Il Primo Re di Matteo Rovere | Recensione

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E’ molto difficile parlare di un film come questo. In Italia progetti di questo tipo è raro che vengano realizzati, è forse la prima volta in tanti anni di cinema che si cerca di osare così tanto. Oltre ad avere uno dei budget più alti che il cinema italiano ricordi (si parla di oltre 12 milioni) e alla grande promozione che è stata fatta fin dall’inizio delle riprese (iniziate più di un anno e mezzo fa), il film del giovane 37enne Matteo Rovere, regista del precedente film “Veloce come il Vento“, film che critica e pubblico hanno elogiato e produttore tra le altre cose della trilogia di Smetto Quando Voglio, tenta questo colpaccio portando al cinema una storia molto rischiosa: l’epopea, tra storia e mito, di Romolo e Remo.

La trama del film parla ovviamente dei due fratelli e del loro rapporto che li porterà a separarsi, tra la follia di Remo nel voler diventare Re e la ragione di Romolo nel cercare di far ragionare il fratello. Se tutti potrebbero immaginare  che la storia parta con loro con la lupa da bambini rimarranno delusi, a parte un piccolo flash di pochi secondi che si vede ad inizio film. Non vediamo mai loro da bambini o da adolescenti, sono già grandi entrambi nella prima scena che apre il film – che è anche la migliore –  e fa comprendere quanto i due fratelli ne abbiano passati di pericoli nella loro vita. Ma quello che gli starà per succedere sarà solo l’inizio: il film in effetti parte con un’alluvione che destabilizza la loro tranquillità in mezzo a pecore e agnellini, trasportandoli in un tour de force alla scoperta di loro stessi e che sfocia nella costruzione delle basi di un Impero (come cita anche il trailer del film).

Dopo un inizio davvero potente, che coinvolge fin da subito lo spettatore, e una bella scena successiva, il film perde leggermente di potenza e per gran parte del passare dei minuti si arena, non riuscendo a portare avanti la narrazione in modo da interessare lo spettatore. E’ ovvio come il budget sia servito principalmente per le scene di combattimento, per la ricostruzione di qualche ambiente e per questa scena iniziale, visto che gran parte della narrazione è ambientata in una foresta, decisamente povera al livello visivo ma valorizzata al massimo possibile dalla fotografia curata dal grande Daniele Ciprì che, lavorando completamente con luce naturale, dà il meglio di sé in questo ambiente boschivo. Bellissime anche le scene dove viene inquadrata la foresta dall’esterno con il Tevere che circonda tutto. L’aspetto tecnico che interessava di più era anche la regia di Rovere, che con il precedente aveva dimostrato una grande mano, per cui le aspettative erano abbastanza consistenti. Il lavoro messo qui in atto è molto buono, ma l’enorme problema che si riscontra nel film è nelle scene di lotta, una novità per il cinema italiano, ma che peccano tanto a livello di inquadrature, intervallate ogni secondo da stacchi di montaggio come nei peggiori film d’azione per dare ritmo al prodotto. Ci si aspettava qualche piano sequenza in più dove venivano mostrate davvero queste lotte, che centrassero maggiormente il fulcro della scena, soprattutto in una delle battaglie finali in cui non si capisce perché al regista interessi mostrare tutt’altro invece che l’azione vera e propria.

Un altro aspetto negativo è la musica troppo invadente e pomposa. Sarebbe stato più interessante se il film fosse stato completamente assente da essa, visto che gran parte del film non ce l’ha. Passando alle prove attoriali, bisogna fare una premessa per chi non ne fosse al corrente: il film è recitato nella sua interezza in latino arcaico e sottotitolato in italiano, quindi tutti gli attori coinvolti erano in partenza sottoposti ad uno sforzo considerevole, senza considerare che è stato girato tutto in esterna con condizioni davvero assurde a tratti, il che ha reso agli attori una difficoltà ancora maggiore.

Partendo dai due protagonisti, ovvero i due fratelli, si può notare come il loro rapporto, nella prima parte, sia ben curato (gli sceneggiatori in conferenza stampa hanno detto di essersi ispirati a Rocco e i suoi fratelli di Visconti e a Toro Scatenato di Scorsese). Dalla seconda parte il protagonista assoluto, come anche il poster faceva sembrare, diventa Remo, interpretato alla grande da Alessandro Borghi, che mescola perfettamente follia, rabbia e tenerezza, facendo tornare alla memoria personaggi che lo avevano già visto impegnato in Non essere cattivo e Suburra. Bravo, anche se poco presente in gran parte della pellicola, Alessio Lapice (Romolo) alla sua prima prova di rilievo che si misura bene con Borghi. Sarebbe stato bello poterlo vedere di più. Una menzione speciale va anche a Massimiliano Rossi, che si dimostra essere un grande attore che dovrebbe avere più rilievo nel cinema italiano, e Tania Garribba, molto brava come unica controparte femminile in un film molto maschile.

In conclusione possiamo dire che Il Primo Re è un bel prodotto con qualche lacuna di troppo, qualche accortezza in più sul lato tecnico lo avrebbe reso un grande film, ma si apprezza davvero l’impegno, si spera che Rovere come regista e produttore continui a sperimentare come ha fatto in questi anni e che il cinema italiano possa seguire le sue orme, perché è sicuramente un professionista che sa come cercare di cambiare la realtà fin troppo stagnante e statica che è il cinema Italiano odierno.