Invincible: La Fine di Tutto – L’insostenibile Leggerezza del Super-Eroe | Recensione

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Ryan Ottley Invincible

Nella vita di ogni lettore, arriva il momento di confrontarsi con la fine. In alcuni casi tale momento giunge, inaspettatamente, con l’ultima pagina di un albo qualunque. A volte, alla fine di una saga durata anni, se non decenni. Per molti lettori, ciò è accaduto già molte volte e accadrà ancora altrettante.
Chi ormai, suo malgrado, può cominciare a vantare una collezione di capelli bianchi vasta tanto quanto quella di albi a fumetti riposti con cura sullo scaffale, avrà di certo imparato a riconoscere l’importanza della parola “fine” applicata al giusto contesto.
Con il passare degli anni, molte serie finiscono in balia di se stesse e del periodo in cui vengono pubblicate, ciò è tristemente naturale, tanto quanto l’arrivo di uno “scossone editoriale”. Malignamente (o realisticamente?) potremmo dire che, pur di risollevare le vendite, una casa editrice è disposta a rischiare di perdere una fetta di lettori affezionati, facendo un cambiamento radicale. Di fatto, una “Saga del Clone” o una “Knightfall” non sono certo saghe che hanno macinato tanti numeri quanto i più recenti (e meno radicali) crossover di casa Marvel e DC. Tuttavia, esempi come quelli appena citati, all’epoca fecero capire ai lettori che, anche se a piccoli passi e con determinati compromessi, era possibile cambiare le carte in tavola. Ciò, ovviamente, non piacque a tutti.
La maggior parte dei lettori di fumetti è (spesso inconsapevolmente) molto abitudinaria. Tanto da essere più incline a sopportare il “già visto” ripetuto all’infinito che un singolo albo di Superman con un Jimmy Olsen donna, innamorato/a dell‘Uomo d’Acciaio (vediamo in quanti capiscono questo rifermento).
Lungi da me dire che “cambiamento” è sinonimo di “migliore”. Io stesso posso contare sulle dita di una mano gli esempi in cui un “crossover rivoluzionario” ha radicalizzato in positivo una delle mie saghe preferite. Ma allora perché il cambiamento è (o dovrebbe essere) necessario?
Musica, pittura, letteratura, cinema, fumetti, … Ognuno di questi media può considerarsi un mezzo di diffusione artistica quando è esso stesso a produrre arte. In caso contrario, un albo di Spider-Man diventa un pari di una partita a Campo Fiorito: intrattiene, forse diverte. Ma, alla fine, cosa lascia al lettore?
Ad onor del vero, quelli sopracitati non furono né i primi né gli ultimi esempi di “saga che vuole cambiare le carte in tavola”. Tuttavia, con il passare degli anni, anche il concetto stesso di “osare” e “rivoluzionare” hanno acquisito una metodologia tale da essere divenuti un nuovo standard. Immaginate una di quelle matite con la gomma sulla sommità, ma piegata come un ferro di cavallo, in modo da cancellare quasi istantaneamente ciò che viene scritto.
Nonostante duri “solo” da 15 anni e conti all’attivo un totale di 144 albi,”Invincible” di Robert KirkmanCory Walker Ryan Ottley riuscì, fin dai primi albi, a scrollarsi di dosso ognuno dei sopracitati pregiudizi (e delle malinconiche metafore) legati al mondo dell’editoria fumettistica.

