[der Zweifel] Columbo – Il primo amore non si scorda mai

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Quest’oggi ho deciso di gettarmi anch’io, sebbene per breve tempo, nel mondo delle serie televisive che impazzano come una febbre tra i giovani e tra coloro che ne hanno sempre usufruito come una visione lontana da quello che può essere definito un semplice passatempo.

La nuova moda del momento è ormai da anni in continua crescita. Un film di una o due ore sembra non bastare più per i tele dipendenti che apprezzano ancora di più il fatto che la storia non si esaurisca in una sola visione, ma che continui ancora a lungo prima di lasciarsi alle spalle quella storia e passarne a un’altra.
Questo sembra essere ciò che veramente più si desidera. È sicuramente un bene; una forma d’arte che, a differenza di un film, può avere delle varianti narrative all’interno della stessa trama; varianti che si ingrossano e infittiscono. Sceneggiatori e scrittori di serie TV hanno sicuramente spazio a sufficienza perché riescano a prendere in mezzo molte delle idee che in poche ore cinematografiche andrebbero perse mentre si cerca di risparmiare tempo, tagliando parti che solo in versione più allungate possono essere viste. Una serie televisiva da al proprio creatore la possibilità di non dover fare a meno di quelle parti per lui essenziali. Per questo il mondo della televisione da spazio a forme d’arte, come per l’appunto le serie, che non hanno una rigida imposizione temporale e contenuto.
La crew artistica che prende parte alla regia, ma soprattutto alla scrittura, non si sente legata mani e piedi e la fantasia non verrà sprecata e deturpata da limiti imposti.
Lo spettatore agguerrito, d’altra parte, si crogiola in instanti che sembrano infiniti, in una vicenda che non termina con una sola visione ma che continua attraverso più episodi. E qui si potrebbe parlare dell’amplificazione dei personaggi la cui personale storia e personalità è descritta ancor più da vicino.

Tuttavia, benché ne abbia declamato le doti, credo che non sarò mai un tipo da serie televisiva. Il fascino di un film visto al cinema o anche di fronte ad un plasma, non sarà mai oscurato dall’episodico vortice di una serie. Questo è quello che pensavo fino a pochi giorni fa; poi mi sono dovuto ricredere. Amo il cinema e una buona storia raccontata con quel particolare stratagemma ormai secolare. Eppure, pensandoci bene, sono più che sicuro di aver peccato anch’io una volta. Il “peccare” di cui parlo è quello di aver scimmiottato gli appassionati dei serial accusandoli, senza rendermi conto che anch’io mi innamorai di una di queste. La nuova arte che si è insediata in me e che ora mi porta a confessare.

Se devo veramente elogiare la nuova arte, cosa doverosa perfino per i più maniaci cinefili, quelli del paga il biglietto e torna a casa, è importante per me e così spero anche per altri, partire forse da una delle più amate e al contempo più longeve serie della storia della televisione. Sto parlando del mitico e inimitabile Columbo, conosciuta in Italia come Il tenente Colombo. I più attenti sanno che per ogni episodio cambia l’assassino, le vittime e di sicuro anche i metodi d’indagine, ma l’eroe è sempre lo stesso.
Basso e un po’ tarchiato, con un sigaro sempre accesso e lo stesso impermeabile logoro, la vecchia macchina e l’occhio di vetro. Poche parole per descrivere uno dei personaggi televisivi più straordinari e mitici, che fanno parte della storia e sono loro la realtà dei fatti. Il motivo per il quale abbia scelto di venerare questa serie, sebbene non ne sia ora un amante, è perché cinema e televisione si mescolano all’unanimità con gli altri elementi. C’è l’elemento televisivo, ovvero che fu trasmesso nelle televisioni americane dal 1968, quando l’episodio pilota convenne che avrebbe fruttato soldi e ammiratori. In Italia, solo a partire dal 1977.
Dieci o quindici anni fa Rete 4 ritrasmetteva vari episodi della serie senza sosta. Per me che erano le prime volte che lo guardavo, appariva come qualcosa di straordinariamente interessante, ironico e serio, divertente e brioso come un qualunque poliziesco. Ma ecco che entra un altro elemento, quello cinematografico. La regia e l’attenzione fotografica che veniva riposta alle scene si accomunavano perfettamente all’elemento del grande attore di cinema e teatro. Benché abbia partecipato a film magnifici a fianco di grandi attori come John Lennon, John Cassavetes, Peter Sellers o Spencer Tracy, Peter Falk riuscì ad ottenere il tanto sperato successo mondiale solo quando apparì per la prima volta nell’episodio pilota della serie, “Prescrizione: Assassino”.

