Dopo il passo falso della seconda stagione, True Detective raccoglie le idee e torna dopo 4 anni con un terzo capitolo decisamente più ispirato e, soprattutto, con uno scopo narrativo ben definito. Parliamo come ben sapete di una serie antologica, quindi discontinua tra una stagione e l’altra, ma c’è un fil rouge che mantiene le fila di tutto il progetto, un’atmosfera che, se nella famosissima stagione con Matthey McConaughey e Woody Harrelson si è profilata in elementi come una visione nichilista e predatoria della vita e delle tematiche crude in ambienti estremi dal punto di vista sociologico come angoli “bui” degli Stati Uniti, nella seconda iterazione perde gran parte dei canoni impostati perdendosi in intrecci noir, tutto ciò che era rimasto in comune era il titolo e ciò che esso significa, nel senso letterale: la “verità”, niente tecnologie iperavanzate, nessun complotto di massimi sistemi o mondi esoterici nascosti tra le pieghe della realtà, ricompensa inevitabilmente misera quando a mancare è una scrittura ispirata e delle dei personaggi poco definiti come quelli della stagione con Colin Farrel, Vince Vaughn, Rachel McAdams e Taylor Kitsch.
Nic Pizzolatto, creatore della serie, si ferma, prende la rincorsa e sforna una buona storia, contornata da un dramma umano dei più toccanti e da attori prevedibilmente formidabili.
Wayne Hays (Mahershala Ali) e Roland West (Stephen Dorff) sono due detective a cui viene assegnato un delicato caso che ha destabilizzato una comunità sull’orlo della crisi e una famiglia a pezzi, la sparizione dei fratelli Purcell. Un caso che si protrae per decenni e che è, in fondo, un tramite per narrare il protagonista e tutta la miriade di concetti che gli gravitano intorno, soprattutto le ferite emotive della guerra, la fallacia della memoria umana, il tempo e l’importanza dei legami personali.
Una narrazione letteralmente intrecciata, tre periodi che si sovrappongono tra loro portano avanti lo svolgimento della trama senza affollare l’attenzione dello spettatore ed intersecandosi nei momenti giusti per aggiungere sempre nuovi dettagli alla ricerca della risoluzione del caso, forse il più grande fallimento della carriera dei protagonisti. Una storia sufficientemente semplice per un intreccio molto più intricato ma dei più riusciti, supportato da una fase di montaggio brillante ed una regia il cui obiettivo principale è amplificare le sensazioni dei personaggi per farci sentire come se fossimo nella loro testa, non recettori passivi ma parte di un’esperienza narrativa.
L’alchimia tra Ali e Dorff è uno dei lati positivi nonché uno degli elementi forti del progetto True Detective: il contrasto tra i due protagonisti, la chiusura e di Hays contrapposta all’emotività burbera ma anche stranamente pragmatica di West stabilisce una tensione continua che ci aiuta nella comprensione psicologica del personaggio di Mahershala Ali, che, per inciso, non è probabilmente mai stato così in forma come in questa stagione. È stato più che all’altezza di una sfida davvero impegnativa, quella di rappresentare un personaggio di per sé complesso e in tre stati psicofisici ed emotivi molto diversi tra loro. Il giovane Hays, fresco del conflitto armato in Vietnam ma ancora volenteroso, motivato ed aperto; l’Hays padre, paranoico, ferito dal fallimento ed ossessionato dal rancore; infine l’Hays anziano, disorientato dalla malattia, perso e ritrovato dalle persone che gli stanno intorno. Ali è un mostro in tutti i ruoli, interiorizza tutte le vicissitudini del personaggio e le mette in scena con dei movimenti studiati nel dettaglio, dal passo felpato del cercatore di Vietcong all’incedere incerto dell’anziano, lo sguardo intriso di riflessioni, di rancore ma anche di assenza di memoria, di spaesamento, la lingua affilata in gioventù e il dialogo continuamente spezzato in vecchiaia. Chi ha vissuto da vicino il decadimento di una persona anziana sa perfettamente la sensazione disarmante di pendolo tra momenti di serenità ignara e di frustrante lucidità. Nel nostro modesto parere, qui Ali è stato perfetto.
Per riallacciarci all’inizio, dove si piazza questa stagione nella filosofia di True Detective, che percorso fa proseguire al filo conduttore per dare finitezza al progetto? Se deviamo l’occhio dalla trama e lo puntiamo sui protagonisti, ecco dove troviamo la nostra risposta: personaggi alla deriva, maledetti da un lavoro che li costringe a stare in contatto e a ragionare nell’ottica di criminali viscidi ed avidi, e da un mondo infame che si frappone fra loro e la persecuzione della felicità.