minima frivolezza va a spezzarsi, senza percezione oculare.

Catherine Deneuve rimane impeccabile nel suo ruolo, una donna corazzata dalla testa ai piedi, pungente e catastrofica, ed anche Juliette Binoche riesce ad esser ben strutturata ma, due pilastri non riescono a tenere in vita un palazzo così ad alto rischio sismico. Ethan Hawke rimane imparziale nel suo ruolo, una scelta registica fatta solo ed esclusivamente per invadere i botteghini di tutto il mondo, un po’ come lo youtuber inserito nel cinepanettone italiano, Davvero poco rilevante. Il suo ruolo nella pellicola è quello del tipico americano medio con una dipendenza distruttiva ed un sogno nel cassetto accantonato da tempo, il clone della solita figura statunitense in cerca di fortuna. La vera sorpresa di questo film è Ludvine Sagner che, con un ruolo così “accantonato”, riesce ad imbarcarsi senza problemi, insegnando ai reali protagonisti del film a splendere di luce propria e non con piccoli rimasugli. Riesce a trasmettere fin da subito una reale voglia di farcela, di creare un collegamento mentale con gli altri attori e di rimanere nel contorno solo quando risulta necessario per il proseguimento della trama.

Il comparto tecnico de “Le Verità” invece rimane impeccabile. la regia è espressa con una pulizia tipica di Kore-eda, la sua perfezione sul posizionamento di camera e, in questo caso, sulla falsa posizione dell’inquadratura “finta e simulata”, destabilizza per la cura così dettagliata e minuziosa. 
Ottima correzione del colore, sottolineata dalla familiarità degli azzurri cinematografici e dalla riduzione del “contrasto” nel modo più naturale che si possa ottenere; tutto ciò ricorda un “film già visto” che porterà alla dovuta chiave di visione. Uno degli inserti migliori rimane il comparto tecnico luminoso; la nulla differenza tra luce esterna e luce interna è immediata, il più delle volte è sembrato di avere un “sole” incondizionato, rendendo tutto ciò un periodico successo. Unico neo tecnico è il montaggio, un peccato vedere così tanta perfezione essere infranta da una transizione col nero oppure da un taglio impreciso.

Hirokazu Kore-eda, regista, sceneggiatore e montatore della pellicola, riesce a creare un prodotto commerciale senza deludere le aspettative di porsi al “grande pubblico”, ma rimane un prodotto incompleto e con poca carisma effettiva. Il bisogno di mutare per risultare più “grandi”, a volte, è la causa principale dell’insoddisfazione interna di ciò che si fa.