Intervista a Dave McKean “Ho enfatizzato la chiave simbolica di Arkham Asylum” | Speciale Lucca 2018

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Dave McKean

Grazie a Edizioni Inkiostro abbiamo avuto l’occasione di intervistare il maestro Dave McKean, ospite dell’editore abruzzese in occasione della 52esima edizione di Lucca Comics & Games. Illustratore britannico di fama internazionale, Dave Mckean fa il suo debutto nell’industria dei comics durante la cosidetta british invasion illustrando Violent Cases e Black Orchid, lavori che segneranno la sua lunga collaborazione con Neil Gaiman, portandolo poi a illustrare le cover di Sandman. Dopo il successo ottenuto con Arkham Asylum, l’artista inglese lavorerà a Cages, lavoro più intimo e personale dove si occuperà sia dei testi che dei disegni. Recentemente McKean ha realizzato i disegni della versione illustrata di American Gods e dell’artbook Apophenia, presentato a Lucca da Edizioni Inkostro.


Buongiorno Dave, benvenuto a Lucca Comics! È un piacere immenso avere l’opportunità di poter parlare con te della tua arte e dei tuoi lavori, ma prima di iniziare, come stai? Ti stai divertendo qui a Lucca?

“Buongiorno anche a voi, è un vero piacere essere qui a Lucca per presentare il mio nuovo artbook. L’entusiasmo e l’euforia per le strade è stupenda e la città è meravigliosa, quando riesci a vederla (ride). Mi sto divertendo molto, ma c’è davvero tanta gente, soprattutto in giornate come questa.

È vero, generalmente i sabati e le domeniche lucchesi sono sempre i giorni più affollati.

“Sì, ma anche nei giorni precedenti la fiera è stata molto affollata ed è per questo che di solito preferisco gli eventi più piccoli e intimi rispetto alle grandi convention. Resta il fatto che mi sto divertendo molto qui a Lucca.”

Grazie a Edizioni Inkiostro sei qui a Lucca per promuovere il tuo nuovo artbook dal titolo Apophenia. L’apofenia è definibile come il riconoscimento di schemi o connessioni in dati casuali o senza alcun senso e credo che sia anche il tema principale dell’artbook. Come nasce Apophenia e come hai sviluppato questo artbook?

“In realtà Apophenia è nato dalla volontà dell’editore (Edizioni Inkostro) di realizzare un volume con i miei lavori. Avendo totale libertà creativa, ho spulciato tra i miei archivi e scelto pezzi che più preferivo, alcune immagini sono completamente nuove e altre mai pubblicate. Generalmente sono molto critico sui miei lavori passati e tendo a non guardarmi mai indietro, ma in questo caso sono contento e soddisfatto dei miei lavori e per questo li ho scelti. Per quanto riguarda il suo sviluppo, appena ho iniziato a raccogliere e a disporre le immagini di Apophenia sono stato giudato dal mio cervello: il cervello umano è meraviglioso, riesce a mostrarti collegamenti tra immagini che singolarmente non ti direbbero nulla. Talvolta la connessione è tematica, cromatica o nella loro composizione, mentre altre volte è molto più chiara. Con questo lavoro ho voluto esaltare questa capacità associativa del cervello umano e da qui il nome Apophenia.”

Di quali tra i pezzi scelti per l’artbook vai più fiero?

“È difficile, perché avendo fatto una scelta meticolosa tra i miei numerosi lavori sono soddisfatto e fiero di ogni immagine scelta per il prodotto finale. Ci sono un paio di serigrafie nate inizialmente come semplici sketch a matita ed evolutesi poi in serigrafie colorate e più complesse. Sono molto orgoglioso di questi lavori, in primis perché recenti e perché non mi ero mai cimentato nel realizzare delle serigrafie.”

Il tuo stile è qualcosa di unico, in  grado di rompere e trascendere le comuni limitazione dei fumetti in quanto capace di fondere diverse forme d’arte, creando qualcosa di nuovo. Come descriveresti il tuo modo di disegnare?

“Direi che non ho un vero e proprio stile. Lo stile che uso è sempre dettato dallo script su cui lavoro. Ogni progetto, ogni tavola ha una particolare atmosfera ed emozione, trasmettendo qualcosa di unico: l’insieme di tutti questi elementi andranno a dar forma allo stile della storia. Inoltre, credo che i fumetti possano essere qualsiasi cosa, non avendo una forma prestabilita.”

Parlando dei tuoi lavori, tu sei anche conosciuto per la tua lunga collaborazione con Neil Gaiman, prima su Violent Cases, Black Orchid e in seguito per aver realizzato le cover di Sandman, che tra l’altro celebra i 30 anni. Come è stato lavorare con Neil in quegli anni? 

“È stato fantastico: entrambi eravamo agli inizi delle rispettive carriere, Neil arrivava dal giornalismo e stava iniziando a scrivere i suoi primi romanzi,  mentre io frequentavo l’accademia d’arte. Grazie al continuo scambio di idee, critiche e lo spronarci a vicenda siamo stati in grado di trovare la nostra voce ed è stato veramente bello poter iniziare il proprio percorso con un partner come Neil. In seguito però, sono arrivato ad un punto della mia carriera in cui ho sentito il bisogno di raccontare le mie storie.”

