[Recensione] Capitan America 98 di Mark Waid e Chris Samnee

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Capitan America 98

Capitan America 98 riparte ‘dal via’. La run di Mark Waid e Chris Samnee, di cui questo albo raccoglie i numeri 697 e 698, è un gioco a carte scoperte. Dopo gli eventi di Secret Empire il duo ha ricevuto l’arduo  compito di riabilitare il nome di Steve Rogers ma sopratutto, riabilitare quel simbolo americano che da sempre rappresenta nell’universo narrativo Marvel. Waid è chiamato quindi a replicare il meticoloso lavoro di restauro e rivitalizzazione che aveva compiuto sul diavolo di Hell’s Kitchen, il quale era stato a sua volta martoriato negli anni dalle cupe gestioni di Bendis e successivamente Brubaker.
capitan america 98
Nel numero precedente avevamo lasciato Rogers in sella alla sua Harley in un viaggio on the road per ritrovare il contatto perduto con il popolo americano. Avevamo visto infatti Capitan America dirigersi verso il Nebraska, meta insolita per una ambientazione di un fumetto supereroistico, in una piccola cittadina in cui aveva sventato 10 anni prima l’ascesa dei suprematisti  del Rampart. In memoria delle gesta eroiche compiute dal campione a stelle e strisce, la cittadina aveva istituito un festival annuale proprio in nome di questi. Quello di Rogers è un passaggio chiave volto ad rievocare ancora una volta le atmosfere e i topoi propri degli esordi del personaggio. Proprio come i cittadini di Bouton County, Waid richiama alla memoria del lettore il significato emblematico di Cap e di come questo sia rimasto imperturbato dal passato ad oggi. Infatti, li dove 10 anni fa Rampart ha tentato la sua ascesa, Cap è di nuovo pronto a fermarli sul nascere. Anche il nuovo Spadaccino ha dovuto piegarsi di fronte alla determinazione del Capitano, il quale è riuscito a sventare l’attentato ad una diga. Ora è il turno di Kraven il cacciatore, incaricato dal Rampart per catturare e consegnargli Rogers.
Pensando a come Rogers sia ancora lontano dalla completa riabilitazione e al fatto che in Kraven scorre un serio non tanto dissimile da quello di Cap, è logico pensare ad un testa a testa fra i due. Reputato la preda finale dal cacciatore per eccellenza, Cap quindi viene rapito e costretto a interpretare il ruolo del fuggitivo pur di salvare la vita ad un civile, anch’egli prelevato con la forza da Kraven. Conscio della temerarietà del capitano, il cacciatore si procurato l’esca perfetta per costringere Rogers a star al gioco e prendere quindi parte alla battuta di caccia. L’obbiettivo è guadagnare la costa e conquistare la libertà prima che il predatore possa catturare i due fuggitivi, o prima che le sue trappole micidiali facciano il lavoro per lui. Il tracciato su cui viaggiano Capitan America e il malcapitato è difatti pieno di congegni letali a cui un uomo normale non riuscirebbe a sottrarsi se non fosse in possesso del serio del super soldato e delle straordinarie doti di Cap. Le insidie non si limitano però alle semplici macchinazioni di Kraven o alle sue imboscate e delle sorprese ci aspettano anche sul concludersi della battuta di caccia.
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Tutto sommato un numero di transizione, il 697, in cui viene lasciato campo libero al tratto sicuro e pulito di Chris Samnee che sopperisce alla mancanza di dialoghi. Molto spazio viene riservato all’azione, Cap lascia che siano le sue gesta e le sue prodezze a parlare per lui. D’altra parte, quando questi prende la parola dimostra di essere sempre in pieno controllo della situazione, fermo e sicuro delle proprie convinzioni come ce lo ricordiamo da sempre. Quella che Waid tratteggia è una figura iconica, una guida, le cui convinzioni hanno resistito alla caduta del sogno americano ma sopratutto alla prova del tempo. Ed qui che mi riallaccio al discorso perché al termine della caccia, Rogers viene intercettato dai fanatici del Rampart, infuriati più che mai perché il Capitano è stato in grado di sventare la loro ascesa nel passato e di nuovo appena lo scorso numero. La ritorsione non si fa attendere e questa volta è più beffarda che mai. Rogers verrà ibernato, costringendolo nuovamente a rivivere lo spaesamento completo vissuto decenni prima al suo ritrovamento dopo la 2° guerra mondiale. Con un colpo di mano, Mark Waid smuove bruscamente le acque calme in cui navigava questa serie e a partire dal 698 ci catapulta in un futuro non poi così lontano e ovviamente dispotico. Capitan America è di nuovo un uomo fuori dal tempo col la differenza che il mondo in cui si è risvegliato questa volta ha preso una piega molto peggiore di quella di 70 anni fa. Il cambio di ambientazione è cruciale in questo caso perché:

  • Funzionale a dimostrare la ferrea integrità morale del capitano a prescindere ancora una volta dall’establishment (Cap sarebbe Cap anche se cambiasse il contesto);
  • Oltre ad avere molti punti di contatto con il primissimo ritrovamento di Cap tra i ghiacci, quella che Waid scrive è a tutti gli effetti una nuova genesi per il personaggio che, agli occhi dei lettori e degli altri membri della comunità supereroistica, deve ricostruire la propria credibilità, minata dagli eventi recenti;

È chiaro che siamo ancora nelle battute iniziali di questa run e seppur l’intento sia evidente, non si riesce ancora a capire dove voglia andare a parare Waid e come voglia sviluppare il concetto di ‘rinascita’ del personaggio. Il richiamo alla genesi moderna dell’eroe americano, il tono e il tipo di impostazione degli albi suggerirebbe uno sviluppo per episodi a se stanti richiamando la dimensione più classica del Cap degli albori. La stessa scelta di Samnee è una forte  associazione a segni di un’altra epoca, con un uso prepotente delle onomatopee e inquadrature che fanno un po’ il verso a Jack Kirby. Waid sembra aver disposto i suoi tasselli per riplasmare il capitano e le sue origini e a questo punto non vediamo l’ora di leggere i prossimi numeri per scoprirlo, viste anche le stupende tavole di Chris Samnee.


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