Dumbo di Tim Burton – Quando la cura estetica non basta | Recensione

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Dumbo

Nonostante fosse un classico Disney per tutta la famiglia, Dumbo è stato capace di terrorizzare e segnare per sempre l’infanzia di molti di noi e proprio per questa ragione quando venne annunciato che alla regia di questo remake live action ci sarebbe stato Tim Burton le aspettative si sono alzate parecchio. Chi meglio di Tim Burton potrebbe rendere l’aspetto cupo e a volte grottesco di un classico per bambini? Ad incrementare ulteriormente le aspettative c’era anche un cast stellare, da Colin Farrell a Eva Green, da Danny DeVito a Michael Keaton. Insomma questo film aveva tutte le carte in regola per dare nuova vita alla storia dell’elefantino dalle orecchie enormi. Così però non è stato.

Iniziamo subito ponendo l’attenzione con il difetto principale del film, ovvero la scrittura. Infatti, nonostante si sia fatto uno sforzo per discostarsi dal classico Disney e quindi raccontare qualcosa di nuovo, il tutto risulta molto infantile e con pochi contenuti.  Si accenna a tematiche come lo sfruttamento degli animali nel circo che è presente ma rimane quasi sempre sullo sfondo o ancora l’elaborazione del lutto o la sindrome da abbandono che legano alcuni personaggi tra loro ma restano sempre accenni, non si scava a fondo nella psicologia dei personaggi e le tematiche perdono così di profondità.

Inoltre la caratterizzazione dei personaggi è molto elementare e a volte quasi inesistente. I due bambini, Millie e Joe, figli di Hold Ferrier (Colin Farrell) dovrebbero essere insieme a Dumbo i protagonisti, ma la loro caratterizzazione è minima. Millie viene presentata come una bambina amante della scienza, ma questa sua passione resta molto superficiale infatti raramente la vediamo fare degli effettivi esperimenti, sono più le volte in cui ci racconta di come vorrebbe farli. Di suo fratello Joe sappiamo molto poco, sembra quasi non avere una personalità e in molti momenti del film diventa un personaggio secondario.

Anche Colin Farrell ed Eva Green che interpretano rispettivamente Hold Ferrier e Colette Marchant sono poco rilevanti. Hold è un padre single, che ha ancora molte difficoltà nell’accettare la morte della moglie e soprattutto a relazionarsi con i figli con cui ha degli evidenti problemi di comunicazione, ma il film non gli permette di evolversi come personaggio, quindi resta sempre freddo e distaccato se non negli ultimi minuti, in cui si assiste ad un cambiamento repentino che sembra più dovuto all’esigenza di salvarsi la vita che un’effettiva crescita e presa di coscienza di sé e del suo ruolo di padre. Colette è una talentosa trapezista di origini francesi e anche lei ha poco da dire e poco tempo per farlo, infatti la incontriamo a metà film e il suo spazio è molto limitato e questo non ci permette di conoscerla e quindi di empatizzare con lei.

Gli unici che risollevano leggermente le sorti del film sono DeVito e Keaton che interpretano rispettivamente Max Medici, direttore del circo arrivista e pasticcione e V. A. Vandemere un architetto visionario e spregevole. Nonostante entrambi restino molto vicini a personaggi che già hanno interpretato nel corso nella loro carriera, anche diretti da Burton stesso, riescono comunque a trasmettere delle emozioni, positive o negative che siano, e soprattutto a farci entrare in questo mondo esagerato, fatto di fenomeni, di attrazioni, di cose e persone fuori dal comune. Riescono infatti a farci entrare nell’atmosfera che in teoria il film voleva rendere e che in parte è riuscito a dare grazie a questi due personaggi ma anche e soprattutto grazie ad un assetto visivo notevole.

Tutto si può dire di questo film tranne che non sia esteticamente bello a vedersi. La fotografia è molto curata, c’è un uso costante di colori molto saturi e accesi che richiamo immediatamente l’attenzione dello spettatore. Le scenografie sono altrettanto curate e stravaganti, riprendendo lo stile Art Déco tipico degli anni ’20 (epoca in cui è ambientato il film) ma accentuandone le caratteristiche creando così un’ambientazione particolarmente suggestiva, allegra e spensierata ma allo stesso tempo cupa e a volte inquietante.

Abbiamo quindi un film che da una parte presenta una storia e delle tematiche molto elementari e semplici più adatte sicuramente ad un pubblico di bambini e dall’altra un’atmosfera Burtoniana che può catturare grandi e piccini ma che non basta né agli uni né agli altri. La Disney infatti è solita realizzare film d’animazione di un certo livello che vanno a toccare argomenti complessi e spinosi ma li racconta con grande intelligenza ai più piccini e agli adulti, di conseguenza ci si aspetta sempre qualcosa di più.

In conclusione, vi consiglio comunque di andare a vedere Dumbo e farvi una vostra idea, soprattutto se siete appassionati del film d’animazione e delle pellicole di Tim Burton, ma di farlo cercando di tornare bambini.

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