J’Accuse (L’Ufficiale e la Spia) di Roman Polanski | Recensione | Speciale Venezia 76

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Roman Polanski

Una nuovissima sconvolgente rivelazione per conto di Roman Polanski, con il suo nuovo film, J’accuse (tradotto in italiano come “L’Ufficiale e la Spia”) ha spiazzato la sala per via del forte incipit estatico. Un film tratto dall’editoriale scritto da Émile Zolà e da Alfred Dreyfus, rimando di Robert Harris, rimane fedele ai fatti scritti, creando un eccellente connubio tra realtà e finzione, senza annoiare mai.

Ambientato nel 1895, il film narra del capitano Alfred Dreyfus(Louis Garrel), giovane e promettente ufficiale dell’esercito francese accusato di essere un informatore dei tedeschi, viene degradato e condannato su un isola a vita. Tra i testimoni della sua umiliazione c’è Georges Picquart (Jean Dujardin), promosso a capo dell’unità di controspionaggio che lo ha accusato. Quando però Picquart scopre che le informazioni riservate continuano a essere passate ai tedeschi, viene attirato in un pericoloso labirinto di inganni e corruzione, che minaccia non soltanto il suo onore, ma la sua stessa vita.

Il film in se è devastante sotto ogni punto, grazie anche alla pazzesca interpretazione di Jean Dujardin, che non pecca mai di un cedimento emotivo, è sempre il generale pronto e determinato; Louis Garrel non è certo da meno, nonostante la sua presenza sia inferiore in termini di minutaggio ma non di rilevanza. Tutto il cast è perfetto, nessuna imperfezione attoriale sotto nessun ambito, così come la rappresentazione storica del 1895, cristallina. La postura così composta, le parole che non uscivano mai fuori tono, il perfetto adagio signorile nel porsi. La regia, inutile a dirlo, è magistrale, i piani totali sono dei quadri da appendere in camera per cercare di cogliere, al primo impatto, tutti i particolari. Le luci calde riescono ad evidenziare ancor di più il periodo storico e la crudeltà delle ingiustizie poste: infatti, con le fiamme delle lanterne ad olio, il regista gioca in modo elegante sulle penombre ed i “vicoli ciechi di camera”, così da avere un’ottima struttura, morbida e delicata avendo una trama così impegnativa.

j'accuse

I dialoghi sono spinosi, razionali, mentre dal punto di vista scenografico, assistiamo ad una perfetta organizzazione degli spazi. Riuscire a far captare l’attenzione su una minuziosità pur avendo l’attore principale in primo piano è molto impegnativo ma, come al solito, Polanski riesce a dimostrare le sue doti di visionario.

In J’accuse si percepisce l’intenzione e l’attenzione di Roman Polanski, la cura della mamma nei confronti del proprio bambino, ed è proprio così che il regista si comporta con il suo nuovo prodotto audiovisivo. Il film è una cannonata in pieno petto d’inverno, ti lacera l’interno ma dà sollievo per il calore assunto. Riesce a creare ossimori ingiustificati che tuttavia vanno ad ampliare le vedute del film, come il rapporto tra i due protagonisti.