[der Zweifel] Ma questo è un coglione! No, è Maccio

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Voglio utilizzare lo spazio che mi è concesso per un elogio. Un elogio diretto ad un compagno. Un amico che mi ha accompagnato nella crescita personale e culturale. Parlo proprio di Maccio Capatonda. Come annunciato nel titolo. Nessuno scherzo.

Frequentavo le medie quando ancora il cellulare Motorola era uno status symbol capace di favorire l’ascesa sociale. Erano i tempi degli scambi col bluetooth: quando i video di internet si potevano vedere solo da fisso e si bisognava far bastare quello che circolava nel proprio gruppo d’amici. La rivoluzione culturale degli smartphone era ancora lontana e il ruolo di YouTube ancora secondario alla televisione nel campo dell’intrattenimento. E in televisione feci la conoscenza di Maccio e della sua gang. Ai tempi nemmeno ero cosciente di quello che avrebbe significato per il mio buonumore.

Erano i tempi di Jerry Polemica, quando Maccio, nei panni di un Michael Moore de noaltri, investigava sugli usi e costumi degli italiani per conto del servizio pubblico. Ma per quanto sia stata la televisione il mezzo con cui l’ho conosciuto, è su YouTube che l’ho apprezzato. Ai tempi del liceo, con l’avvento dei primi cellulari capaci di riprodurre video in rete con una velocità decente, la svolta è avvenuta. Maccio sì è diffuso come un verbo. Piccol, Drammi Medicali, Mariottide, La Febbra, Il Divano Scomodo, Sossoldi, Giammangiato, Mobbasta e Mobbasta veramente però sono così entrati di diritto nel mio bagaglio culturale e in quello dei miei compagni di ricreazione. La sua comicità demenziale, ironica, parodistica e da italiano medio ha rapito tutti e ha indicato la via. Lo sposalizio con la Gialappa’s Band ha poi regalato alcune perle degne di diventare patrimonio dell’umanità.

Maccio fa le battute che tutti vorrebbero fare, ma che tutti si vergognano a dire. Basta vedersi i suoi trailer per capire quello di cui parlo: veri e propri capolavori.

Aiutato anche da una folta schiera di grandi collaboratori, tra i quali Ivo Avido, Anna Pannocchia, Herbert Ballerina e Rupert Sciamenna, tutto d’un tratto lascia la rete per ritornare alla televisione. È il periodo di Mario, prima grande prova televisiva per il video maker abruzzese. Nel ruolo del conduttore di un telegiornale Maccio ripropone in parte il format dei video brevi, dai servizi del telegiornale alla pubblicità, inserito in un contesto narrativo non sempre lineare e sensato. Il tutto fa comunque ridere quindi ogni analisi ulteriore è superflua.

È nel 2015 che Maccio entra finalmente di prepotenza nei cinema italiani. Con Italiano Medio pronto a presentare all’Italia intera la comicità di Maccio molti dei suoi fan si chiesero se quel tipo di comicità fosse adatta per un film. Non lo era. Bisogna ammetterlo, senza tanti giri di parole. Italiano Medio è stato un grande contenitore di tutto il lavoro fatto prima di quel film: una sorta di antologia. Le battute e gli sketch di repertorio hanno divertito i fan, ricordandogli il contesto originale, ma hanno sconvolto gli avventori attratti dalla novità. Il film era slegato e privo d’organicità, e un insieme di sketch messi uno dietro l’altro non merita il costo del biglietto.

La fortuna di Maccio è il mio essere in debito con lui di ore e ore di divertimento gratuito.

Per questo sono andato a vedere anche Omicidio all’Italiana. E se nemmeno questo fosse stato un buon film, sarei andato lo stesso a vedere anche un terzo film. Dopo la franchigia sarebbe stata superata e il mio debito esaurito. Con questo secondo film Maccio fa un salto di qualità. Non diventa ovviamente un mostro sacro del cinema italico ma rende giustizia alle aspettative dei fan. E alle mie. In Omicidio all’Italiana la storia c’è ed ha pure uno sviluppo sensato (maccianamente parlando ovvio). La storia del paese di Acitrullo e dei suoi abitanti è trascinante e tremendamente vicina al reale. Vicina al reale. Non reale. Non fraintendete.  In Donatella Spruzzone c’è molto della conduttrice più amata del pomeriggio casalingo italiano. E nei suoi servizi non si allontana dalla morbosità dei veri “giornalisti” che popolano i palinsesti reali. Il Maccio demenziale affronta la realtà e la racconta a modo suo, come mai aveva fatto prima d’ora. È un grande passo avanti. Fatto sta che uscito dalla sala ero soddisfatto. Anche se le solite freddure alla Maccio non sono mancate. Anzi, il film finisce proprio con una battuta veramente molto brutta. Da scendere dalla platea, entrare nello schermo e prenderlo a schiaffi.

Ma in fondo gli voglio bene per questo.