[der Zweifel] L’Habemus Papam di Nanni Moretti

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Nanni Moretti

Parliamo di “Habemus Papam”. Pellicola del 2011 scritta, diretta e in parte interpretata da Nanni Moretti. Perché proprio questo film vi chiederete voi. Per chi lo avesse visto, ciò che intendo dimostrare è che tale film è un profondo connubio tra vecchia e nuova arte, tra antichi ideali e nuovi pensieri. Un mix di elementi fedelissimi alla poetica del cinema del grande Nanni, che in questo film ce la mette tutta per creare un’atmosfera travolgente che prende lo spettatore e lo trascina assieme a tutta la storia. Assieme a “La stanza del figlio”, del 2001 che concesse al regista l’onore di vincere la palma d’oro alla 54° edizione del festival del cinema di Cannes, “Habemus Papam” è una delle sue opere più belle. Non vincitore dell’ambito premio francese, tuttavia la sua buona parte di riconoscimenti li ha ottenuti, specialmente in Italia, dove è stato accolto molto favorevolmente.

Giunti alla fine del precedente pontificato, i cardinali si riuniscono per eleggere il nuovo Papa. L’atmosfera di pesantezza riecheggia in tutta la Cappella Sistina attraverso i pensieri scossi e intimoriti dei presenti, ognuno con l’inconfessato desiderio di non essere scelto. Ecco che una prima critica viene fuori; dopotutto è sempre un film di Nanni Moretti, il quale, però, procede con cautela senza gettare troppo e subito carne al fuoco. Dopo una prima votazione, conclusasi con una fumata nera, ecco risollevarsi il livello di ottimismo nella sala e il misterioso e taciturno cardinale Melville stravince lo scrutinio aggiudicandosi il posto come nuovo pontefice. Nel suo volto c’è confusione e ansia ma i compagni cardinali lo invitano ad accettare cantando un tedeum. La folla intanto è impaziente di conoscere il novello eletto, ma quando questi è vicino alla proclamazione pubblica, poco prima del consueto “habemus papam”, il povero vecchio uomo caccia un urlo che mette a disagio tutti i presenti; ad una sua supplica d’aiuto i cardinali non sanno che fare e lui si alza e scappa via rifugiandosi nella cappella dove era stata consumata la votazione. La città di Roma e il mondo intero sono sotto shock ma ancor di più il povero Melville che non riesce a capire cosa gli stia succedendo. Vengono tranquillizzati giornalisti e fedeli e di corsa convocato un analista che possa aiutare il Papa. Entra in scena Moretti con il suo solito fare furbastro e mieloso; per chi lo conosce apprezza la sua anti attorialità e il suo fare antipatico da saccentello, ma assai divertente. Il cardinale decano Gregori e il portavoce Marcin Raijski invitano il professionista a non fare domande che riguardino la sessualità, la giovinezza, i desideri infranti, la madre e soprattutto i sogni. Circondato da tutti i curiosi cardinali, l’analista non riesce ad entrare nella mente del suo eminente paziente e così viene obbligato a restare in Vaticano fino a quando il Papa non si sia rimesso del tutto, senza più contatti con il mondo esterno. Eppure aveva in precedenza detto a Raijski che anche sua moglie era analista; il portavoce così, colto da un’ingenua ma doverosa illuminazione, chiama al rapporto gli uomini della sicurezza e senza far sapere niente ai cardinali porta Melville da questa analista con la speranza che con lei si possa aprire di più. Ciò che doveva durare solo un giorno prende una brutta piega. Melville, uscito dallo studio della dottoressa chiede a Raijski di voler fare due passi ma, come d’incanto, sparisce dai suoi occhi e da quelli delle guardie. Mentre il portavoce torna al Vaticano inventandosi che il papa è nelle sue stanze e si sta rimettendo, Melville fugge per le strade di Roma, si nasconde tra la gente comune e cerca disperatamente una soluzione ai suoi problemi ritornando dall’analista la quale gli dice di avere il “deficit di accudimento”. Non sapendo cosa la donna voglia dire è sempre più perso in pensieri confusionari e non gli resta altro da fare che restare da solo in una stanza d’albergo. Quella stessa notte, mentre il mondo continua a domandarsi che fine abbia fatto il papa, quest’ultimo viene svegliato da un attore di una compagnia teatrale, che pernottava nello stesso hotel, in preda ad un attacco di pazzia che recita senza sosta un pezzo del Gabbiano di Checov. Melville, che segue l’attore recitando con lui alcune parti della Piece, si ricorda tutt’ad un tratto qual era il suo sogno nel cassetto e durante i successivi giorni decide di seguire la compagnia tra prove in teatro e cene insieme.

