[der Zweifel] Attori francesi e cinema italiano

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Chi sono gli attori di origine francese più famosi in Italia? Dopo un’attenta indagine e una rassegna appositamente creata, quella che era solo una domanda senza risposta, si è trasformata in qualcosa di concreto. Il cinema italiano, il più bello e sofferto, quello rimasto per anni in testa alla classifica, quello che va dagli anni sessanta fino ai novanta ma poco oltre, ha avuto una forte influenza da parte di personaggi non propriamente italiani. Alcuni attori francesi hanno svolto un ruolo essenziale per l’industria cinematografica del nostro paese, apportando modifiche recitative con le quali ora possiamo parlare di capolavori come “Novecento” di Bernardo Bertolucci, “La terrazza” di Ettore Scola, “Amici Miei” di Mario Monicelli, “La grande abbuffata” di Marco Ferreri o “Il sorpasso” di Dino Risi. E sono solo alcuni dei tanti titoli oggi conservati e per fortuna ancora visti e rivisti. Possiamo perciò parlare di un cinema puramente svolto all’interno di questa sagoma di stivale, nostro, tipico, con l’aggiunta di un tocco straniero, più romantico e gentile. Tale influenza viene proprio dalla vicina Francia, con la quale ci è sempre stato un forte legame, nel cinema soprattutto, partendo dalle varie produzioni franco-italiane e, appunto, da mix di attori di lingua francofona e italica. Verranno citati cinque protagonisti di questo cinema lontano, sebbene sempre amato e mai dimenticato.

In primis, voglio nominare quello a cui sono più affezionato e che forse resta uno dei più noti grazie al suo sguardo, alla particolarità del suo viso, e alla miriade di film ai quali ha preso parte: Philippe Noiret. Come dire il classico francese con naso leggermente pronunciato e una bella pappagorgia. Luoghi comuni che abbondano a prima vista, poi subito messi da parte una volta apprezzato come attore dai tanti ruoli. Nato nel 1930 ha preso parte, ancora giovanissimo, a produzioni prima in terra natia e poi per tutta Europa con registi del calibro di Hitchcock, per fare un esempio. Intorno agli anni settanta, quando in Francia è già un avviato attore, il regista Marco Ferreri lo chiama per il ruolo di uno dei quattro amici che decidono di porre fine alla propria vita mangiando fino alla morte. Con un cast d’eccezione, “La grande abbuffata” lancia Noiret nella popolarità, arrivando pochi anni dopo in Italia nel cast di “Amici Miei”. Monicelli gioca ben due volte con quest’attore nella saga omonima, e molte ancora in altri film di tutto rispetto. Successivamente Scola, Sordi, Valerio Zurlini, Sergio Citti, Rosi, Zeffirelli e Tornatore si passano con il tempo questo esemplare personaggio. In Italia entra appieno in quel cinema scherzoso, di maschera nascondendo la sua anima più seria e drammatica che perfeziona in opere francesi. Uno dei suoi ruoli più belli, oltre al giornalista Perozzi e al proiezionista Alfredo in “Nuovo Cinema Paradiso”, è sicuramente quello di Pablo Neruda ne “Il Postino” in un’irresistibile e poetico duetto con Massimo Troisi. Muore a Parigi nel 2006.

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Il mostro dei mostri, quello che ha girato di tutto, che si è sporcato di più le mani in Francia o all’estero, con film campioni d’incassi o semplicemente con vere e proprie ciofeche, è di sicuro Gerard Depardieu. Con lui il cinema italiano, ma soprattutto mondiale, cambia faccia e ospita il suo energico e spassionato carattere recitativo. L’infanzia strampalata in piena povertà ne fa un personaggio pubblico al quanto riguardevole, ma in campo cinematografico non gli si può dire niente, sennonché abbia veramente apportato modifiche sostanziali di recitazione e anche di costume. Formatosi in Francia, esce quasi subito dal cinema locale. Bertolucci lo richiede a fianco di Robert De Niro in “Novecento”, film del 1976. Sebbene lo scarso successo, almeno all’estero, dell’opera, Depardieu svetta per il ruolo del contadino comunista Olmo Dalcò oscurando un po’ il collega statunitense che non si sente proprio a suo agio in un colossale affresco di storia italiana come questo. Ferreri lo vorrà in “Ciao maschio” e da questo momento la sua è una fama in continua crescita, raggiunta in un tempo assai breve. Ogni genere di pellicola gli viene affidata e lui accetta quasi sempre non negando il suo volto e la sua bravura. Film italiani, francesi, americani o inglesi portano sempre la sua faccia. Lo si ricorda in “Hamlet”, ennesima trasposizione dell’opera teatrale diretta da Kenneth Branagh, “La maschera di ferro”, nella serie di film dedicata ai personaggi dei fumetti “Asterix e Obelix”, “1492 – la conquista del paradiso” di Ridley Scott. In Italia, sebbene svariati ruoli e personaggi sempre differenti e avvincenti, ci tengo profondamente a citare il ruolo di Onoff duettando con il regista, ora in vesti di attore, Roman Polanski nel film noir “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore. In questo caso, Depardieu supera se stesso e il ritmo del film è scandito dalla sua recitazione e da quella un po’ più statica di Polanski. Ottenuta la cittadinanza russa per evitare problemi in Francia, Depardieu si è trasformato in un personaggio scomodo; ma noi lo amiamo lo stesso.

