Macchine Mortali di Christian Rivers – Il film prodotto da Peter Jackson | Recensione

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Macchine Mortali

Macchine Mortali è un film del 2018 diretto da Christian Rivers, scritto e prodotto da celebre regista neozelandese Peter Jackson,che vede nel suo cast Robert Sheehan, Hera Helmar, Hugo Weaving, Jihae e Stephen Lang. Adattamento dell’omonimo romanzo di fantascienza steampunk di Philip Reeve.

Il mondo che fa da sfondo a Macchine Mortali è una landa desolata ed ostile: secoli dopo di una guerra che ha cancellato la civiltà che conosciamo, l’umanità è rifugiata all’interno di gigantesche città semoventi che navigano per i continenti, alla ricerca delle poche risorse naturali disponibili e di residui delle perdute tecnologie degli “Antichi”. Per le città più antiche e potenti, come la colossale Londra, patria del giovane archeologo Tom Natsworthy, le prede sono le città più piccole e meno rifornite, che vengono catturate ed assimilate contribuendo a rinsaldare i principi del “darwinismo urbano”. Quando il giovane Natsworthy si intromette nel tentativo di assassinio di Thaddeus Valentine, un brillante e stimato storico a capo del progetto di rinnovo della città, da parte della misteriosa Hester Shaw, una ragazza sfigurata che lo accusa della morte di sua madre, la sua vita viene rapidamente sconvolta da una serie di eventi inaspettati. Mentre il vero volto di Valentine e dei suoi misteriosi piani per porre fine alla caccia alle città vengono lentamente rivelati, Tom si ritrova sperduto per le terre desolare assieme a Shaw, i due dovranno cercare un modo di tornare a Londra, incrociando lungo la strada una serie di avversari ed alleati, come il mostruoso Shrike, ex-tutore “rianimato” di Heather, e la misteriosa leader degli Anti-Trazionisti Anna Fang.

Macchine Mortali è l’opera prima del neozelandese Rivers, per la prima volta alle redini di un progetto cinematografico dopo anni di mutevole collaborazione con Peter Jackson, passando dall’essere stato storyboard artist per il Signore degli Anelli e King Kong ad assistente alla regia per Lo Hobbit. Lo stesso Jackson, che ha comprato i diritti cinematografici del libro più di dieci anni fa, ne è produttore e curatore dello screenplay. Esattamente come il suo mentore, Rivers porta avanti la moderna tradizione del cinema neozelandese, dirigendo una produzione sfarzosa che fa della forte matrice fantastica il suo punto cardine, abbracciando l’uso di abbondanti effetti speciali per portare in vita i colossali congegni steampunk del romanzo e proponendo un’avventura carica di spettacolo ed epicità. La colossale macchina cinematografica di Rivers purtroppo va in panne abbastanza rapidamente, esponendo grosse mancanze sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista narrativo rispetto ai lavori del suo predecessore o delle produzioni di cinema fantasy e fantascientifiche recenti in generale.

Prima di addentrarmi nell’analisi più dettagliata di Macchine Mortali, faccio una premessa: non ho letto il romanzo da cui è stato tratto e non conoscevo nemmeno la sinossi o i temi trattati nel libro poco prima della visione del film. Posto quindi che il mio giudizio è sulla pellicola in quanto tale, non posso fare a meno di appuntare quanto si percepisca notevolmente l’origine cartacea della storia durante la visione, e non per la migliore delle ragioni. Lo screenplay mostra quasi subito numerose lacune, cercando di stabilire gran parte della lore del mondo di Macchine Mortali in una serie di dialoghi fortemente carichi di ingombrante esposizione, spansi su un primo tempo fin troppo concitato e spesso confusionario. I dialoghi dei protagonisti sono spesso rigidi e poco convincenti, ed evidenziano la prevedibilità di una trama che si poggia troppo spesso su i cliché di questo genere.

