Intervista a Hubert e Bertrand Gatignol: “L’idea dei giganti ben si adattava ai temi dell’infanzia e alla corruzione che volevo raccontare” | Esclusiva

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In occasione della prossima uscita, data 23 Maggio, del secondo capitolo della saga di Hubert e Bertrand Gatignol, Gli Orchi Dei – Mezzosangue, abbiamo avuto l’opportunità, grazie a Bao Publishing, di fare alcune domande agli autori del volume. Avevamo già incontrato il disegnatore del fumetto durante la scorsa edizione di Lucca Comics and Games (trovate qui l’intervista a Bertrand Gatignol), mentre abbiamo già pubblicato le recensioni di entrambi i volumi editi dall’editore milanese (trovi qui la recensione in anteprima de Gli Orchi Dei – Mezzosangue, mentre qui quella de Gli Orchi Dei – Piccolo).


Hubert, ci racconti come è nata l’idea de Gli Orchi Dei? Quando ne abbiamo parlato con Bertrand, ci disse che la storia era un pretesto per parlare di problemi sociali, confermi? 

Hubert: Piccolo ha un’ispirazione autobiografica. Cinque anni fa, mia madre si è ammalata gravemente e, come accade spesso in queste occasioni, sono emersi di colpo segreti di famiglia che mi hanno destabilizzato profondamente. Di colpo, ho avuto le risposte a talmente tanti quesiti rimasti sepolti per anni che sono stato travolto dalla sensazione di non essere un individuo dotato di libero arbitrio, ma il risultato di storie e segreti provenienti dalle generazioni precedenti. Non amo raccontare storie autobiografiche in maniera diretta e, inoltre, sono un lettore vorace di romanzi gotici (Manoscritto trovato a Saragozza di Potocki o Canti di Maldoror, solo per citarne alcuni). La tematica gotica si inscriveva perfettamente in questo genere dai toni crepuscolari, e l’idea dei giganti ben si adattava ai temi dell’infanzia e alla corruzione che volevo raccontare. A conti fatti, si è trattato di un processo più istintivo che realmente meditato. E poi ho conosciuto Bertrand, il cui approccio è stato determinante: di fronte all’enorme quantità di informazioni, mi ha suggerito di scrivere tutti i flashback sotto forma di racconti illustrati.

Quando ne abbiamo parlato con Bertrand, ci disse che la storia era un pretesto per parlare di problemi sociali, confermi? 

Nella serie, in parallelo a un livello di racconto più psicoanalitico (come il tema della paternità, sviluppato in entrambi i volumi), vengono affrontate diverse questioni sociali. Il mio obiettivo non è tanto scrivere dei pamphlet quanto parabole che ciascuno è libero di interpretare come preferisce. Una delle mie fonti di ispirazione durante la scrittura è stato sicuramente Storia del popolo americano. Dal 1942 a oggi di Howard Zinn. In questo saggio, l’autore riscrive la storia del Paese ribaltando il punto di vista dall’élite dirigente verso il popolo e creando così una visione del tutto differente. È ciò che ho cercato di fare tra un volume e l’altro. La storia raccontata dal punto di vista della famiglia dei giganti regnanti in declino, poi dal punto di vista della casta degli aristocratici che tramano nell’ombra. Il terzo volume sarà dal punto di vista del popolo.

Cosa è successo fra i due capitoli della vostra storia? Ad esempio, come si è evoluta l’idea iniziale?

 Hubert: Non volevamo realizzare Piccolo 2 e rischiare di diluire una storia che entrambi immaginavamo in maniera piuttosto intensa. Durante la lavorazione di Piccolo, la storia stava diventando sempre più corposa e ci siamo ritrovati a dover tagliare delle scene al punto da far sparire quasi del tutto un personaggio: si trattava di Yori, che non appariva quasi più e serviva a spostare la narrazione fuori dal castello. Se da un lato questo aspetto ha rinforzato l’aspetto claustrofobico della storia, in senso positivo, dall’altro lato ci ha portato a eliminare scene che avremmo voluto inserire: quelle che aprono Mezzo Sangue. Bertrand immaginava il personaggio giovane e seducente; caratteristiche che, legate a un uomo di potere, generavano un piccolo paradosso. C’era un mistero, quindi era necessaria una spiegazione! Così, ha preso spazio l’idea di un figlio illegittimo che si batteva contro il disprezzo e i pregiudizi per trovare il proprio posto a costo della propria umanità. Dopo l’ereditiere paradossale, ecco il bastardo.

