[der Zweifel] Il film che ha risvegliato il populista che è in me

0

Les Saveurs du palais è il classico film francese. Diretto da Christian Vincent, è ispirato dalla vera storia di Danièle Mazet-Delpeuch, cuoca del presidente della repubblica francese François Mitterand.  Non aspettatevi un gran film, anzi. Vincent dirige un film banale, come ce ne sono molti. E come molti altri film dei cugini d’Oltralpe.

Les Saveurs du palais è un film noioso e per nulla avvincente, e soprattutto fastidioso. Mi sono pentito, quasi all’inizio, di non aver impiegato diversamente il mio tempo. Ma sono comunque arrivato fino alla fine. Amo farmi male evidentemente.

Hortense Laborie è una famosa cuoca che vive nel Périgord, regione rurale famosa per le eccellenze gastronomiche. Ma il film inizia con lei in una remota landa australe al seguito di una missione scientifica. È la cuoca della base. Una documentarista australiana, colpita dal suo fare misterioso, vuole sapere di più sul suo passato e quando scopre che ha lavorato come cuoca del presidente francese vuole farla partecipe del suo documentario. Un argomento da Oscar. Si torna poi indietro nel tempo (si sviluppano così due archi narrativi separati), a quando Hortense viene prelevata dalla sua abitazione  e portata a Parigi per servire nella cucina di un funzionario dello stato. Quando scopre di dover lavorare per la cucina privata del Presidente della Repubblica Francese non si sente all’altezza. Ma accetta comunque l’incarico. Fin qui nulla di strano. Solo che ho trovato la storia un po’ sciapa. Non trovo nemmeno strano che il presidente abbia dei pasti personalizzati rispetto agli altri dipendenti dell’Eliseo. È l’atteggiamento della cuoca che mi da sui nervi. Vuole controllare tutto, e occuparsi dell’approvvigionamento delle materie prime direttamente evitando le lungaggini della burocrazia francese. Ma la burocrazia esiste per controllare le persone, solitamente pronte ad approfittarsi. Invece Hortense, della cui onestà non discuto, vuole trattare lei con i fornitori, tutti della sua regione, tutti cari. La cucina privata del presidente è però pagata dai francesi, che potrebbero anche, e giustamente dico io, indignarsi. E indignarsi per una spesa migliaia di euro a pasto solo per far godere il presidente dei sapori di una volta non è pauperismo, ma buon senso. Fossero pasti ufficiali, con ambasciatori, ministri e rappresentanti delle categorie sociali, ci starebbe tutta una consistente spesa. Ne va dello stato. Può anche piovere champagne.  Ma quando nelle cucine e negli uffici sono tutti in fibrillazione per la cena di famiglia del pres sono rimasto allibito. Ora spiegatemi perché il facchino di Saint-Denis debba pagare col suo lavoro la cena al cugino del nipote della sorella della moglie del presidente. Ma stiamo scherziamo?!

Non posso che farmi trascinare dall’onda populista vedendo e sentendo certe cose. È quasi naturale.

Meglio l’italica casta, che almeno investe il denaro pubblico nel classico pacchetto coca e mignotte, sicuramente migliore di una cena tra quei serpenti dei parenti.

Ora vedo di calmarmi e di passare oltre. In fondo i problemi sono ben altri!