Dal punto di vista registico il film è molto nella norma, Rivers cerca di ricalcare le costruzioni di immagini molto vaste che abbiamo visto ad esempio negli ultimi Lo Hobbit, di cui per l’appunto lo stesso Rivers era assistente alla regia. Si sente molto per tutta la pellicola un influenza Jacksoniana che però rimane solo nell’apparenza, poiché manca tutta quella ricerca nelle inquadrature che possiamo trovare nelle pellicole firmate da Peter Jackson. Il film tra l’altro soffre di un’eccessiva lunghezza, non riuscendo a dare il giusto ritmo ai vari momenti. In alcuni frangenti è troppo affrettato, alternando troppe sottotrame tutte assieme, mentre in altri è eccessivamente prolisso, tutto questo, unito alla scontentezza di molti punti della trama, fanno davvero pesare tutti i 128 minuti di durata. 

Per quanto riguarda la recitazione si attesta su degli standard abbastanza bassi e molto sui generis. Il personaggio di spicco è sicuramente quello di Hester Shaw, la co-protagonista femminile interpretata da Hera Hilmar, che ha una performance di rilievo ma che, a causa di una sceneggiatura carente, si ammorbidisce e perde d’intensità nella seconda parte. Niente male nemmeno la prova di Stephen Lang nei panni del cyborg Shrike, che da un peso ed un’umanità al film che fin troppo spesso viene a mancare. Poco d’impatto invece è l’interpretazione di Robert Sheehan, l’ex-star di Mistfits qui nei panni di Tom Natsworthy. La sua evoluzione viene lasciata semplicemente nello sfondo per tutto il film. Molto piatto invece il Thaddeus Valentine di Hugo Weaving, un’antagonista che sfoggia un certo tipo di complessità solo nelle prime parti del film per poi appiattirsi e perdersi nei cliché del genere. Nota molto negativa il personaggio di Anna Fang interpretato dalla cantante Sud-Coreana Jihae Kim, forse una delle forzature maggiori del film, un personaggio mostrato come aggressivo e sicuro di se, una sorta di Han Solo della pellicola, che però non risulta mai importante per merito della trama ma per la predisposizione del film in se a renderla importante. Le battute del personaggio risultano spesso molto forzate, sempre alla ricerca della battuta ad effetto a discapito di tutto e tutti. Inoltre vi sono momenti action, anche alquanto inutili, costruiti ad hoc per esaltare il personaggio e, ciliegina sulla torta, un vestiario improponibile che cozza con quello dei protagonisti principali e con il mondo che la circonda.

Il punto di forza di Macchine Mortali lo troviamo nel lato tecnico. L’estetica steampunk e la ricostruzione in CGI delle macchine e delle creature meccaniche del mondo sono di altissimo impatto, anche se il alcuni casi in cui ci si perde in delle piccole imperfezioni, come in alcune scene per nulla convincenti e che invecchieranno molto rapidamente con l’avanzare della computer grafica. Possiamo riscontrare alcuni difetti anche nella realizzazione del cyborg Shrike.

Macchine Mortali cerca, fallendo inesorabilmente, di creare un mito intorno a se e darsi un tono epico, obbiettivo che va ad arenarsi a causa dei continui riferimenti ad altre opere e il continuo stile derivativo, che impedisce alla pellicola di raggiungere un certo tipo di complessità. Chiaramente stiamo parlando di una pellicola che può essere inquadrata nel genere degli young adult, per quanto il romanzo da cui è tratto sia antecedente alla definizione del genere, ma mentre in altre saghe, come ad esempio Hunger Games e Maze Runner riuscivano a porre qualcosa di interessante agli occhi dello spettatore prima di scadere nella banalità, Macchine Mortali invece risulta abbastanza prevedibile e derivativo sin da subito. Quindi, nonostante la portata del progetto e l’ampio budget impegnato per la realizzazione, il film non riesce a raggiungere un certo tipo d’impatto che ci si poteva aspettare da una produzione del genere. 

In definitiva, Macchine Mortali è un film godibile ma che potrebbe facilmente scadere nel dimenticatoio. L’opera prima di Rivers è una pellicola con molti difetti, tra cui principalmente la mancanza di un’identità propria e una durata eccessiva a fronte di una trama per nulla originale e d’impatto.

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