Che tipo di differenze ci sono dal punto di vista artistico?

Bertrand Gatignol: Dal punto di vista visivo, il primo volume è un mondo fiammeggiante in rovina: i bei tempi sono ormai alle spalle, la decadenza è stata ormai consumata. È come guardare all’interno di uno stomaco che digerisce i propri personaggi. Il secondo volume è un mondo in piena salute in cui prendono vita i più violenti giochi di potere. Bisognava rendere giustizia ai fasti di questo tipo di società.

Durante il Lucca Comics, abbiamo parlato di come realizzi gli abiti e le architetture del tuo fumetto. Leggendo Mezzosangue c’è molto spazio per la descrizione dei palazzi dei giganti. Perchè questa scelta?

Bertrand Gatignol: Il lavoro minuzioso sull’architettura del castello è stato decisamente importante per trasmettere al lettore la sensazione di autorità e potere di cui era intrisa questa società implacabile. Il castello è quasi un personaggio a sé: è lui a dare il giusto tono alla storia. La sfida era far sì che questi aspetti non fossero soltanto visivi ma anche narrativi: tramite essi, il lettore avrebbe provato sentimenti ed emozioni che lo avrebbero aiutato a immergersi nel racconto. So che, spiegata in questo modo, sembra quasi manipolazione… ma è una manipolazione a fin di bene!

 Bertrand ci ha anche detto che sei tu a presentargli i riferimenti artistici, dunque a cosa ti ispiri di più?

Hubert: La storia e l’architettura mi sono sempre piaciute, fin da quando ero bambino. Durante le vacanze, costringevo la mia famiglia a visitare talmente tante roccaforti che mia sorella aveva finito per adorare Richelieu in quanto responsabile della loro distruzione! Quando scrivo, mi piace documentarmi e accumulare immagini. Quando Bertrand mi ha chiesto se avessi idee precise per il castello sulla montagna, ho cominciato a mandargli schizzi e fotomontaggi. Ha dovuto fermarmi e rifiutare alcuni suggerimenti (come per esempio disegnare l’interno del castello in stile gotico perpendicolare… l’inferno dei disegnatori)! In Mezzo Sangue, ha realizzato delle scenografie in stile barocco incredibili. Le fonti andavano da un birrificio neo-barocco di Budapest, passando dal Belvedere, fino alla biblioteca di Hofburg a Vienna… ci sono talmente tante reference diverse in ciascun volume che è impossibile citarle tutte.

Abbiamo ormai capito come si svilupperà il mondo de Gli Orchi Dei, raccontando storie di personaggi che si muovono sullo stesso palcoscenico. Cosa possiamo dunque aspettarci dai prossimi capitoli?

Hubert: L’inaspettato! La nostra regola è cercare di muoverci sempre in avanti, per evitare di ripeterci e di annoiarci. Vogliamo mantenere la coerenza globale perché tutto sia collegato e al tempo stesso arricchisca il mondo che abbiamo costruito affinché tutti i pezzi del puzzle formino un’immagine globale. Ma la sfida più importante è rendere ogni storia autoconclusiva e degna di essere apprezzata a sé. Ci sono ancora parecchi punti di vista che non sono stati esplorati nel primo volume, numerosi posti e momenti di questo universo che devono essere ancora raccontati (e dubito che riusciremo a raccontarli tutti). Dopo il punto di vista dei potenti, verrà quello della popolazione che vive sotto il loro dominio. E poi il punto di vista umano: soprattutto quello delle donne – costrette a vivere in una società così mostruosamente patriarcale – tratteggiato da personaggi secondari ma non per questo meno importanti.