L’enorme vantaggio rappresentato dall’essere costantemente supervisionato e sviluppato dai suoi stessi creatori, ha reso Invincible un progetto in controtendenza rispetto a tutte le testate, pubblicate in contemporanea, dalle maggiori case editrici. Questa serie si è evoluta, nel corso degli anni, in modi che non sarebbero stati possibili in un progetto tradizionale, legato ad una continuity e ad un universo espando preesistente.
Tutto ciò non fa che aumentare il peso ed il significato di questo arco narrativo finale, che forse non brillerà tanto quanto altri momenti della serie, ma è munito di una carica emozionale tanto forte da compensare magnificamente ogni altra mancanza. Kirkman, Ottley e Walker scattano un’ultima istantanea della famiglia Grayson, il cui ricordo rimarrà per sempre nel cuore dei fan.
Uno dei fattori preponderanti della struttura di Invincible è senz’altro il costante cambiamento dello status quo. Fin dal secondo volume della serie, con la rivelazione della vera natura del padre di Mark, fu chiaro che l’unica costante della serie sarebbe stata rappresentata dal disilludere puntualmente ogni singola aspettativa legata alle più stereotipate idee legate al fumetto “tradizionale”.
Alla luce di ciò il ritmo de “La Fine di Tutto“, l’arco narrativo finale costituito da 12 albi (o da 2 TP, a seconda del formato), sembrava già essere stato scandito nei primi numeri.
Per un certo periodo sembrava che il macro-finale avesse raggiunto il suo climax fin troppo presto, lasciando poco materiale per riempire gli ultimi numeri della serie. Ma, con il debutto a sorpresa di un figlio che Mark non ha mai saputo di avere e le pressioni legate al dover raccogliere il manto e le responsabilità che precedentemente gravavano sulle spalle dell’Imperatore Nolan, è come se la serie avesse improvvisamente il problema opposto.
L’ultima sceneggiatura di Kirkman riempie chirurgicamente ogni singola pagina. L’attenzione data allo scorrere del tempo viaggia a braccetto con i repentini cambiamenti di focus. Ciò consento al lettore una comoda e gradevole visione d’insieme sia degli eventi legati a Mark e la sua famiglia, nello spazio, che delle avventure del giovane Marky sulla Terra.
Per quanto gli eventi siano narrati in modo efficiente ed elegante, la consapevolezza della vicinanza del finale, unitamente ai nuovi spunti narrativi mostrati in questi ultimi albi, lasciano nel lettore un’inevitabile sensazione di vuoto. Di fatto, per quanto le novità e gli eventi mostrati in queste ultime pagine possano essere avvincenti, essi saranno inevitabilmente privi di seguito.
La necessità di spiegare e parlare il più possibile (prima che sia troppo tardi) rendono il dialogo, in più momenti, prolisso tanto da suonare quasi goffo. In generale però, l’attenzione è rivolta interamente al viaggio emotivo della famiglia Grayson, il che sposta in secondo piano qualunque altro aspetto più “tecnico” dell’intero fumetto.
Il comparto sentimentale si sviluppa di pari passo con l’avanzare della storia, conferendo agli eventi narrati un taglio malinconico e sentimentale in crescendo. I protagonisti invecchiano, sperimentano tragedie, trionfi e tutto ciò che ne consegue.
L’intento di Kirkman è evidentemente quelli di non apporre la parola “fine” in modo netto e definitivo, tanto da ricordare ai lettori che nulla finisce mai.
La qualità di questo ultimo arco narrativo è, al meno in parte, figlia della ciclicità dello stesso. Non è infatti difficile trovare parallelismi tra gli eventi narrati in questa ultima dozzina di numeri ed i primi archi narrativi della serie.
Ovviamente ciò è un voluto rimando di Kirkman agli albori di Invincible, posto dall’autore per suscitare un sentimento nostalgico nei fan della serie.
Oltre ad un voluto “effetto ciclico” atto a legare inizio e fine della serie, Kirkman da un sentito addio a numerosi personaggi, introducendo però nuovo materiale a sufficienza da creare una nuova serie. Invincible giunge quindi al termine intriso di ciò che ha contraddistinto ogni singolo albo della serie: potenziale.

L’avere più artisti che collaborano sul medesimo comparto grafico (per quanto il lavoro sia equamente diviso), in molti casi, suscita una sensazione di poca omogeneità. La Fine di Tutto rappresenta una netta eccezione alla regola. Walker potrà non aver disegnato tanti albi quanto Ottley ma, nel corso degli anni, è divenuto parte fondamentale del comparto artistico della serie. Non per nulla, la responsabilità di disegnare l’ultimo numero è stato equamente divisa tra entrambi gli artisti.
Sia Walker che Ottley hanno dato il massimo per mantenere la serie veloce, pulita e visivamente dinamica. Grazie al loro apporto, l’intensità emotiva del finale di Invincible viene massimizzata attraverso l’utilizzo della mimica facciale e il linguaggio del corpo. Inoltre, le differenze stilistiche più evidenti dei due artisti sono più che coperte dalla colorazione calda e uniforme di Nathan Fairbairn.
L’arco narrativo finale di Invincible, è un po’ smussato ai bordi. E’ quasi frustrante rendersi conto che molti dei nuovi spunti narrativi, introdotti in questa dozzina finale di albi, sarebbero potuti facilmente divenire degli archi narrativi a sé stanti. Tuttavia, gli autori hanno saputo porre la parola fine alla loro creazione senza attendere il declino della stessa. La Fine di Tutto non rappresenta solo un emozionante addio di Kirkman, Walker e Ottley alla loro creazione, bensì, finisce per mostrare che l’idea di un super-eroe legato ad un contesto famigliare non è affatto infantile o noioso. Così come la parla “fine” non è per forza associata a qualcosa di negativo. Infatti, la giusta combinazione di questi due fattori si è rivelata essere la ricetta per rendere un fumetto immortale… o invincibile.

Ogni cosa deve giungere al termine. Ma l’eredità vivrà per sempre.


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