[der Zweifel] I Due Colonnelli – Oltre la guerra e le donne, l’amicizia

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Un nuovo progetto, una nuova collaborazione, nuove sfide. È questo che piace a chi ama mettersi in gioco. E non si può dire che a noi di der Zweifel non piaccia! L’aver scelto persino un nome difficile da pronunciare e scrivere a chi, come molti, non maneggia il perfido tedesco è stata una scommessa. Ora vi chiederete chi siamo, con quali pretese scriveremo come ospiti su RedCapes.it una volta a settimana, e soprattutto cosa vogliamo. Che dire!? Siamo i giovani gestori di un piccolo blog che si illude di interessare gli altri. Con questo spazio speriamo di farlo!


 

-Badate colonnello, io ho carta bianca!

-E ci si pulisca il culooo!

 


Soltanto da questo scambio di battute tra il severo maggiore nazista Kruger e il colonnello Antonio di Maggio, si può intravedere ne I due Colonnelli, non soltanto una semplice commedia in puro stile italico, ma quella prima strada che dal Neorealismo degli anni 40 e 50 porta alla commedia di costume che fu grande modello di cinema e satira per quasi tutta la seconda metà del novecento. Film del 1963, diretto da Steno, nome d’arte di Stefano Vanzina, non è sempre messo in una buona posizione nella classifica delle opere di quegli anni, soprattutto in quelle interpretate da Totò. Considerato da alcuni un blando rifacimento de “i due nemici”, diretto solo due anni prima da Guy Hamilton e con protagonisti Alberto Sordi e David Niven. In realtà, andando a fondo in questa parodica farsa, quelle ripetizioni, pregiudizi e modi di dire che caratterizzano i personaggi, specie il “vulcanico”, latino colonnello italiano e il compito e controllato colonnello inglese, non fanno altro che accentuare una maggiore originalità già sperimentata in pellicole precedenti e che qui viene raggiunta con l’unica frase a sfondo osceno recitata dal principe della risata in tutta la sua carriera da attore. Un forte atto di presa di posizione e di definitivo stabilimento di un contrasto tra il pensare teutonico e quello italico, tra l’Italia e la Germania, facendo comprendere come sia sempre stata impossibile un’alleanza tra i due, e l’odio e le incomprensioni l’hanno sempre fatte da padrone in mezzo alle due nazioni europee (cosa che tutt’ora, sebbene con grandi mutamenti e in maniera molto più democratica e attuale, avviene comunque). Per chiudere il discorso con il film di Hamilton e quello di Steno, il regista italiano riesce con grande mancanza di serietà verso temi più profondi e riflessivi, proprio a raggiungerli con incisivo occhio spassionato e leggero e a scavalcare l’altro film con un imbattibile Totò che ha veramente carta bianca e che si sbizzarrisce con movenze, dialoghi pimpanti, battute rapide e incisive in un flusso di soddisfacente godimento secondo per secondo. Dall’altro lato, oltre alla spalla fedele di Nino Taranto, altro grande mattatore e comico, c’è l’interpretazione di un sobrio, a prima vista, Walter Pidgeon, nei panni del colonnello inglese Timothy Henderson, che sebbene sia solo un colono britannico, perché in realtà canadese, da una classica ma non meno originale descrizione del militare inglese che da retto uomo d’onore e di self control, cade anch’egli preda della geniale facilità comica di Totò, dando così spazio ad un fantastico duetto multilingue che scorre via senza interruzioni (una scena in particolare, quella della sbronza tra i due amici/nemici che finisce con loro che cantano e danzano sulle note di Funiculì Funiculà).

Nella Grecia della seconda guerra mondiale, il piccolo paesino di Montegreco è più volte conquistato e occupato dalle truppe italiane e a turno da quelle inglesi. Un tira e molla che sembra non finire mai. A capeggiare il piccolo esercito italiano è il colonnello Antonio Di Maggio che è sempre più convinto di poter battere una volta per tutte il nemico britannico e vincere la guerra, mentre i suoi soldati non vedono l’ora di tornare a Montegreco solo per potersi riaccasare con le donne del posto con le quali avevano instaurato un rapporto amoroso. Nelle file inglesi, il colonnello Timothy Handerson gioca le sue carte con pazienza e calma e non si scompone più di tanto quando è costretto, per l’ennesima volta, a lasciare il villaggio con l’arrivo degli italiani. La situazione si rovescia quando i due colonnelli s’incontrano di persona. Il colonnello inglese è catturato dagli italiani, successivamente sarà lui stesso a fare prigioniero il colonnello Di Maggio che mal sopporta. Dopo alcune angherie, scoprono di non essere poi così dissimili, e il loro rispetto reciproco si fa più forte quando vengono a sapere che entrambi sono concessi alla bella Iride, la quale, però, riesce a escogitare un modo per non essere di nessuno dei due e restare fedele al marito. Quando vengono a sapere che la donna con la quale tutte le notti si addormentavano non era Iride ma la vecchia mamma Penelope, i due decidono di dimenticare la vicenda ubriacandosi e cantando. Dopo di che, Di Maggio è fatto travestire da ufficiale inglese dallo stesso Handerson che gli salva la vita dalle grinfie dei cittadini di Montegreco che volevano la sua pelle. Con quel camuffamento riesce a tornare dai suoi uomini e successivamente, al loro fianco, arriverà anche il maggiore tedesco Kruger. Quando Di Maggio si rifiuta di sparare contro il villaggio e la popolazione, è arrestato dai nazisti i quali decidono di condannarlo a morte e a guidare il plotone d’esecuzione sarà proprio il sergente Quaglia e i suoi soldati. Quaglia rifiuta di dare l’ordine così Di Maggio, da grande ufficiale, decide di guidare egli stesso il plotone per la sua esecuzione, ma al suo ordine i soldati gettano le armi a terra e così sono tutti messi al muro in attesa di essere fucilati. Prima che le mitraglie possano sparare gli inglesi e il colonnello Handerson arrivano in loro soccorso e salvano la situazione. I due colonnelli, felici di rivedersi, diventano alleati e continuano a guerreggiare, ora fianco a fianco. La pellicola si conclude con il colonnello Di Maggio che chiede il permesso a Handerson di andare al bagno dopo il pericolo scampato e il sergente Quaglia che gli indica il luogo desiderato.


