Il decennio che stiamo vivendo è stato, per il mondo dei videogiochi, uno dei più ricchi di cambiamenti e di successo. Di pari passo con un’evoluzione tecnologica e tecnica sempre più rapida sotto ogni punto di vista, il settore del videogioco ha visto la nascita di nuovi fenomeni, una diffusione sempre maggiore, nuovi generi, piattaforme di streaming, servizi di abbonamento, nuove realtà videoludiche, e chi più ne ha, più ne metta.

Sembrano infatti ancor più lontani di quanto non lo siano i tempi in cui i videogiohi erano, al pari dei di fumetti, una sorta di sotto branca della cultura nerd: oggi è diventato molto più cool essere un gamer, ed è sicuramente un hobby che i giovani (ma anche i meno giovani) tendono a sbandierare con più orgoglio. Il merito è sicuramente, tra i tanti, dell’espansione del media, della definitiva consacrazione del mondo esport, di serie TV come The Big Bang Theory e dei social network.

Ma cosa ha significato questo decennio per il mondo dei videogiochi, quindi?
Come anticipato, un fenomeno imponente ed importante come l’esport ha trovato la sua definitiva consacrazione, diventando uno dei business emergenti dell’ultima decade: non a caso, soprattutto in Asia e negli Stati Uniti (ma anche in Europa, con qualche timido segnale anche dall’Italia), sono stati enormi gli investimenti di brand di vario genere nel mondo del videogioco competitivo, con team appartenenti a squadre sportive, con grossi investitori provenienti dal mondo dello spettacolo, dell’industria, dello sport. L’argomento meriterebbe un intero speciale dedicato, perché si tratta di un intero mondo che viaggia parallelo a quello dei videogiochi, intersecandosi con altri elementi cardine di questo mondo, come ad esempio lo streaming.

VideogiochiEd a proposito di streaming, anche quest’ambito del mondo dei videogiochi è cresciuto in maniera esponenziale: da YouTube, piattaforma in cui gli utenti caricavano gameplay dei propri videogiochi preferiti, si è passati alla figura dello streamer, che, soprattutto grazie a Twitch, piattaforma di proprietà di Amazon, ha creato un nuovo tipo di intrattenimento, di gestione della community, con gli streamer che spesso sono anche influencer, con figure come il celebre Ninja, uno dei giocatori più famosi del mondo ed autentica macchina da soldi del settore.

Esattamente a metà strada tra l’esport e lo streaming si pongono alcuni dei videogiochi più amati del decennio, come League of Legends, il MOBA di casa Riot, Hearthstone, il gioco di carte di Blizzard, Overwatch, FPS cooperativo multiplayer sempre di casa Blizzard, e molti altri titoli che hanno contribuito, ricevendone popolarità in cambio, alla crescita del mondo dell’esport (LoL è l’esport per eccellenza) e delle già citate piattaforme di streaming.

Streaming e multiplayer, dicevamo: impossibile dunque non parlare di Fortnite, uno dei videogiochi più influenti e discussi della decade. Il gioco free to play battle royale di casa Epic Games è uno di quei prodotti che dividono: da un lato, amato da milioni di giocatori (e causa principale dei guadagni e della popolarità di personalità come il sopracitato Ninja), dall’altro portabandiera di un genere, il Battle Royale, che ha saturato il mondo del gaming e che, nonostante qualche momento di flessione, ha portato nelle casse di Epic cifre astronomiche. Un modello di business copiato, ma quasi mai eguagliato.

E il caro, vecchio gioco single player? Ecco, questo è un argomento spinoso e delicato: in un mondo sempre più social, sempre più interconnesso, le software house hanno puntato decisamente forte sul multiplayer, andando a sfornare videogiochi principalmente multigiocatore, o fortemente basati su questa componente. Questo non significa che il single player sia morto, anzi, e negli ultimi anni del decennio c’è stato un deciso moto d’orgoglio che ha riportato in auge videogiochi per giocatore singolo, ma bisogna ammettere che, per una buona fetta della decade, praticamente qualsiasi prodotto presentava una componente multiplayer.

Single player, dicevamo: il decennio ha visto l’esplosione di un particolare genere, il cosidetto soulslike, che deve il proprio nome ad una delle saghe, e dei generi, più amate ed al contempo discusse, e stiamo ovviamente parlando di Dark Souls, la saga nata da FromSoftware e dalla mente di Hidetaka Miyazaki. La software house giapponese prende alcuni concetti del passato, come l’estrema difficoltà, la necessità di imparare pattern di combattimento, la frustrazione di dover ripetere decine di volte lo stesso segmento di gioco, mischiandoli ad una struttura tipica degli RPG, un’ambientazione dark fantasy, ed il gioco è fatto. FromSoftware si sposterà in seguito su atmosfere più gotiche con Bloodborne e prenderà una strada leggermente diversa con Sekiro: Shadows Die Twice, gioco dell’anno 2019. Una strada che verrà percorsa, con fortune alterne, anche da altri sviluppatori, tanto che, ormai, un gioco con determinate caratteristiche viene definito soulslike.

