Robin Hood – L’Origine della Leggenda di Otto Bathurst | Recensione

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Robin Hood

Arriva nelle sale Robin Hood – L’Origine della Leggenda, film diretto da Otto Bathurst che si pone l’obiettivo di rinnovare il mito del famoso arciere. Per farlo, gli sceneggiatori hanno optato per una chiave di lettura che strizza l’occhio ai blockbuster più in voga del momento, ovvero i cinecomic. Si chiude così un cerchio ideale, come un serpente che mangia la sua coda. E’ stato proprio Robin Hood, infatti, ad ispirare la caratterizzazione di numerosi supereroi, da Freccia Verde a Batman. Corsi e ricorsi storici. Il risultato degli sforzi profusi dal cast tecnico è un lungometraggio che, è doveroso riconoscerlo, intrattiene per la maggior parte della sua durata.

La regia non è sempre impeccabile, e nelle scene action talvolta presta il fianco a scavalcamenti di campo e sporadica confusione. Ciononostante, i momenti più adrenalinici divertono e risultano sempre interessanti da vedere, senza risultare mai pesanti o prolissi. Anche i ralenty sono ben dosati, e riescono a donare maggiore spettacolarità alle azioni “criminose” di Robin di Loxley. Questa tecnica, però, appare ormai un pò “datata”, e rievoca nefasti ricordi del periodo post-Matrix, quando veniva utilizzata in pellicole di scarsa qualità per camuffare lacune tecniche. I costumi rievocano invece Hunger Games. L’ambientazione dal sapore medioevaleggiante è in netto contrasto con i vestiti indossati dai personaggi, vistosi e moderni. La vicenda raccontata da “Robin Hood – L’Origine della Leggenda” si colloca quindi in una bolla temporale priva di riferimenti precisi. Questa scelta peculiare, inizialmente difficile da digerire, si trasforma progressivamente, a sorpresa, in un pregio. Grazie ad essa, infatti, lo scontro tra i popolani rivoltosi, capeggiati da Robin di Loxley, e gli sgherri armati al soldo dello Sceriffo di Nottingham, emblema del potere corrotto, ricorda da vicino scene viste tante volte al telegiornale.

Il parallelismo tra i ribelli di Sherwood e i movimenti di protesta che hanno scosso l’inizio del ventunesimo secolo è evidente sia nell’apparenza, quanto nella sostanza, ed è un elemento davvero insolito per un film d’intrattenimento di largo consumo. Così come sono insolite le frequenti frecciatine nei confronti della politica americana guerrafondaia e della Chiesa. Le istituzioni religiose vengono criticate a più riprese, e rappresentano la principale fonte di corruzione all’interno dell’universo narrativo in cui si collocano le avventure di “Robin Hood”. Non mancano persino velati riferimenti a scandali che hanno coinvolto il mondo cattolico in tempi recenti. Nel contesto di un sistema marcio e senza possibilità di redenzione, lo Sceriffo di Nottingham appare quasi come una vittima, costretto com’è a piegare il capo nella speranza di un riscatto finale che, forse, non arriverà mai.

Tanti spunti interessanti e provocatori, quindi, che però non si sposano bene con il tono scelto per raccontarli. Nonostante la componente umoristica sia quasi del tutto assente, e quasi sempre inefficace, la pellicola appare comunque scanzonata a più riprese, nel tentativo quasi disperato di distaccarsi dal peso delle tematiche affrontate e di intrattenere il pubblico a cuor leggero. La dicotomia tra provocazione e intrattenimento inceppa inesorabilmente il meccanismo narrativo, afflitto anche da un ritmo discontinuo e da una sceneggiatura non impeccabile. L’incipit della pellicola è troppo veloce, e non consente di affezionarsi davvero a Robin di Loxley e alla sua vicenda travagliata. Il rapporto amoroso tra il protagonista e Lady Marian si sviluppa tra uno stacco di montaggio e l’altro. Eppure, dovrebbe essere il motore trainante del riscatto dell’arciere. Il finale è altrettanto rapido.

Il lungometraggio termina bruscamente proprio nel momento di maggiore pathos, quando tutte le sottotrame vengono al pettine. Ed è un peccato. Specie perché, nonostante i vari difetti, gli stereotipi e i cliché del caso, il film riesce comunque a costruire una progressione narrativa interessante. In realtà, c’è una precisa pianificazione alle spalle di questo finale brusco. “Robin Hood – L’Origine della Leggenda” è l’ennesima vittima della necessità spasmodica dei produttori hollywoodiani di creare saghe capaci di richiamare il pubblico ai botteghini, della ricerca di nuovi brand e franchise da spremere fino all’osso. La sequenza che chiude il film è così smaccatamente aperta verso sequel potenziali da risultare involontariamente comica e trash. Peraltro, la volontà di richiamare a tutti i costi gli stilemi del genere supereroistico, a lungo andare, si fa davvero esasperata, con i personaggi che fanno presente allo spettatore in modo didascalico che: “Sì, è proprio come Batman”. Persino la colonna sonora ricalca smaccatamente i temi composti da Zimmer per la trilogia del Cavaliere Oscuro, fino a rasentare il plagio.

In definitiva, Robin Hood – L’Origine della Leggenda è attanagliato da tutti i peccati veniali dell’era cinematografica moderna. Si avverte la presenza di potenziale latente e inespresso, e di un certo impegno da parte del cast tecnico, colonna sonora a parte. Tutte le componenti positive, però, sono state soppiantate dalle indisponenti esigenze produttive e commerciali della pellicola.

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