Alita – Angelo della Battaglia di Robert Rodriguez | Recensione

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Alita - Angelo della Battaglia

Alita – Angelo della Battaglia è il film tratto dall’omonimo manga di Yukito Kishiro e portato sul grande schermo da Robert Rodriguez. Prodotto da James Cameron (che ricopre anche il ruolo di co-sceneggiatore) e Jon Landau, è un pellicola in cui riponevamo molte speranze, ma il cui risultato non è una gran cosa.

Detto così potrà sembrare un commento un po’ caustico, dopotutto il trailer ci mostra immagini notevoli per quanto riguarda la realizzazione della CGI necessaria per la protagonista e la voce narrante delinea i tratti di una trama apparentemente complessa e articolata, seppure un po’ stantia nelle sue premesse. Ecco, in uno di questi due punti il trailer mente, o meglio, assolve la sua funzione di mezzo di marketing ed esagera la verità per creare aspettativa. Purtroppo, per alcuni, per fortuna per altri, la menzogna non sta nella spettacolarità dell’immagine, che c’è tutta. Da questo punto di vista Alita è forse uno dei film dove la computer grafica rende al meglio il movimento umano, nella sua dinamicità ed espressività; nelle scene d’azione ogni gesto, anche il più rapido, è reso con fluidità quasi perfetta, non si ha mai quella sensazione di perdita di frame, come se nello spostarsi dal punto A al punto B il personaggio si fosse “teletrasportato” sullo schermo.

Il paragone con Ghost in the Shell viene spontaneo per diverse ragioni, non da ultimo il fatto che le due protagoniste hanno capacità fisiche e atletiche similari; bisogna ammettere tuttavia che, a fronte di due scelte differenti, quella di aiutare Scarlett Johansson con la CGI e un’abile montaggio per rendere al meglio le scene d’azione e quella di digitalizzare, in modo totale, Rosa Salazar, la seconda si riveli vincente a mani basse, almeno per quanto riguarda la possibilità di seguire il personaggio in ogni movimento concitato, che poi per questo genere di scena è tutto. Anche l’espressività facciale, che certamente rivela l’artificialità dell’immagine, è tuttavia molto realistica e crea un effetto “plastico” appropriato per un personaggio che, in fin dei conti, è artificiale e, in certa misura, plastico. I lati positivi purtroppo finiscono qui.

Come si accennava all’inizio, il trailer mente nel presentarci la trama; proprio all’inizio infatti possiamo sentire la voce fuori campo di Alita descrivere a grandi linee le caratteristiche salienti di un futuro distopico, una serie di battute non presenti nel film. La promessa implicita in quel che dice è: “andate al cinema e ne saprete di più”. Falso. Il contesto in cui è inserita la vicenda non potrebbe essere meno chiaro, sappiamo che siamo sulla terra, l’anno è pressappoco il 2600, e l’umanità si concentra apparentemente in due luoghi: Salem, una città sospesa in cielo, e la città del ferro, costruita esattamente sotto la prima. Questi due luoghi simboleggiano anche le uniche due classi sociali esistenti, i nobili e la popolazione comune, più o meno povera.

In generale si ha la sensazione, che il film vorrebbe tramutare in certezza, che i nobili di Salem siano anche oppressori del popolo sottostante, ma non si capisce esattamente come si concreti questa oppressione. Certo, la vita nella città di ferro è dura, come lo stereotipo della periferia vuole, ma non è chiaro quali siano i mezzi impiegati da Salem per mantenere questo stato di oppressione e, a dirla tutta, non si respira affatto un clima di ribellione. In questo scenario si inserisce Alita, un cyborg incredibilmente avanzato, antico almeno 300 anni e progettato dall’ormai sconfitta fazione antagonista di Salem, della quale non ci è dato sapere nulla, se non che aveva sede su Marte. Alita viene ritrovata casualmente dal dottor Daisuke Ido (Christoph Waltz) nella discarica sottostante Salem (dove probabilmente stava da decenni, se non secoli, eppure ancora in superficie). Il dottore, resosi conto dell’importanza del ritrovamento, la porta nel suo studio e ricostruisce il suo corpo cibernetico utilizzando parti meccaniche che aveva progettato per sua figlia, al tempo gravemente invalida e, ormai, defunta.

