[Recensione] Mindhunter – I Primi “cacciatori” di serial killer

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Questo venerdì è uscito in tutto il mondo su Netflix, “Mindhunter,” nuova serie tv creata e prodotta da David Fincher e Charlize Theron, tratta dal romanzo “Mind Hunter: Inside FBI’s Elite Serial Crime Unit di John Douglas e Mark Olshaker.

David Fincher, qui in veste di produttore esecutivo e regista, ritorna sul genere che lo ha reso tanto famoso, ossia il thriller con assassini seriali, e lo fa mantenendo alta la qualità e riscuotendo un buon successo.

Sin dal 1991, quando nei cinema uscì “Il Silenzio degli Innocenti,” del compianto Jonathan Demme che il mondo del cinema o, più in generale, quello dell’intrattenimento (con annesso pubblico), ha sempre dimostrato grande interesse per figure tragicamente inquietanti come i serial killer, ciò ha portato all’arrivo di pellicole come “Se7en,” “Monster e “American Psycho. Successivamente, con l’evolversi dell’intrattenimento televisivo, tali terribili protagonisti hanno iniziato a popolare gli incubi non solo di chi andava al cinema ma anche del pubblico del piccolo schermo, apparendo come focus di molti episodi di serie poliziesche come “Homicide,” “Law and Order” e “CSI” che, successivamente, portarono alla nascita di serie tv che, come colonna portante, vedevano quasi esclusivamente indagini su questi crimini efferati come “Profiler: Intuizioni Mortali” e “Criminal Minds,” quest’ultima, oltre a puntare sulla plausibilità, si è anche concentrata sul mostrare la vita di chi indagava. In sostanza, era solo questione di tempo prima che qualcuno realizzasse una serie o un film sulla vera storia dell’unità anti crimine che ha teorizzato il profiling a livello criminale ed è proprio così che nasce Mindhunter.
La serie segue infatti le vicende delle vite delle donne e degli uomini dell’Unità analisi comportamentale dell’FBI che ha sede a Quantico, della nascita di questa unità sia passata e di come sia divenuta una delle più importanti istituzioni su cui le forze dell’ordine locali contano quando si trovano per le mani dei crimini seriali o particolarmente efferati.

Già il fatto che si parli anche (e sopratutto) della vita di donne e uomini e non solo degli assassini che cacciano è una novità se non un apprezzabile aggiunta ai soliti triti e ritriti plot polizieschi che affollano i palinsesti delle televisioni Italiane ed Americane.

Holden Ford (Jonathan Groff) è un negoziatore d’ostaggi dell’FBI che, frustrato e incuriosito dalla nuova generazione di criminali, decide di tornare a studiare, per formarsi in psicologia criminale e riuscire a capire cosa effettivamente spinga determinati individui a fare ciò che fanno e come distinguerli dalla massa. Il ventinovenne Holden, troverà un insolito alleato nell’unico membro del BAU, Bill Tench (Holt McCallany), che gli insegnerà come riuscire a distinguere i casi tra di loro e come approcciarsi ai vari poliziotti che, spesso, vogliono imparare ma non vogliono l’interferenza del Bureau nelle loro indagini. I due agenti dell’FBI inizieranno prima interrogando Big Ed, “il killer delle studentesse” e si baseranno proprio su quell’esperienza per creare le prime tecniche di indagine comportamentale, le quali verranno poi ampliate quando ad aiutarli si aggiungerà la dottoressa Wendy Carr (Anna Torv). Il terzetto improbabile, ostacolato dal Bureau e dagli stessi istituti psichiatrici, definirà nell’arco temporale di qualche anno, basi importanti che ancora oggi fanno parte della comune procedura d’indagine per i crimini efferati senza movente o per i crimini seriali.
Lo spettatore viene quindi catturato da questi “cacciatori” di criminali, che tramite metodi non proprio usuali cercando di ricostruire non il come, non il chi, ma il perché.

Ormai parole come Soggetto, Modus Operandi fanno parte del linguaggio comune, sia dai telegiornali che dai telefilm, ma come si è arrivati ad utilizzarle? Chi ha deciso di usare queste e non altre, ma sopratutto, perché proprio queste? Mindhunter si concentra proprio su questo e sulla psicologia dei personaggi mostrando come il lavoro del profiler avveleni colui o colei che lo fa e la vita di chi gli sta intorno, descrivendo degli uomini e donne normali, che assistono ad orrori indicibili e che farebbero di tutto per impedirli e quindi studiano quelli passati per trovare protocolli da usare, comportamenti, parole e altri dettagli ancora che in modo comune ed unitario possano portare all’identificazione del “soggetto ignoto.”
Mindhunter è una storia cattiva, inquietante e che ti cattura dal primo minuto e ti trasporta in una spirale di violenza e menti deviate. La serie è caratterizzata da una narrazione avvelenata dalle stesse parole che escono dalla bocca di questi spietati killer come da quelle delle forze dell’ordine che in questo finire degli anni ’70 non erano preparati e non si rendevano ancora conto della nuova ondata criminale che avrebbero affrontato di lì a poco, la quale, spesso era del tutto priva di un qualsivoglia movente e che, anzi, poteva essere realmente nascosta dietro al volto del tuo vicino di casa, del postino, del prete o del giardiniere, insomma, chiunque, in questa nuova era del crimine, poteva essere un S.I.

La regia messa in gioco da Fincher (dirige gli episodi 1 e 2, 9 e 10), che poi sarà quella su cui si baseranno gli altri registi chiamati a concludere il lavoro, ossia Asif Kapadia, Tobias Lindholm e Andrew Douglas è soffocante, non indugia mai sull’orrore e non lascia nulla al caso, spesso la camera diventa l’occhio dell’agente e quindi lo spettatore si trova ad osservare dei punti specifici della scena che contengono importanti dettagli che possono venire ritrovati nella descrizione psicologica del criminale appena illustrata dai personaggi. Tra tutti gli altri registi messi al lavoro sulla serie però, probabilmente, quello che più ha dimostrato di saperci fare e di riuscire a catturare l’esperienza di Fincher è stato Kapadia che non ha fatto troppo notare il cambio dietro alla macchina da presa ed ha inserito alcuni particolari della sua esperienza da documentarista. Il cambio invece è stato più netto al subentrare di Lindholm prima e di Douglas dopo, che ahimè non sono riusciti bene quanto il loro collaboratore e si sono limitati a imitare Fincher senza però apporre una loro visione che potesse in qualche modo distinguerli da Fincher.

Certamente raccontata così Mindhunter sembrerebbe una serie quasi perfetta, lungi dall’esserlo, è una serie che funziona dannatamente bene e che dà allo spettatore finalmente una visione più approfondita e reale, meno romanzata e più “scolastica” del lavoro del profiler e lo fa senza annoiare e mantenendo sempre alta la tensione, cosa che non riesce a tutti i prodotti di questo stampo sopratutto quelli televisivi che spesso cadono in cliché che, tecnicamente, nascono proprio per rendere la realtà più accattivante.

Se siete fan dei polizieschi e volete distaccarvi dai soliti CSI e Criminal MindsMindhunter fa per voi, se siete in cerca di un buon prodotto solido e d’intrattenimento, questa serie fa per voi e posso assicurarvi che avrete la vostra buona dose di tensione.

https://www.youtube.com/watch?v=XIdlYjANTIk