Suspiria di Luca Guadagnino – Tremate, Tremate, le Streghe son Tornate | Recensione

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Suspiria, nuovo film di Luca Guadagnino, è il remake dell’omonimo lungometraggio di Dario Argento, una pellicola che ha influenzato l’intero genere horror grazie ad un affascinante e personalissimo impianto registico. Considerato quanto il “Suspiria” di Argento fosse intimamente legato alla visione autoriale del suo creatore factotum, l’impresa che Guadagnino si è prefissato appare titanica. Lecito domandarsi se abbia davvero senso riproporre, riaggiornandolo ai tempi moderni, un incubo su celluloide ricco di componenti immateriali difficilmente riproducibili, e che all’epoca tralasciò una sceneggiatura solida per concentrarsi invece su suggestioni, sensazioni e non detti. Questi dubbi devono avere attanagliato anche la mente del regista Premio Oscar per Chiamami col tuo nome, che si è scervellato sul dilemma decidendo, infine, di affrontarlo da un nuovo punto di vista.

Che sia chiaro fin da subito: il “Suspiria” di Luca Guadagnino non è un remake del capolavoro argentiano, almeno non nel senso più classico del termine. Non ha niente a ché spartire con il film da cui prende il nome. Sceneggiatura, collocazione storica, poetica, messaggio, genere cinematografico: tutti elementi che prendono nettamente le distanze dal precedessore. Certo, il soggetto di base conserva qualche linea guida, ma il nuovo “Suspiria” si allontana il più possibile dal suo ingombrante “patrigno”, talvolta con un gusto quasi provocatorio. Paradossalmente, ne conserva però l’elemento più importante: lo spirito. Così come il film del ’77 costituisce una sorta di testamento spirituale di Dario Argento, allo stesso modo la rilettura del 2018 trasuda Luca Guadagnino da tutti i pori. L’intento è decisamente lodevole, ma probabilmente chi entrerà in sala alla ricerca di naturali confronti con l’opera originale, si ritroverà spaesato per lunghi tratti della narrazione. Basti pensare che il colpo di scena che concludeva il film argentiano è invece qui palesato fin da subito. Inoltre, il nuovo “Suspiria” non è un horror, bensì un thriller paranormale. Sicuramente le efferatezze e le scene disturbanti non mancano, ma l’intento principale della narrazione non è quello di spaventare, bensì di avviluppare lo spettatore nelle spire di una storia mistery inquietante, ma razionale e rigorosa nella sua logica. Pur rifuggendo spiegoni forzati, la narrazione è costellata di piccoli e grandi indizi che trovano compimento in una rivelazione finale decisamente efficace, e che dona nuovo senso a scene intraviste in precedenza.

L’atmosfera è quella di un giallo, con sfondoni nell’esoterismo e nella magia che, a parte qualche rara eccezione, non appaiono decontestualizzati rispetto alla concretezza e alla tangibilità degli elementi messi in scena. Merito di una regia solida e quadrata, geometrica, molto attenta ai primi piani e ai giochi di sguardi tra i personaggi, più significativi di qualsiasi giro di parole. In particolare le scene di ballo, cariche di forti significati narrativi e metaforici, costituiscono il fiore all’occhiello: magnetiche, sensuali ma non volgari, accompagnate dall’ipnotica colonna sonora di un Trent Reznor sugli scudi, e con al centro una Dakota Johnson mai così brava e credibile. La palma per l’interpretazione migliore va però a Tilda Swinton, qui alle prese addirittura con tre ruoli diversi. Tre personaggi in cui l’attrice si immerge fino a scomparire, grazie anche agli incredibili effetti speciali, che liquidano l’odierna CGI per riscoprire l’arte del make-up prostetico. Quello che sembra un mero esercizio di stile, è in realtà la chiave per comprendere la poetica di Guadagnino, insolitamente ottimista e speranzosa e in netto contrasto con gli orrori dipinti su pellicola. Il risultato è, ancora una volta, spiazzante. “Suspiria” scopre il fianco a tante critiche. Cerca di fare tanto, e forse non raccoglie tutto ciò che semina. La parentesi storico-politica, ad esempio, seppur ricca di spunti di base interessanti, sembra perdersi nelk nulla. Eppure, nonostante il ritmo lento e una risoluzione che sembra non arrivare mai, è impossibile non rimanere affascinati dinanzi al perfetto connubio tra estetica e contenuto. Infine, dopo una costruzione metodica, l’impennata. Un colpo di scena che porta lo spettatore a ricontestualizzare tutto ciò che ha visto fino a quel momento. E’ vero, la pellicola di Guadagnino non è un remake del film di Argento. Per certi versi, si sarebbe potuta chiamare con un altro nome. Eppure, la sorpresa riesce a cogliere nel segno proprio grazie al confronto con l’originale. Il senso di disorientamento, vertigine e distacco rispetto alle aspettative è voluto e calcolato. Senza questi elementi, il risultato sarebbe parso prevedibile, forse già visto.

Ecco il vero twist: “Suspiria” è un giano bifronte. Più tenta di distaccarsi dal capostipite argentiano, più ne diventa dipendente. E’ un’opera difficile, che necessita di più revisioni per essere compresa fino in fondo. I sentimenti che suscita sono molteplici, e forse non tutti positivi. Ma in ultimo, emerge la consapevolezza di avere assistito a 2 ore e 30 minuti di vero Cinema.