Lo scorso 31 Maggio 2019 Netflix ha distribuito sulla piattaforma di streaming, When They See Us, miniserie tratta dalla vera storia dei Central Park Five, la cui regia è affidata a Ava DuVernay, già nota al grande pubblico per il film Selma – Strada per la Libertà. La serie, uscita nel silenzio generale nel nostro paese, è diventata subito uno degli show di maggior successo della piattaforma nel territorio Statunitense.

La serie segue le vicende antecedenti alla sera del 19 Aprile 1989, in cui una donna di 28 anni, Tricia Meili, facendo jogging dopo il lavoro, è stata aggredita e stuprata e successivamente lasciata a morire. La polizia ha ritrovato la donna solo dopo una chiamata per un gruppo enorme di ragazzi che stavano facendo “Wilding” a Central Park. Un gruppo composto anche da minorenni è quindi tenuto in custodia dalla polizia che, con un caso di così grande impatto politico, si è trovata a dover trovare in fretta un responsabile, ed in questo caso toccò a cinque giovani ragazzi: Antron McCray, Kevin Richardson, Yusef Salaam, e Raymond Santana junior, ai quali poi si aggiunse Korey Wise in un secondo momento.

La polizia, pressata dal pubblico, si era così convinta che fossero loro i colpevoli, anche se la parte centrale delle confessioni che la polizia aveva estorto erano discordanti proprio sul fatto dello stupro, ma ormai l’opinione pubblica aveva già deciso, così come la polizia, che si trattasse dei colpevoli. I Cinque passarono così tra i 6 e i 14 anni imprigionati per un crimine che non avevano commesso. Solo nel 2002 furono completamente riabilitati quando il vero colpevole si fece avanti.

Il Caso dei Cinque di Central Park è uno dei casi di cronaca più famosi della storia della Giustizia Americana, in cui il sistema della giuria e anni di progressi nel perfezionamento dei processi criminali sono venuti meno e hanno rovinato la giovinezza di cinque ragazzi che non saranno più gli stessi dopo questo evento. La miniserie doveva quindi riassumere in 4 episodi un processo durato più di 6 mesi ed anche la riabilitazione del gruppo insieme ai problemi che hanno avuto nel rifarsi una vita dopo il periodo passato in prigione e con una fedina penale sporca. Un compito estremamente difficile considerando anche quanto il caso ebbe un impatto sull’opinione pubblica portando addirittura imprenditori a chiedere la pena di morte per i cinque, come Donald Trump e quindi bisognava selezionare esattamente i punti salienti che hanno portato a quella che effettivamente è stata la condanna. Da questo punto di vista Ava DuVernay ha fatto un ottimo lavoro a portare su schermo non solo il processo, ma anche il processo d'”indagine” effettuato dalla polizia e anche le tribolazioni della famiglia durante i mesi del procedimento penale e anche negli istanti successivi alla condanna, riuscendo a portare lo spettatore vicino ai cinque protagonisti, ci si stringe intorno a loro e anche se si sa come va a finire, non si riesce a non sperare in un verdetto di “innocenza”.

Lo stringersi intorno ai ragazzi non è solo causato da una solida sceneggiatura, ma anche dall’ottimo lavoro svolto da tutto il cast, sia dagli interpreti da giovani dei ragazzi così come dei famigliari e degli adulti, d’altronde è stato messo insieme un cast notevole che vede attori come Chris Chalk, Michael K. Williams, Vera Farmiga, Famke Jansen, Joshua Jackson, John Leguiziamo tra i tanti. Ma sono sopratutto i ragazzini a dimostrarsi capaci di far trasparire l’alienazione che provavano in quei momenti di interrogatorio, dove tutte le prassi della polizia vengono infrante per riuscire ad avere dei cattivi nel più breve tempo possibile per questioni politiche e riuscire a gestire la paura che in quei mesi comandava la vita dei Newyorkesi.

La regia è lasciata completamente in mano alla DuVernay che, come in Selma, ci racconta le vicende attraverso immagini non eccessivamente patinate, ma che trasportano all’interno della storia, e non si trascina in virtuosismi eccessivi in una storia non facile da dirigere ma nemmeno da digerire per lo spettatore. Va però spezzata una lancia in favore di un sapiente uso del montaggio: infatti, l’urgenza della situazione e la drammaticità della situazione sono ancora più sottolineate dal montaggio, alcune volte veloce, altre volte molto più classico ma che riesce bene a dare l’idea del trascorrere del tempo e mette anche in confronto un prima ed un dopo, come nella puntata 3 in cui vediamo l’entrata in prigione dei cinque e l’uscita di 4 su 5 dei ragazzi ingiustamente imprigionati.

When They See Us non è una serie facile da vedere, ma una volta iniziata si è portati a vederla tutta e finirla il più presto possibile, sia per l’ottimo lavoro di produzione ma soprattutto per far finire lo strazio e riuscire a scappare da quella spirale di dolore ed ingiustizia. Il finale dunque, seppur lascia speranza, non fa in modo di far sparire la sensazione di stretta al cuore e anzi allevia solo un po’ le difficili emozioni che la miniserie genera nello spettatore. E’ un vero peccato che Netflix non abbia pubblicizzato molto questa serie perché in realtà merita veramente tanto e dovrebbe essere mostrata nelle scuole ,sopratutto perché proprio dal punto di vista formale questo è un vero e proprio film dalla durata di 6 ore.