Dopo aver vinto il premio Orizzonti per la migliore sceneggiatura all’ultimo Festival di Venezia, si è creata una sorta di aura magica attorno a I Predatori, opera prima di Pietro Castellitto, figlio di Sergio. Parlare di questo film, però, non è affatto semplice. Ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare una sorta di box in cui vengono gettate un numero spropositato di storie totalmente distanti tra loro. Invece, facendo attenzione, si potrà scoprire che i racconti sono ben più legati di quello che il film mostra. Non solo dal punto di vista narrativo, ma anche da quello tematico.
I Predatori racconta le storie di Pierpaolo, Claudio e Federico, che per svariati motivi si ritroveranno a condividere pezzetti di vita. Pierpaolo (Massimo Popolizio) è un medico, profondamente insoddisfatto della sua vita e che ha, purtroppo, trovato rifugio nella droga, che ormai lo sta trascinando sempre più in catalessi; Claudio (Giorgio Montanini) lavora in un’armeria e una truffa ai danni della madre lo porterà a prendere delle decisioni che faranno intrecciare la sua vita con quella di Pierpaolo ma anche di Federico (Pietro Castellitto), figlio del medico e studente di archeologia: il ragazzo soffre profondamente, in maniera quasi inconsapevole, una pressione da parte degli adulti e il suo non sentirsi mai pienamente capito e il non sentirsi all’altezza della situazione lo porteranno a chiedersi come poter dare una svolta, tragica, alla sua vita.
Come detto, non è assolutamente facile parlare di un film così denso e così pregno di tessuto meta-narrativo. I Predatori è un’opera prima, e porta con sé tutti i pregi e i difetti del caso. Non ci si trova assolutamente davanti ad un film scontato, anzi. Spesso e volentieri i personaggi agiscono in maniera opposta a quello che si pensava avrebbero fatto, e probabilmente è per questo che la sceneggiatura è stata premiata a Venezia. I protagonisti de I Predatori, con il loro essere molto sopra le righe, fanno quasi il giro e diventano sostanzialmente reali, assumendo delle sfumature grottesche che però sono perfette nell’economia del film: ecco dunque che il bambino di 10 anni a cui piace sparare con una mitragliatrice diventa quasi normale e il professore che fa stupidi favoritismi è lo specchio di una penalizzazione di tutti quei giovani che seguono una passione come Federico e che però sono impossibilitati. Ed è in questo contesto che Pierpaolo, Claudio e Federico cercano una loro personalissima rivalsa, che arriva e non arriva.
Ed è proprio sul concetto di rivalsa che si possono osservare anche le performance attoriali del film. Giorgio Montanini rende il suo Claudio una persona estremamente vera, nella quale tante persone potrebbero identificarsi. Si tratta di una persona normale che cerca di preservare il più possibile questa normalità e l’attore è splendido nel trasmetterlo agli spettatori. Il discorso per Pietro Castellitto è un po’ più complesso. Il suo è probabilmente il personaggio più difficile con il quale interfacciarsi del film, proprio perché è lì in rappresentanza di quei giovani chiusi e che non riescono a comunicare con il mondo degli adulti. L’attore/regista riesce a condensare, soprattutto con le movenze fisiche e il giusto utilizzo della voce, tutte le incertezze e l’inquietudine di un ragazzo davvero molto a poco agio con il contesto con cui deve avere a che fare. Massimo Popolizio, invece, ha il compito di dipingere un uomo dai due volti, quello sobrio e quello “in botta” con la droga. L’attore ci riesce, anche se sul finale probabilmente è troppo macchiettistico e si sarebbe potuto fare qualcosa in più per evidenziare la conclusione del suo arco narrativo.
Discorso a parte per i personaggi secondari, che devono solo supportare le storie dei protagonisti, aiutando a mettere ancor più in risalto le contraddizioni e le peculiarità dei singoli personaggi. Menzione d’onore per Dario Cassini, che nelle scene in cui è presente riesce veramente a rubare la scena grazie alla vena comica del suo personaggio. Stesso dicasi per Vinicio Marchioni, il quale con due sole scene mette in mostra forse il personaggi più memorabile della pellicola e che, probabilmente, è il vero “predatore”.
Sul fronte tecnico, vengon fuori quelle che sono le ingenuità del film, più che vere e proprie debolezze. Pietro Castellitto, in veste di regista, ha la smania di voler dimostrare la sua bravura. Per questo si lascia andare spesso a virtuosismi di fotografia e montaggio che spesso non sono necessari. In alcune situazioni, invece, sono interessanti le trovate stilistiche, come la telecamera fissa in una determinata scena: lo spettatore assiste alla conversazione tra i personaggi come se fosse lì e si sente quasi parte del discorso.
In sostanza, I Predatori è un bel film, ma che risulta difficilmente accessibile nell’immediato. Sia chiaro, film che presuppongono una riflessione o un’attenzione maggiore della media non sono assolutamente brutti prodotti, anzi. La “colpa” dell’esordio da regista di Pietro Castellitto è quella di essere una pellicola sbilanciata. Il film, infatti, va troppo verso la commedia in alcuni casi, troppo verso il macchiettistico/grottesco in altri, troppo verso il dramma inconsistente in altri ancora. Ognuna di queste componenti è realizzata bene, ma nel quadro d’insieme lo spettatore potrebbe ritrovarsi spaesato. Di conseguenza, si potrebbe pensare di aver davanti solo una scatola o, per meglio dire, un contenitore. Certamente il punto di forza del film sono proprio i personaggi. Questi sono proprio quei predatori che cercano quasi famelicamente di riuscire ad ottenere una rivincita dalla propria vita. In questo modo tentano di chiudere un cerchio che per troppo tempo è rimasto aperto e per troppo tempo li ha resi insoddisfatti. Il risultato? Un cambiamento di condizione, più o meno marcato, più o meno ricercato. Ed è proprio questo il destino del film stesso. Dall’inizio alla fine si chiude un cerchio. Si passa da un predatore all’altro, ma anche e soprattutto da una preda ad un’altra.
I Predatori sarà al cinema a partire da domani 22 ottobre. Di seguito, il trailer del film: