Atlanta Stagione 2 – La Malinconia della vita delle celebrità | Recensione

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Atlanta

Dopo un’attesa che sembrava non finire è arrivata anche la seconda stagione di Atlanta, la premiata serie tv di FX creata ed interpretata da Donald Glover.

La seconda stagione della premiata serie arriva in un momento di grande notorietà per Glover che seppur molto impegnato trova il tempo tra un “This is America” ed un “Solo: A Star Wars Story” di scrivere una delle dramedy più intelligenti sulla piazza.

Earn” (Donald Glover) continua nella sua impresa di rendere “Paper Boi” (Brian Tyree Henry) un rapper di successo mentre i problemi della figlia ad adattarsi alla sua scuola e il rapporto con la fidanzata di sempre, Vanessa Keefer (Zazie Beetz) continua a portare scompiglio nella su vita. Nel frattempo nuove possibilità fanno dubitare Alfred “Paper Boi” che suo cugino sia il manager di cui ha bisogno in questo momento ed Earn deve trovarsi una nuova sistemazione quando un amico appena uscito di prigione di Alfred si presenta alla sua porta.

La serie ci aveva già stupito con la prima stagione, ma questa seconda stagione sovverte i canoni che già la prima aveva ampliamente ribaltato delle dramedy con l’aggiunta di situazioni e personaggi sempre più strambi e parodistici della comunità Americana. Donald e Stephen Glover riescono con questa seconda stagione a cogliere tutti gli strambi elementi della multiculturale società Americana, così ampia ma allo stesso tempo così chiusa nelle sue tradizioni, emblematico di questo anche l’episodio “Il Viaggio di Helen”, dove Earn e Van si trovano a far visita alla cittadina di quest’ultima, che difficilmente riesce ad accettare Earn ma che a vista dello spettatore è ancora più stramba degli amici dell’uomo, che diciamocelo non sono la normalità nemmeno tra i rapper, soprattutto suo cugino Paper Boi.

Gli sceneggiatori hanno una dote unica, riescono a far succedere tante cose, ma che allo stesso tempo nella storia di Earn e Paper Boi sono giusto spaccati, che nella trama hanno poco di rilevante ma che allo stesso tempo riescono ad interessarti con veramente poco, e il sopracitato episodio ne è un esempio, in una serie che si prefigge l’obiettivo di raccontare l’America, il rap e con dei personaggi, 11 episodi sembrano tanti, ma per come Glover ha strutturato questa serie sono sempre pochi. Vale la pena citare episodi come “Barbershop” dove Paper Boi ha un’avventura particolare con il suo barbiere mentre cerca di farsi tagliare i capelli, anche se questo non sembra proprio dell’umore o ancora “Teddy Pearkins”  dove Darius si trova nella casa di un riccone, recluso che assomiglia incredibilmente a Michael Jackson e incredibilmente lascia il segno sullo spettatore proprio per questa somiglianza, l’intero episodio inoltre è inquietante, non fa ridere, fa uscire dei sorrisi sibillini allo spettatore ma che non fanno altro che essere reazioni ad un impossibile continuo ribaltarsi degli eventi che lo tiene sempre sulle spine e sul chi va là.

Si continua poi con episodi come “Champagne Papi”, dove si parodia il mondo delle feste e di tutto quello che c’è annesso, infatti, Van e le sue amiche sono invitate alla festa di Drake Nye, e mentre speravano di poter incontrare Drake si trovano invece di fronte alla evidente verità che la festa non è altro che un modo per vendere la propria persona attraverso i social, sull’argomento si torna nella puntata successiva “Woods”, dove Paper Boi viene coinvolto prima in una discussione con la sua ragazza e poi la vita gli sbatte in faccia il suo essere proprietà di tutti ma non di sè stesso ormai e di questo se ne dovrà fare una ragione.

Dal punto di vista della regia abbiamo una precisa idea, essere malleabile ed adattarsi a tutte le situazioni improbabili che vengono in mente ai Glover. Come al solito Glover coinvolge in questa avventura, Hiro Murai, con cui ha collaborato in tanti videoclip del suo alter ego musicale, Childish Gambino ed Amy Seimetz, che sembra ombra di dubbio dirigono alcuni dei migliori episodi della stagione oltre che dei piccoli e propri gioielli della televisione moderna così come la puntata “Talk show” della stagione uno. Donald Glover partecipa anche lui come regista in questa stagione, che vede Earn in disparte rispetto a Paper Boi e Van, molto più protagonisti e ci regala “Barbershop” e “Fubu”,due episodi che staccano un pò dalla sensazione di malinconia che accompagna questa stagione che indaga nella celebrità di Paper Boi e nella ricerca di indipendenza di Van. Alla fine proprio grazie alla sinergica collaborazione tra tutti e tre ogni episodio ha una identità ben chiara e fa di ogni singola entità un piccolo mediometraggio che viene trasmesso con cadenza settimanale e che presenta praticamente gli stessi personaggi ormai ben conosciuti dagli spettatori in situazioni più o meno divertenti, ma che sempre lasciano un retrogusto amaro accompagnato da un sorriso.

La musica è un altro elemento molto importante all’interno della serie, e questa seconda stagione non si smentisce anche sull’apporto musicale inserendo canzoni di L’ill Wayne con 2chainz come Mfn Right (Remix) e altri senza dover fare la lista completa (quella la potete trovare tranquillamente su google), perché sono da scoprire durante la serie e viverle attraverso di essa, soprattutto grazie all’utilizzo intelligente che viene fatto di ciascuna di esse non solo una colonna sonora passiva.

Atlanta torna con la sua seconda stagione più irriverente, più libera e senza freni di sorta che portano Glover e i suoi compagni a portare all’eccesso già quello che abbiamo visto nella prima stagione, luoghi comuni dei rapper, luoghi comuni verso i neri e verso lo stile di vita delle celebrità. Non è una serie facile, non vi strapperà solo un sorriso, ma anche qualche risata amara, ed in fondo è giusto così.