E parlando proprio delle tue storie, tra il 1990 e il 1996 hai lavorato a Cages, la tua serie creator-owned per Dark Horse. Come è stato lavorare in solitaria a questo tuo progetto?

“Semplicemente meraviglioso. Ritengo di aver imparato molto durante la realizzazione di Cages rispetto a molti altri lavori, ma soprattutto credo di aver imparato realmente a disegnare grazie a questa serie. Ho cercato di sbarazzarmi delle soluzioni più complesse ed elaborate in favore di quelle più semplici. Volevo realizzare un fumetto, un libro sulle cose che più mi piacciono, come il jazz, ma che trattasse anche temi universali come amore, morte, fede ecc. Ho cercato anche di mettere in risalto il comportamento umano: come si comportano, interagiscono e parlano tra loro gli uomini”

Credo che Cages non sia un semplice fumetto, ma una vera e propria esperienza.

“Sì, esatto. Inoltre ho cercato di inserire tutti quegli elementi, quelle emozioni che puoi trovare nel cinema o nel teatro, ma che purtroppo al momento mancano nei fumetti d’oggi.”

Cambiando discorso, come organizzi il tuo lavoro? Com’è una tua tipica giornata lavorativa?

Diciamo che il mio modo di lavorare è cambiato molto nel corso degli anni. Quando ero più giovane era molto più caotico (ride). Prima della digitalizzazione lavoravo fino a tarda notte, perché durante il giorno dovevo aspettare gli script o le risposte degli editor portate dai corrieri, oppure dovevo aspettare che venissero sviluppate le fotografie delle tavole realizzate. Il tutto era molto caotico e frammentario, anche se il disegnare nella quiete della notte aveva un suo certo fascino. Oggi invece è tutto più semplificato grazie agli strumenti digitali: per esempio posso lavorare direttamente alle mie fotografie, spedire le tavole online agli editori. È tutto più semplice e comodo e grazie a queste migliorie sono cambiati i miei ritmi: ora mi sveglio presto, esco per una passeggiata e quando torno a casa sono pronto ad affrontare una giornata di lavoro.”

Una delle tue opere che preferisco è sicuramente Batman: Arkham Asylum, dove la tua arte risplende mettendo in luce tutta la follia e il caos nella mente di Batman e dei suoi nemici. Ho letto che lo script iniziale era di 64 pagine, mentre il prodotto finito ammonta a 120 pagine: puoi dirci come questo cambiamento ha influenzato il tuo modo di lavorare a questo fumetto?

“Non ricordo con esattezza la lunghezza dello script originale, anche perché Grant (Morrison), oltre alla sceneggiatura, realizzò anche degli storyboards iniziali, prima che venissi coinvolto nel progetto. Lo script e gli storyboards vennero prima consegnati ad un altro artista e, successivamente, arrivarono a me grazie a Karen Berger. In seguito Grant ed io pranzammo insieme, discutendo del progetto e scambiandoci idee. Io ero fortemente interessato alla chiave simbolica e misteriosa di Arkham Asylum, spingendo sulle figure archetipe presenti nell’opera, come Due Facce oppure Joker. Altri elementi presenti nella versione iniziale come Robin o Bruce Wayne per me non funzionavano con il tipo di storia che volevamo raccontare, come se rompessero l’incantesimo. Tutti questi cambiamenti e la maggior enfasi alla chiave simbolica hanno trovato l’approvazione di Grant e ci è voluto veramente poco perché riscrivesse lo script e, non dovendo più seguire i suoi layout, ho potuto impostare le tavole avendo la più totale libertà sia da lui che da Karen.”

Riallacciandomi a quanto detto, io ho sempre amato il fatto che non si veda mai né la maschera né il volto di Batman, rendendolo davvero un archetipo, un simbolo della storia.

“E non vedi neppure il simbolo del pipistrello sul suo petto. È come se fosse una silhouette, un’ombra che vaga tra le pagine della storia.”

E restando in tema Arkham Asylum, il prossimo anno sarà il 30ennale dell’uscita dell’opera; sappiamo che Grant è già al lavoro sul seguito e ci domandavamo se anche tu fossi coinvolto?

“No, in nessun modo.”

Prima di salutarci, puoi dirci quali sono i tuoi progetti futuri? A cosa stai lavorando al momento?

“Sto lavorando ad una graphic novel per la Dark Horse dal titolo Raptor, in uscita probabilmente l’anno prossimo. È una storia che ho scritto lo scorso anno e che solo ora sto disegnando. In realtà sono due storie in una:la prima ha come protagonista uno scrittore gallese di libri horror che cerca di superare la perdita della moglie, sperando che esista una sorta di vita dopo la morte pur sapendo che non è così; mentre la seconda storia tratterà di politica tra mostri.”

Molto interessante, non vediamo l’ora di averla tra le mani. Dave è stata una splendida intervista e ti ringrazio profondamente per la tua gentilezza. A nome di tutta la redazione, ti auguriamo il meglio e buon proseguimento di Lucca Comics. Alla prossima!

“Grazie a voi! Cheers!”


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