Nel frattempo, nella santa sede, l’analista Moretti fa amicizia con il resto della congrega amicandosi i cardinali con una partitina a scopa, la scelta degli ansiolitici da prendere e l’ideazione di una partita di pallavolo come metodo per superare quelle ore disagianti e inaspettate. Le squadre sono: Europa A ed Europa B, America del sud, Africa e tre soli componenti dell’Oceania. L’atmosfera si rianima durante questo strano e a dir poco inconsueto torneo ma dopo la confessione di Raijski ai cardinali bisogna prendere una decisione e così tutti insieme vanno a cercare il santo padre che, nel frattempo, è a teatro impegnato ad ammirare la commedia di Checov. In quell’istante, sotto i volti stupiti e increduli degli attori e del pubblico in sala, i rappresentanti della chiesa di Roma si radunano in teatro e danno letteralmente la caccia a Melville il quale fa finta di niente. Tuttavia viene scoperto e riportato in conclave dove sarà vestito e pronto per il suo tanto atteso discorso. La folla è in delirio tra bandiere e gridi di festa e così sembrano anche i cardinali, affacciati dai vari balconi della basilica. Ma il discorso di Melville è conciso e chiaro. Scusandosi dinnanzi ai fedeli non riesce ad accettare quell’importante incarico e in una scena che rasenta la fine del mondo lascia ed esce da quel maestoso palcoscenico con la ferma volontà di non poter e non voler accettare di essere guida del gregge, poiché egli stesso è uno di quelli che deve essere guidato.

La scena finale non racchiude tutto il significato del messaggio che Moretti, con questo film, ha voluto dare. Bisogna leggere attentamente tra le righe. Iniziamo dicendo che senza la magnifica scelta degli attori non sarebbe stato il film che oggi tutti conosciamo e apprezziamo. Tra i vari interpreti possiamo immediatamente notare quelli che vestono i panni dei cardinali. Troviamo Renato Scarpa, nella parte del cardinale Gregori, che con il suo sguardo e il suo tono bonario intende dare prova di un uomo ligio alle leggi non tanto di cristo quanto del buon comportamento nello stato pontificio. Non si presenta come uomo arrogante o rigonfio di orgoglio ma tuttavia un individuo legato a quel mondo e a quella parte di società che si crede intoccabile, quindi non propenso ai cambiamenti o alle intrusioni con l’esterno. Tuttavia, ad un certo momento della trama, si lascia sfuggire frasi di apprezzamento nei confronti dell’analista. Ma in generale troviamo caratteristi importanti del cinema italiano e non solo. Camillo Milli, grande attore della commedia all’italiana, ripresenta ancora una volta il ruolo del cardinale. Lo abbiamo già visto nei panni di un cardinale nel film di Monicelli “Il Marchese del Grillo” e in quello di Luigi Magni “In nome del Papa Re”. Se queste due interpretazioni potevano sembrare per lo più di un semplice leccaculo fastidioso, in “Habemus Papam” ci offre un ruolo di un cardinale più giocherellone, chiacchierone, saputello e infinitamente divertente. A reggergli il gioco, altri attori e caratteristi come Franco Graziosi, il cardinale Bollati, e Peter Boom, cardinale neozelandese, che molti di voi ricorderanno nei panni di un frate iettatore che ricorda a Troisi di dover morire nel film “Non ci resta che piangere”.

Ancora un cast ricco; troviamo nei panni dell’ex moglie di Moretti Margherita Buy. Jerzy Stuhr in quelli del portavoce Raijski e Dario Cantarelli nel ruolo dell’attore pazzo, già interprete di molti film del regista romano. Ma la vera star che, nonostante gli 86 anni, recita con una forza imponente e penetrante da ragazzo è Michel Piccoli, grande mostro del cinema francese, italiano ed internazionale, che è forse proprio con questo film che riesce a dimostrare ancora una volta la sua bravura contemplata, spontanea e non indebolita dal corso degli anni. È proprio grazie alla sua interpretazione che il film può considerarsi in parte riuscito. L’altra grande forza della pellicola è l’aver saputo scegliere degli argomenti interessanti, forse anche scomodi (sacri), e averli trattati non con tanta leggerezza come alcune scene sembrano invece comunicare. Moretti non muove a caso le sue pedine nella scacchiera ma fa in modo che tutti gli elementi, discordanti tra loro, trovino un preciso equilibrio fino ad arrivare alla scena catartica, in cui ogni cosa e ogni speranza sembrano perdersi.

