[Recensione] L'Alienista – Essere Profiler nel Diciannovesimo secolo

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L'alienista

Ad Aprile su Netflix è stata resa disponibile L’Alienista (The Alienist), miniserie televisiva di TNT con protagonisti Daniel Bruhl, Luke Evans e Dakota Fanning, ispirata all’omonimo romanzo di Caleb Carr.
Il dottor Laszlo Kreizler (Bhrul) è un Alienista, ossia uno psicologo che studia le malattie mentali ed i comportamenti aberranti perpetrati dagli uomini e concepiti nella mente umana. Kreizler verrà a conoscenza di un omicidio che vede un ragazzino vestito da donna ucciso su uno dei luoghi più alti di New York City e collegando i punti insieme al fotografo John Moore (Evans) e alla segretaria del commissario della polizia Roosvelt (Brian Geraghty), Sara Howard (Fanning) inizierà ad indagare e rivelare segreti scomodi della nobiltà Newyorkese che devono rimanere tali.

La serie è un thriller a tutti gli effetti come si evince dalla storia, ma la sua particolarità è ben visibile già dall’ambientazione, la New York del 19esimo secolo e dai personaggi: un alienista, un fotografo ed una segretaria per la polizia.
Nel diciannovesimo secolo non esisteva la figura del Criminologo o del Profiler, la psicologia era ancora una scienza agli inizi e veniva vista con diffidenza dalla popolazione e dalla stessa polizia che non poteva credere possibile si potesse identificare un criminale dal suo modo di agire e dal come sceglieva determinate vittime. La figura incarnata da Laszlo, definito per tutta la durata della serie solo come L’Alienista, in maniera alquanto dispregiativa e volta ad evidenziare il suo essere alieno dalla società tanto quanto i criminali che studia, è allo stesso tempo strana ed affascinante. Daniel Bruhl incarna perfettamente l’uomo del novecento, combattuto tra un modo di fare che gli è stato insegnato dai genitori e dalla strada che egli stesso si è scelto, e questo lo capiamo dai suoi modi, dalle sue pose, non molto ci viene detto del suo passato se non tramite accenni e racconti di Moore o di Cyrus o magari dallo stesso Laszlo, che è anche un narratore inaffidabile della sua stessa storia, tacendo determinati elementi. Moore invece è molto più aperto, più spontaneo, lo inquadriamo subito, vediamo i problemi che ha con l’alcol, con il gentil sesso e anche con la stessa madre, cristallino e fa da perfetto controaltare a Laszlo sempre impettito, sempre scuro e pragmatico in ogni sua decisione. Sara Howard è invece il prototipo della donna Inglese che deve farsi strada in un mondo di uomini, più volte rinuncia alla sua femminilità per essere presa sul serio e in alcuni casi essa diventa un vero e proprio bersaglio sulla sua schiena.
Le interpretazioni sono di grande pregio, d’altronde i tre attori protagonisti e gli altri compresi Geraghty e anche David Wilmot (interprete del Capitano Connor) sono credibili e rendono credibili oltre che veri i loro personaggi, sono dei trascinatori credono nel ruolo tanto da quasi rispecchiarsi in esso.
La regia e la fotografia sono di buon pregio, chiare, claustrofobiche ed ansiogene quando serve e aperte, calde e avvolgenti quando invece è richiesto. Le strade di NY sono sporche, piene di segreti e criminalità, un crogiolo di persone che si sopravvive a stento e questo è palpabile in ogni inquadratura, la ricostruzione, quindi scenografia e costumi rispecchiano tutti gli ambienti visti nella serie e danno quel tocco di storia “vera” alla serie che serve per rendere credibili certi momenti dove il pathos viene sacrificato in favore di una soluzione più pragmatica.

La sceneggiatura basandosi su una storia alquanto semplice mette in gioco dei dialoghi convincenti e dà così spazio ai personaggi per esprimersi e per rimanere impressi nella mente degli spettatori, alcune volte sacrificando dei momenti costruiti ad hoc e altre sacrificando il ritmo che viene spezzato da situazioni o da tagli improvvisi, a causa di un montaggio che va incontro alle pause pubblicitarie fin troppo spesso.
In definitiva L’Alienista è un buon prodotto d’intrattenimento che riesce a dare una visione interessante e piena di aspetti sconosciuti della fiorente ai tempi psicologia e ci consegna delle interpretazioni ottime. I momenti di quiete e quelli dove la tensione è alta sono tutti ben gestiti e fanno in modo di pagare sopratutto in termini di attenzione dello spettatore che a causa dei continui cut to black per poi passare ad un’altra scena può venire meno.