-Presto sfondate quella porta!

-Ma colonnello, c’è sua suocera.

-Sfondate quella suocera!

 


Ma perché dovremmo considerarlo un buon prodotto cinematografico? Il fattore risata è, come in altri film di Totò, una cornice per poter descrivere dell’altro più nascosto e di grande valore morale. Qui, specialmente, tutto ciò che sembra sommerso in battute di poco conto che scaturiscono un riso sincero senza preoccuparsi del resto, emerge mano a mano che la trama continua e si concretizza in movenze e piccolissime riflessioni che possono celare tutto il riassunto di un periodo governato dalla dura mano del totalitarismo europeo, di una guerra difficile e impensabile, già persa in partenza, dell’abominio scaturito dalla mancanza di una visione più ampia, della follia umana e di tutte quelle che hanno preceduto e si sono susseguite prima di arrivare a scherzarci sopra. Perché sebbene altri maestri italiani e non abbiano mostrato il lato ironico e cinico della guerra, “I due colonnelli” è una mescola di tutti quei malcontenti nati e delle vittime di quell’epoca, trasposte e riportate in un’unica risata generale, come solo un film italiano può, in questi casi, fare, spingendosi ben oltre. Più di una volta battute a sfondo antifascista, o di un malcontento più generale, viene scandito dalla presenza di vari personaggi che ruotano attorno ad una figura più grande che riassume: Il tenente Quaglia (Nino Taranto) è il fido, per così dire, compagno del maggiore Di Maggio che sa come la situazione sia tanto dura quanto impossibile da portare avanti. Tra scattanti dialoghi e giochi di parole cerca di distogliere il suo maggiore da questa pazzia e lo frega a volte, pur di salvarsi la pelle; alla fine la sua fedeltà e amicizia si farà più forte tanto da non abbandonarlo: “Quaglia sciocco. Sciocco Quaglia”. Il colonnello Handerson (Walter Pidgeon) è il classico ufficiale inglese che non attacca prima di aver preso il tè. Molto più attaccato alle regole del suo nemico italiano ma che in alcuni casi gli si avvicina per carattere e modi di fare (anche lui gode della compagnia della bella Iride, costretta ad accontentare sia l’inglese sia l’italiano). La pipa è la sua compagnia più fedele, che getta nel momento in cui riesce a salvare Di Maggio dalla fucilazione. Iride è la donna contesa dai due colonnelli, la quale non perde la sua fedeltà verso il marito nascosto e lascia che sia la madre Penelope a soddisfare, senza essere riconosciuta, i due ufficiali. La truppa italiana è la classica accozzaglia di gente dal dialetto e dai costumi diversi; ognuno di essi ha un suo particolare modo di affrontare la guerra e le situazioni più scomode. Tutti uniti, però, dalla nobile arte puramente italiana di semplificare e riassumere con cinismo e amara allegria la vicenda. Inutile dirlo, il colonnello Antonio Di Maggio (Totò), li prende tutti e si fa volto di un’Italia che sebbene le diverse epoche e problemi, è sempre in piedi, malinconica e allegra, a pezzi ma sempre scherzosa, come se il peggio non fosse mai arrivato definitivamente, ma solo sforato.

A far da cornice alla vicenda è il piccolo paesino di Civita di Bagnoregio, nella zona di Viterbo, che nulla a che vedere con il paesaggio e lo stile architettonico tipico della Grecia, ma che per un film a basso costo come questo andava più che bene e lo spettatore s’ingegnava meglio che poteva nell’immaginarsi un vero territorio greco. Così, con i mezzi del cinema e della fantasia, i calanchi viterbesi diventano montagne balcaniche e le case di Civita veri e propri edifici di quella parte d’occidente. Steno, forse a sua insaputa, ma sicuramente cosciente, sa di fare cinema di serie B, come si è soliti chiamarlo, ma allo stesso tempo una critica sempre verde è cosparsa nella sua opera che molti non ritengono all’altezza ma che probabilmente è possibile catalogare come uno dei film di guerra italiani più belli con il principe De Curtis come colonna portante. È sicuramente la semplice realizzazione che rende l’insieme risibile e amabile.


-Ma dico, questa guerra la vogliamo fare o non la vogliamo fare? Perché se non la vogliamo fare me lo dite. Io scrivo a Mussolini e ce ne torniamo a casa, va bene?

-Magari.

-Ti piacerebbe, eh.

Colonnello Antonio Di Maggio