Stranger Things: capolavoro da 80’s nerds

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Mamma Netflix ha sganciato un’altra bomba delle sue, in collaborazione con i Duffer Brothers. Stranger Things è un omaggio totale alla cinematografia anni ’70-’80, il tutto miscelato con un perfetto equilibrio tra i personaggi, le loro storie e le trame che vanno ad affrontare durante le 8 puntate che compongono questa prima stagione.

Poster promozionale in stile Star Wars che mi ha ovviamente fatto esplodere la testa.
Poster promozionale in stile Star Wars che mi ha ovviamente fatto esplodere la testa.

Prima di cominciare:
Premessa n°1. Questo articolo, come probabilmente tutte le future recensioni su RedCapes.it mie e di tutti gli altri Editor, si pongono solo ed esclusivamente come un’opinione personalissima da persone appassionate di ciò di cui parlano, niente di più, niente di meno.

Premessa n°2. Cercherò di evitare gli spoiler il più possibile, ma non vi posso assicurare nulla, quindi ocio.

“Ti fa sentire vecchio, senza farti sentire vecchio”


Ammetto il mio errore, all’inizio non ho cagato neanche di striscio Stranger Things, complici il poco interesse derivato da alcune persone che non sono state in grado di descrivermi lo show (“è una serie horror, guardala!”, ma io già seguo quella cafonata di American Horror Story and i was like bitch no) e le tante troppe serie tv da recuperare. Il titolo del paragrafo invece, insieme alla frase “inizia con dei ragazzini che giocano alla prima edizione di Dungeons And Dragons” mi ha fatto intuire la strada intrapresa dagli sceneggiatori mi ha fatto invertire la rotta.

Alla prima puntata i gusti e le ispirazioni dei fratelli Duffer sono già palesi, un modo semplice per descrivere l’atmosfera è “prendi i Goonies e rendili protagonisti di un libro di Stephen King“. Ma non è abbastanza ovviamente, le prime sottotrame di stampo sentimentale richiamano alla grandissima le relazioni nate a Twin Peaks, come anche il loro rapporto con le scene drammatiche e misteriose. Dallo show di David Lynch prende in prestito anche lo stile della colonna sonora, composta esclusivamente con un sintetizzatore, e costruita in pieno stile anni ’80. Non in modo banale però, la theme principale risuona spesso nelle orecchie scandendo il ritmo delle situazioni, trasformandosi spesso in effetti sonori più accattivanti e moderni (l’aumento dissonante di tono che solitamente anticipa il Jumpscare o il famoso e senza nome SBRAAA cadenzato che ultimamente è parecchio abusato nei trailer), ma che non rimangono mai troppo ingombranti o fuori posto.

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Facehugger anyone?

I’upside-down richiama alla memoria la realtà parallela in cui il pagliaccio It attirava i bambini e la sua atmosfera è degna dell’Alien di Ridley Scott e del surrealismo di John Carpenter (tanto da omaggiarlo con una scena in tv tratta da La Cosa) come anche il mostro che esce dalla parete in salsa Videodrome; la paura dell’ignoto e la presenza fortissima dell’elemento paranormale di Poltergeist, mischiato alla scienza di confine di X-Files (e di Fringe, che è 80’s non nella forma ma nella sostanza); Il rapporto tra i tre bambini e la nuova arrivata Elle, la parrucca bionda, il Millenium Falcon (<3), è tutto ripettosamente preso in prestito da ET l’Extraterrestre; qualche inquadratura degna di Evil Dead qua e là. Insomma, avete capito quanto sia enorme il pantheon cinematografico a cui hanno reso omaggio in Stranger Things, omaggio reso in modo mai dal risultato stantio o che suona di già visto, la regia rimane sempre con un tocco moderno e mai approssimativo e la fotografia mai perfettamente “lucidata” salvo alcune scene in cui è dovuto, sempre con la testa nel 2016 e i piedi piantati a 30 anni fa. Unica piccolissima delusione personale: troppa CGI in una serie di questo tipo che omaggia solo ed esclusivamente film fatti di pupazzoni e sangue finto, ma è vero anche che i practical effects al giorno d’oggi sono roba da big money, quindi è una mancanza più che giustificabile.

