[der Zweifel] Dall’interno del conflitto: Il Prigioniero Coreano e L’Insulto

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Tra i tanti film in uscita nel mese di aprile, uno ha catturato la mia attenzione: Il Prigioniero Coreano di Kim Ki-Duk.

La piccola barca a motore di un pescatore nordcoreano va in avaria nei pressi del confine marittimo tra le due Coree. Le guardie di confine nordcoreane non riescono ad ucciderlo (prassi quando qualcuno sta attraversando il confine, volente o nolente) e il pescatore va alla deriva verso la Corea del Sud. Qui si troverà di fronte ad una nuova realtà che rischia di metterlo nei guai: la sua famiglia è rimasta infatti nell’altra Corea.

In un momento storico come questo un film del genere permette di sviluppare molte riflessioni e capire anche qual è la visione in loco della difficile questione coreana.

Dopo un 2017 di tensione , fatto di test missilistici e minacce, il 2018 si è aperto con una parziale riappacificazione grazie allo svolgimento dei Giochi Olimpici Invernali a Pyeongchang, in Corea del Sud, dove le squadre delle due Coree hanno sfilato insieme alla cerimonia di apertura.

Tra le due Coree c’è una realtà completamente differente: è quello che sembra capire anche il pescatore quando è accompagnato da un funzionario a fare un giro per Seoul.

Ma la ricchezza e la libertà sembrano essere niente in confronto ai propri cari, agli affetti di una vita.

Il film è diretto dal regista sudcoreano Kim Ki-Duk premiato sia al Festival di Cannes che alla Mostra del Cinema di Venezia, il quale non vuole fare una propaganda del sistema capitalistico sudcoreano né un’apologia del regime del Nord. Proiettando il film per la prima volta in assoluto al Toronto International Film Festival del 2016 il regista coreano vuole presentare quella che è una realtà più complicata che una semplice contrapposizione tra bene e male. Se i soldati nordcoreani di guardia al confine sono pronti a sparare al povero pescatore alla deriva, dall’altro lato della zona demilitarizzata non sono da meno: torture, violenza psicologica e minacce, pur di ottenere una verità che non esiste ma che vogliono comunque sentirsi raccontare.

Analizzare il conflitto con gli occhi delle parti in gioco permette sempre di calarsi nella situazione in una maniera più completa e intensa. Lo stesso avviene in L’Insult, film libanese di Ziad Doueiri, dove si entra nel cuore della complessa e tesa situazione etnica dello stato dei cedri.

Tony Hanna è un meccanico cristiano che ha un diverbio con un palestinese che lo insulta. Da lì la situazione degenera e finisce in tribunale, dove da un banale caso tra due comuni cittadini la questione diventa di interessa nazionale e viene sfruttata per sobillare tensioni mai del tutto sopite all’interno della società libanese.

Certe tensioni, certe storie, certi rancori non sono comprensibili visti da fuori. L’occhio del regista è importante per cogliere le sfumature che caratterizzano questo enorme miscuglio di sensazioni: odio, rancore, dolore, tristezza, orgoglio, speranza nella pace e persino malinconia.

Per questo mi aspetto un film sicuramente interessante da parte di Kim Ki-Duk. Tuffarsi nel pieno della questione coreana con gli occhi di qualcuno che la tensione tra Seul e Pyongyang  la vive dalla nascita sarà sicuramente un’esperienza di accrescimento culturale che non mancherà di fare.

Perciò consiglio anche a voi di recarvi in quelle poche sale che proietteranno questo film e vi do appuntamento dopo il 12 aprile, data di uscita nei cinema italiani de Il Prigioniero Coreano.

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La recensione di The Insult dei ragazzi di der Zweifel qui.