Accanto a questi due elementi c’è la trama che non smentisce mai, un vero e proprio marchio di fabbrica. In ogni episodio si conosce fin da subito il volto dell’assassino e come abbia fatto minuziosamente a pianificare l’omicidio senza lasciare tracce. Una sorta di rivalsa sociale perché gli assassini e le vittime facevano sempre parte della classe medio alta della società americana: attori, avvocati, direttori d’orchestra, scrittori, campioni di scacchi, giovani eredi, industriali, e tutto accadeva sempre per una questione di soldi o di trionfo personale. Come dire che le efferatezze non dovevano avvenire solo tra le classi più basse e impossibilitate. Quando si era certi che non avrebbero mai preso l’assassino, ecco da lontano arrivare una vecchia macchina sgangherata; una Peugeot 403 grigia cabriolet del 1959. L’uomo che scendeva dalla vettura non dava l’idea di saper fare il proprio mestiere. Lo sguardo perso nel vuoto, aumentato anche dal vero occhio di vetro dell’attore, l’andamento lento e il modo di grattarsi la testa come di chi non riesce a raccapezzarci molto. Poi c’era quel modo costante di parlare sempre dei suoi affari privati; della moglie che per tutta la serie non si vede mai, del cane, dei suoi Hobby da uomo comune. All’assassino non pareva neanche il vero di trovarsi davanti un poliziotto maldestro e impacciato come quello. Erano sempre sicuri che l’avrebbero sfangata; lo spettatore la pensava allo stesso modo, anche se sapeva come andava a finire.

Jack Cassidy: ha quasi sempre interpretato l’assassino.

Quando Colombo cominciava a tornare più spesso non era mai un buon segno. “Ah, un’ultima cosa”, la frase tormentone della serie che tutti aspettavano. Quando diceva quella battuta significava che il caso era ormai risolto e l’assassino in trappola. Altra cosa non meno importante da ricordare è che nessun assassino reagisce in maniera violenta o tenta di scappare quando Colombo smaschera la loro colpevolezza. Tutti sono così messi duramente alla prova da Colombo e dai suoi continui interrogatori bonari e qualche volta anche un po’ ingenui, che quando arriva il momento di agire diventano esausti e si costituiscono all’autorità con il sigaro senza tante storie, quasi in stato di grazia e verso un’esistenza più tranquilla. Per lo spettatore, e così divenne anche per me, la cosa più fantastica di ciascun episodio non era tanto la suspense iniziale dell’omicidio, neanche il personaggio dell’assassino era la cosa più importante, quanto seguire le mosse del protagonista diventava l’attesa priorità. I suoi passi e la spiegazione finale che rendeva tutto chiaro e vero, incontrastabile.

Bruno Ganz e Peter Falk in “Il cielo sopra Berlino”

Harry Cohn della Columbia Pictures rifiutò Falk durante un casting, dicendogli: «Per gli stessi soldi posso avere un attore con due occhi». Senza ombra di dubbio fu la grandissima verve attoriale di Falk a rendere ogni episodio della serie estremamente avvincente, facendo emergere la figura del commissario italo americano come una delle più sofisticate della televisione. La stessa cosa, oggi, avviene per altri prodotti dello stesso genere come Breaking Bad quando ci si accorse della bravura di Bryan Cranston, già attore da svariati anni. Oppure della squadra di Gomorra. Lo stesso accadde per un attore già formato come Peter Falk, che si ritrovò a partecipare ad un esperienza che lo descrisse come un interprete a tutto tondo. Questa è sicuramente una delle migliori possibilità che una serie televisiva può dare; conoscere meglio il personaggio con il quale si ha a che fare. Un personaggio che, oltre alla notorietà, lo prese a tal punto da non poter più fare a meno di interpretarlo anche in altri film. Ne Il cielo sopra Berlino, Wim Wenders lo chiamò per interpretare se stesso in viaggio verso Berlino per girare un film sui nazisti. Recita la parte di un commissario americano che, ad un certo momento della storia, paragona il suo ruolo da investigatore con quello di Colombo, dicendo che quest’ultimo avesse più carisma e fosse più facile da interpretare.

 

Quando Falk morì nel 2011, all’età di 83, non se ne andava solo un grande attore. Con tutta probabilità un pioniere delle tante novità che la TV di oggi offre al suo vasto pubblico in continua crescita.