Eppure lo reputo un film abbastanza ottimista. Prendere un argomento come l’elezione di un Papa che non se la sente di fare il Papa è un modo per dire che siamo tutti uomini e tutti capaci di sbagliare, di decidere se fare una cosa oppure no. Nessuno è superiore all’altro e tutti siamo forti in alcune occasioni e deboli in altre. Poi c’è il fattore della psicoanalisi inefficace su un uomo di chiesa che invece dimostra tutto il contrario. Eppure il non credere di Moretti è velato e non troppo volgarmente stampato in faccia allo spettatore.

L’equilibrio tra elementi discordanti che vi dicevo prima, è riassumibile in alcune scene fondamentali: la prima, quella dell’urlo prima della proclamazione, dimostra come anche un uomo di chiesa, e in questo frangente un futuro Papa, possa avere problemi ad accettare un incarico del genere, che si ritrova ad avere dei dubbi esistenziali. Eppure cerca anche in questo momento di non perdere la fede.

La seconda è quella del colloquio tra l’analista e il Papa. Il santo padre non può essere lasciato solo con lo specialista al quale è vietato esporre quasi tutte le domande più banali di uno psicanalista. Una delle scene più divertenti in cui scienza medica e fede non riescono a trovare un punto d’incontro. Come a dire, forse, che nessuna delle due è veramente efficace e superiore.

La scena del teatro vero e proprio mescolato alla teatralizzazione della chiesa. Anche quello di un Papa è un ruolo, una parte di teatro che bisogna recitare con libertà d’improvvisazione pur restando all’interno di canoni prestabiliti, usuali, come se si stesse interpretando un’opera verdiana, dove non sempre il cambio e l’improvvisazione sono bene accetti. Il cardinale Melville, invece, si getta in un personaggio totalmente nuovo, stando a simboleggiare la crisi interiore. Scende da quel palcoscenico in porfiro rosso con eleganza, con classe, eppure non certo della reazione del suo pubblico. Reazione inevitabile alla sopravvivenza.

Senza contare quella finale, altra scena fondamentale è quella del torneo di pallavolo tra cardinali. Una chicca gustabile e piacevole. Ci si allontana per un attimo dai problemi del presente e con del sano sport si riesce a portare serenità e gioia tra le genti ma soprattutto fiducia e comprensione. La crisi del Papa non deve essere per forza un modo per fermare il mondo, e Moretti tocca l’argomento con un’idea carina e piacevole.

Quindi, l’anticlericalismo non è solo una ludica critica bensì un’introspezione più saggia e profonda. Si toccano i temi della fede, dell’errore umano, della vita quotidiana e dei suoi problemi. Non sempre tutto deve terminare con un lieto fine. A mio dire, la scelta del regista di far concludere il film con questo grande rifiuto da parte di un uomo che dovrebbe essere il faro, ha un significato che può sembrare negativo ma che rispecchia tutt’altro. La capacità di capire quando fermarsi, quando accettare le proprie paure e se l’ostacolo è troppo grande e pericoloso non bisogna sempre affrontarlo con spavalderia solo perché  imposto da leggi antiche e superiori. Saper capire che non siamo pronti a tutto e che c’è sempre e comunque un momento in cui si deve tornare per forza indietro. Una tematica riassunta con vari dettagli che si notano nel film e che fanno pensare; persino quelle leggerezze che sembrano non avere importanza e invece sono quelle lo specchio della realtà. La vecchiaia che rende confusi e scorbutici, una diagnosi psicanalitica non sempre vincente, i bisticci tra due bambini che portano a rivivere il passato o una cena con gente semisconosciuta dove si può parlare di tutto, e dove “capire” non è sempre indispensabile, basta essere in compagnia. Un cambiamento insito in ogni essere umano.