Al suo risveglio Alita realizza di non avere alcun ricordo della sua vita passata e, desiderosa di conoscere il mondo, inizia a girovagare per le strade della città di ferro, evidentemente non troppo sicure per una minuta ragazzina, suscitando l’apprensione del dottor Ido che la tratta fin da subito come se fosse sua figlia. Durante i suoi vagabondaggi Alita conoscerà Hugo (Keean Johnson), di cui finirà per innamorarsi (non esattamente un colpo di scena) e scoprirà di possedere una forza e una capacità di combattimento fuori dal normale. La trama a questo punto si dipana in diverse direzioni, ognuna delle quali convince poco e, sopratutto, non ha una vera finalità. Per completezza, proveremo a riassumerle nel modo più chiaro possibile, il che significherà, purtroppo, fare un’operazione accostabile al ben noto “elenco della spesa”.

Alita scopre che il Dottor Ido ha una doppia vita, di notte, infatti, è un “braccatore”, una sorta di cacciatore di taglie, ci viene spiegato che lo fa principalmente per poter avere i soldi necessari a tenere aperto lo studio medico anche se, inizialmente, aveva iniziato per vendicare sua figlia, uccisa da un criminale. E’ una parte della storia che inizia a trovare uno scopo solo quando anche Alita diventa una braccatrice, cosa che, tuttavia, non incide in nessun modo sullo svolgimento della vicenda, che si sarebbe sviluppata e conclusa allo stesso modo indipendentemente da questo avvenimento.

Approfondendo la conoscenza con Hugo, Alita viene a conoscenza del “Motorball”, uno sport estremamente violento praticato dai cyborg. La figura principale nel mondo del Motorball è Vector (Mahershala Ali), una sorta di facoltoso talent scout per quanto riguarda gli atleti di questa disciplina, affiancato da Chireen (Jennifer Connelly), ex moglie del dottor Ido, separatasi da lui dopo la morte della figlia. Si intuisce che Vector abbia qualche sorta di rapporto con Salem, in particolare con il misterioso Nova (Edward Norton), che può prendere il controllo della sua mente a piacimento, ma nel complesso è un personaggio dai contorni estremamente sfocati, difficile da racchiudere in un ruolo ben preciso. L’unica informazione veramente rilevante in questa finestra narrativa è strettamente correlata al Motorball, infatti ci viene rivelato che l’unico modo per un cittadino di città di ferro di accedere a Salem è diventare Ultra-campione della disciplina (un premio opinabile, dal momento che tutti gli atleti sono dei criminali violenti e non è chiaro come mai dovrebbero volerne accogliere uno).

Ultimo tra gli avvenimenti principali è il ritrovamento, da parte di Alita, di un corpo bionico conservato all’interno di un’astronave ribelle precipitata. Per coincidenza il corpo in questione si scopre esser stato costruito proprio per lei, o comunque per il suo “modello” e, dopo qualche esitazione, il dottor Ido acconsentirà a “trasferirla” in esso. Queste sono le informazioni che il film ci fornisce, quelli che dovrebbero essere i punti cardine della storia e che, di conseguenza, dovrebbero condurre a qualche sviluppo e poi ad un finale coerente.

Purtroppo nulla di tutto ciò accade, al contrario, l’antagonista della vicenda diventa, di punto in bianco, Nova, un personaggio di cui non sappiamo letteralmente nulla al di fuori del fatto che pare essere una sorta di sovrano di Salem, che non si capisce bene se sia preoccupato dall’esistenza di Alita oppure se voglia impadronirsi del suo cuore, un reperto di antica tecnologia perduta capace di generare un’energia pressoché illimitata. Alita dal canto suo non ha nessuna ragione per volerlo combattere se non appunto per autodifesa o per un ricordo del suo addestramento, improvviso, in cui la sua insegnante le diceva che il vero nemico è proprio Nova. L’assenza di una ragione alla base del rapporto tra protagonista e antagonista porta a crearne una ad hoc, in modo precipitoso e francamente assurdo, che fa affondare le speranze di una storia di rivoluzione e ribellione degli oppressi contro gli oppressori a favore di una modesta e mesta storia di vendetta personale, che nemmeno si realizza.

Nel complesso il film lascia l’amaro in bocca e la sensazione che una grande occasione sia stata sprecata, è amareggiante vedere quanto spesso un grande dispendio di mezzi e fondi dedicati al comparto tecnico non si accompagni ad un equivalente sforzo nella scrittura di sceneggiature degne o, quanto meno, coerenti.

E’ precisa intenzione di chi scrive non fare paragoni con l’opera originale, innanzitutto perché non la conosco abbastanza da parlarne ma, in particolar modo, perché credo che un film, come qualunque altra opera d’arte, vada giudicato per quello che è, non per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Alita, purtroppo, è un film manchevole di quelle caratteristiche che rendono bello un film, a prescindere dalla sua coerenza con l’opera originale.