Ma questo decennio non significa solo Souls: tra i giochi più memorabili di questi anni dobbiamo per forza citare i prodotti di Rockstar che, con i due Red Dead Redemption e con GTA V hanno settato uno standard non indifferente per quanto riguarda i giochi open world, oltre a riscuotere un successo pressoché unanime di critica e pubblico.

E, parlando di open world, è impossibile non citare alcuni dei titoli più importanti del decennio: The Witcher 3 – Wild Hunt, terzo capitolo della saga di CD Projekt Red basata sui romanzi di Andrzej Sapkowski, The Legend of Zelda: Breath of the Wild, capolavoro di casa Nintendo che setta un nuovo standard per il genere; Anche se in maniera del tutto diversa, va citato The Elder Scrolls V: Skyrim, quinto capitolo della saga Bethesda, gioco pressoché immortale, tra riedizioni per ogni piattaforma ed una community di programmatori che continuano a supportare il prodotto con mod sempre più immersive ed innovative.

Un discorso a parte meriterebbero gli indie: una fetta di mercato sempre più consistente è occupata dalle produzioni indipendenti, con videogiochi che vanno da budget decisamente irrisori a titoli che si avvicinano ai Tripla A per quantità d’investimenti, spesso perle nascoste, che però si stanno ritagliando uno spazio, anche nel mondo mainstream, sempre più importante. E’ impossibile infatti non parlare di giochi come Celeste, Hellblade, Gris, giusto per citare tre dei titoli di maggior successo in questo particolare ambito.

In ambito console, si è visto il ribaltamento delle posizioni tra Microsoft e Sony: se nella generazione precedente Xbox 360 si era mostrata una console più versatile, con un servizio multiplayer pressoché perfetto per l’epoca ed una quantità di titoli di qualità decisamente invidiabile, PlayStation 3 aveva riscontrato, pur nel grande successo di vendite del suo catalogo di esclusive, più di un problema, soprattutto per la gestione del multiplayer e per una certa legnosità di programmazione. Bene, la nuova generazione ha ribaltato le posizioni: complice un lancio decisamente disastroso di Xbox One, ed alcuni anni necessari ad ingranare, PlayStation 4 ha preso il sopravvento con una console decisamente prestante, ma soprattutto con una strategia basata ancora di più sulle esclusive, alcune delle quali sono, ancora oggi, tra i videogiochi più amati della generazione. La console war (che, vorremmo ribadire, è una sciocchezza alimentata principalmente dai social, perché un vero appassionato di videogiochi,se può, non si fa scappare nessuna console) vedrà sicuramente un nuovo scontro con l’arrivo della prossima generazione di macchine. E, in mezzo ai due colossi, si è ritagliata uno spazio non indifferente Nintendo.

Grazie a Switch, infatti, la Grande N si è ripresa dal flop quasi fatale di Wii U, riuscendo a mettere sul mercato una console ibrida, che unisce le qualità degli immortali DS alle solite trovate geniali della casa giapponese, insieme a titoli che sono assoluti capolavori del proprio genere, come il già citato The Legend of Zelda: Breath of the Wild o nuovi capitoli di franchise amatissimi come Pokémon e Fire Emblem.

La fine di questo decennio ha visto anche l’arrivo del primo gioco “in solitaria” di uno dei game designer più amati e discussi di sempre, quell’Hideo Kojima “padre” di Metal Gear Solid che, dopo la separazione burrascosa da Konami, ha partorito un titolo atteso, discusso, amato, odiato, controverso, ma che ha fatto e farà parlare di se: stiamo ovviamente parlando di Death Stranding.

VideogiochiUltimo, ma non per importanza, uno sguardo al futuro: negli ultimi anni sono nati diversi servizi di streaming che, al costo di un abbonamento, rendono disponibili intere librerie di videogiochi. Tra questi, quello che al momento risulta più solido, per qualità e quantità dei titoli, è sicuramente Xbox Game Pass di Microsoft, una sorta di Netflix dei videogiochi, un’idea che verrà sicuramente sviluppata e che ha visto un primo, incerto, passo in avanti con Google Stadia, un servizio di gaming in streaming che, per il momento, si sta rivelando un flop costellato di difficoltà tecniche e di un lancio decisamente inadeguato, ma che sicuramente sarà importante per lo sviluppo di questo nuovo modo di intendere il gaming.

Così come il gaming in streaming sarà probabilmente il futuro del genere, è altrettanto vero che il decennio ha visto il gioco mobile prendersi una interessante fetta del mercato: i prodotti per dispositivi mobili sono ormai sempre più complessi e profondi, e si sono elevati a molto di più di semplici passatempi da viaggio.

Per quest’occasione abbiamo deciso, analogamente a quanto facciamo annualmente, di stilare la lista dei 25 videogiochi che hanno segnato maggiormente, sia per qualità che per influenza, la decade 2010-2019. Inoltre, in calce a questo articolo, abbiamo voluto anche decretare la nostra software house, la console e l’innovazione del decennio.

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