 

Un team degno delle migliori sessioni di D&D


 

Altro punto fortissimo di questa serie sono i personaggi. A partire dal casting maturo, gli attori sono stati scelti con cura, tutti estremamente competenti (salvo forse uno, Jonathan Byers, che mi ha convinto meno di tutti) e soprattutto nessun bambolotto ascrivibile a figo/figa di turno a fare presenza, il tutto a favorire ancora di più il senso di realtà alla base della trama e che la trama stessa va a distruggere. Senza dilungarmi troppo su ognuno dei personaggi, per quanto mi riguarda gli attori che di più mi hanno convinto sono Dustin (complice la sua condizione, fa davvero divertire e risulta il più naturale nel suo ruolo), Eleven (poche battute ma un’espressività disarmante) e Nancy (interpretata da Wynona Ryder che solo il nome mi fa venire voglia di giocare ad un cabinato arcade e che più di tutti ha espresso alla perfezione il sentimento che l’ha portata sul limite della follia, il senso materno).

Un fattore della trama correlato ai personaggi è composto dai vari espedienti che hanno portato le tre generazioni del telefilm a collaborare per sconfiggere il Mostro. I bambini, gli adolescenti e i genitori si approcciano alla trama principale da tre punti slegati tra loro, la scomparsa di Will scatena nei bambini un senso di avventura quasi giocoso, mentre la madre Wynona (insert coin) rischia di farsi rinchiudere ad Arkham prima di essere salvata in calcio d’angolo dal figlio, mentre gli adolescenti vengono coinvolti tramite la scomparsa di un altro personaggio secondario. Un’avventura anche di stampo familiare, che inizia con qualche problema di routine all’interno della classica famigliola americana e un evento che destabilizza tutta la comunità finendo per sfasciare gli equilibri e i rapporti, per poi svolgersi in una storia soprannaturale che alla sua risoluzione ricompone e rinsalda i legami di sangue (e non) tra i personaggi.

Considerando il complesso del cast vediamo che in tutto ciò Netflix si riconferma un marchio di qualità per quanto riguarda l’originalità. Nessun personaggio è raffrontabile con nessuna delle solite maschere che individuiamo solitamente in show o film dello steso stampo. Non c’è il capo, lo stupido, il depresso o il ragazzino di colore (è inutile negarlo, esiste anche questo), ma c’è un gruppo di personaggi che si motivano e si bilanciano a vicenda, individuando un’idea caratteriale ogni volta unica.

Conclusioni


Pochi cazzi, Stranger Things mi è entrato nel cuore. Mi aveva conquistato già alla prima puntata, una pura scarica di uno stile ormai vecchio di trent’anni ma svecchiato e tirato a lucido per l’occasione, ed uno storytelling calibrato al millimetro. Anche se all’inizio vedere quattro ragazzini giocare con quello spirito a Dungeons And Dragons, al minuto 7 ero già in modalità Giovanni Storti con la cassetta di Luci a San Siro nell’autoradio. Un vero tributo al cinema ne da vorta, qualcosa che, secondo me, J.J. Abrams avrebbe voluto fare con il suo Super 8, riuscendoci solo in parte.

Colonna sonora paurosa e sigla d’apertura DA PANICO. Sono un fan delle sigle ben fatte, questa al momento si piazza terza nella mia personalissima classifica, scalzando dal podio la opening di Vikings ma cedendo alla supremazia indiscussa di True Detective (entrambe) e Dexter. Oltretutto ho appena scoperto che il font usato nel logo dello show che si ammira nella sigla è il Benguiat, lo stesso che King usava nelle copertine dei suoi libri. Chapeau.

Quello che mi aspetto per il futuro ora è un’incognita. Al momento sono fermamente convinto che una seconda stagione non debba esserci, se lo show si fermasse qui entrerebbe di diritto nell’Olimpo degli show di brevissima durata che hanno scosso il mercato televisivo e mosso tonnellate di fan (roba come Twin Peaks e Firefly per capirci). Ma sono sicuro che Mamma Netflix, com’è giusto che sia, spremerà la vacca fino a che sarà possibile e non controproducente, ragion per cui mi auguro una serie di stampo antologico in stile Twilight Zone come le contemporanee True Detective, American Horror Story o Fargo. D’altronde il titolo strizza l’occhio a questa ipotesi, “cose più strane”, storie fantasiose, non “The GIrl With The Telekinesis”, che oltretutto è un titolo pessimo e d’ora in poi smetterò di inventare titoli.

cosa ne pensate? Siete d’accordo con me o pensate che sia una cazzata per bambini? Come diceva Laura Scimone:

“commentate, commentate, commentate!”

Grazie per essere arrivati fino in fondo, alla prossima!

Da oggi la mia coscienza avrà il volto e la voce di Dustin. "watch out boyf i have a bad feeling about thif".
Da oggi la mia coscienza avrà il volto e la voce di Dustin. “Watch out boyf i have a bad feeling about thif”.