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Non sono molti che hanno potuto vedere “La Grande Abbuffata” di Marco Ferreri. Descritta come un capolavoro edonistico da Luis Buñuel, è un film di una crudezza sconcertante sebbene alcune scene possano destare in un primo momento un riso istintivo. Si ride più che per la comicità di alcuni attori, come Tognazzi o quella più quieta di Noiret, per non pensare al peggio, cioè a ciò che avviene minuto per minuto, e che nasce in primis nell’immaginario del regista milanese. Il grottesco che taglia il film è ben presente anche nella scelta degli attori. Michel Piccoli, che qui interpreta il produttore televisivo con disturbi di aerofagia, è senza dubbio uno dei più interessanti personaggi dell’intero cast. Cito questo film in particolare poiché, come successe anche per Noiret, fu il trampolino di lancio per Piccoli verso il cinema italiano. Un vero trampolino che lo condusse in Italia dove ottenne un ulteriore successo. Successo che non ha cessato di esistere. Quasi quarant’anni più tardi lo ritroviamo nelle vesti di un Papa che, colto da una depressione e da ripensamenti continui, decide di non voler accettare la nomina come nuovo pontefice. È forse l’attore francese al quale più si addice il genere grottesco, e sebbene più sfumato, anche in “Habemus Papam” di Nanni Moretti torna il ruolo di timido, impacciato, ingenuo come già lo si era visto ne “La Grande Abbuffata”. Grande presenza sullo schermo, ha sempre mantenuto un buon rapporto con il nostro cinema; rapporto che, nonostante gli anni, non si è indebolito. Dall’opera di Ferreri, a quella di Moretti, corre un lungo periodo di altrettante pellicole, eppure, e potrei sbagliarmi, i due ruoli si accomunano creando una sorta di cerchio in cui tutto torna con brio, capacità, metodo e improvvisazione.

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Jean-Louis Trintignant è coetaneo di Noiret e Piccoli ma il ruolo da ingenuo bonaccione romantico è un biglietto da visita utilizzato più volte nelle produzione cinematografiche di Cinecittà. Il suo esordio parte con “Il sorpasso” di Dino Risi; da quel momento non si è più fermato, continuando a sfrecciare come la Lancia Aurelia del film. Scola, Monicelli, Zurlini, lo stesso Risi, non hanno potuto fare a meno di quest’attore così piacevole. Porta sempre con sé l’animo di un malinconico personaggio, più sentimentale e carino. Forse il film che più riesce a distaccare Trintignant da questa caratteristica è “Il conformista” del 1970. Torna Bernardo Bertolucci che scorge nell’attore francese anche un lato più oscuro, meno piacevole e più sgradevole che è circoscritto nella figura del fascista Antonio Clerici. Trintignant, così come Piccoli e altri colleghi, non ha lasciato mai il mondo del cinema. Gli ultimi film da lui interpretati da Michael Haneke.

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Ultimo grande protagonista è un altro instancabile francese, la cui più grande predilezione è stata quella del caratterista. Ruolo da non sottovalutare mai se l’attore che interpreta la parte è Philippe Leroy. Attore dai tanti volti, forse a volte dalle piccole parti, ma con un atteggiamento che è sempre presente. Iniziando con la fortunata serie televisiva “Sandokan”, in cui interpretava il ruolo di Yanez, Leroy ha girato a poco a poco ogni set possibile e immaginabile. Lo troviamo in polizieschi così come in commedie spicciole, erotiche o quelle più forti e incisive. Il suo sguardo è riconoscibile subito in film degli anni novanta fino ad oggi. Molti ruoli, molte parti, ma le interpretazioni che più preferisco, sebbene di breve durata, sono: la prima nel film di Leonardo Pieraccioni “Il pesce innamorato”, in cui recita alcuni minuti la parte dell’autista che fuma la sigaretta e racconta al protagonista parte della sua vita. La seconda è quella del geologo Dal Piaz nel film “Vajont” del 2001.

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Se vi siete persi alcuni di questi grandi interpreti consiglio subito di andare a vedere qualche loro film.