Parlare di Roberto Baggio, per chi vi scrive, è un onore ed un piacere irrinunciabile. Il Divin Codino, il più grande calciatore italiano di tutti i tempi, con buona pace di chi sostenga altre candidature, per quanto lecite, non è stato “semplicemente” un calciatore: quando si parla di Roby si esce dal mero ambito del pallone e ci si addentra in un mondo fatto di fede, di misticismo, di un calciatore che, come pochissimi altri campioni nella storia del gioco, ha messo d’accordo tifosi di squadre diverse, arrivando anche a chi il calcio non lo seguiva. Immaginate quindi cosa possa aver significato, per un ragazzino di 14 anni, vedere quel dannato rigore. Una reazione non diversa da quella di Roby, ve lo assicuro.
Roberto Baggio non è stato un semplice calciatore.
Roberto Baggio non è stato un semplice campione.
Roberto Baggio, il Divin Codino, è stato un’icona per l’Italia, calcistica e non, è stato l’eroe che cade e si rialza, è stato il talento come ne nasce uno su un milione, è stato fragile ed incompreso, controverso e complesso.
Il Divin Codino, disponibile su Netflix dal 26 maggio, non parla di calcio o, almeno, lo fa in maniera molto particolare, facendoci vivere il viaggio interiore di Baggio attraverso le difficoltà, gli infortuni, i momenti in cui ha pensato di smettere, ma anche i successi e le gioie, in un’altalena che ripercorre alcuni momenti salienti della carriera del leggendario campione.
“Se uno insiste nelle cose, prima o poi…”: questo è sostanzialmente il mantra di Roberto Baggio, una cocciutaggine che si porta dietro fin da ragazzino, e che lo accompagnerà nella sua vita sportiva, costellata di infortuni e di momenti di gloria. Il termine mantra non è stato scelto a caso, visto l’altro elemento fondante della vita di Baggio è la fede buddhista, scoperta durante la riabilitazione dal terribile infortunio avvenuto prima del passaggio alla Fiorentina. Il buddhismo, la ricerca di un equilibrio interiore prima che fisico, e il fissarsi obbiettivi da raggiungere di volta in volta saranno la chiave dei successi del Divin Codino e, soprattutto, della risalita dopo le tante cadute, che si tratti di un infortunio, del drammatico rigore sbagliato alla finale dei Mondiali di USA 94 o di una delusione con un allenatore con cui ha avuto incomprensioni.
Diretto da Letizia Lamartire, Il Divin Codino è un biopic molto classico, che ci mostra il lato umano del campione Roby Baggio, ottimamente interpretato da Andrea Arcangeli, che svolge un lavoro incredibile nell’imitare la parlata veneta del campione, le sue movenze in campo, le esultanze dopo un gol, la sofferenza ad ogni infortunio e soprattutto il carattere decisamente particolare del giocatore, spesso frainteso ma non sempre per colpa degli altri.
Il rapporto con il padre Florindo, spesso conflittuale ma evolutosi con il passare degli anni, è al centro della vicenda, così come quello con due degli allenatori più importanti della carriera di Roby: Arrigo Sacchi, CT della Nazionale italiana ai Mondiali, e soprattutto Carlo Mazzone, interpretato alla grande da Martufello, l’unico allenatore ad aver davvero capito Roberto e ad aver legato in maniera indissolubile con il campione.
Andrea Pennacchi, che interpreta Florindo, è un altro dei membri del cast, tutti ottimi, che ruotano intorno ad Arcangeli: Valentina Bellè, volto di Andreina, moglie di Roberto, il già citato Martufello e Thomas Trabacchi, che interpreta l’amico e procuratore Vittorio Petrone, completano il cast di protagonisti di questo ottimo prodotto.
Dal punto di vista della regia, Letizia Lamartire svolge un ottimo lavoro, regalandoci, soprattutto nelle scene legate alla sfera personale e familiare del calciatore, mentre le parti legate al calcio hanno un taglio più documentaristico che mescola immagini di repertorio a scene ricreate ad hoc, in maniera molto fedele all’originale.
Un plauso particolare va riconosciuto alla scelta della colonna sonora, che accompagna i momenti di gloria del campione in maniera perfetta, soprattutto durante la cavalcata al mondiale, accompagnata da Supersonic degli Oasis, il cui testo recita “I need to be myself” (ho bisogno di essere me stesso), vero leit motiv di tutta la pellicola e della porzione di vita di Baggio raccontata in questo Il Divin Codino.
Chi si aspettava un biopic incentrato sulle prodezze sportive di Roberto Baggio, sul Pallone d’Oro vinto alla Juventus e sulla miriade di giocate deliziose del talento di Caldogno, rimarrà sicuramente deluso, ma Il Divin Codino è un ottimo prodotto proprio per questo: non ci fa vedere il Roby Baggio campione sul campo, ma utilizza le sue gesta per raccontarci una storia di ascesa e caduta e nuova ascesa, ripetuta nel corso di una carriera che, se da un lato ha sicuramente consacrato uno dei calciatori più forti della storia, dall’altro ha contribuito a forgiare uno spirito d’acciaio capace di risollevarsi dopo ogni caduta, e di riconoscere, seppure a fine carriera, alcuni dei propri difetti. Un racconto dolceamaro, che ci mostra un campione tutt’altro che invincibile ed infallibile ma, forse proprio per questo, come suggerisce la moglia Andreina (“la gente ti ama perchè quel rigore l’hai sbagliato”), amato da tutti. Un amore che Il Divin Codino capirà davvero solo negli ultimi anni di carriera ma, d’altronde, “Se uno insiste nelle cose, prima o poi…”