Midsommar – Il villaggio dei dannati, il nuovo film di Ari Aster | Recensione

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Midsommar

“Midsommar – Il villaggio dei dannati”, secondo film del regista statunitense Ari Aster, già ben noto per la realizzazione di “Hereditary – Le radici del male”, è un horror inusuale, ricco di elementi originali nel pensiero, riusciti o meno, e indubbiamente coraggiosi. Ari Aster mette la sua firma su ogni aspetto creativo del film: suo il soggetto, la sceneggiatura e la regia.

midsommarLa storia, in breve, è quella di Dani Ardor (Florence Pugh), ragazza americana che, dopo aver perso in circostanze tragiche i genitori e la sorella, decide di partire insieme al suo ragazzo Christian (Jack Reynor) e ai suoi tre amici, Mark, Josh e Pelle (Will Poulter, William Jackson Harper e Vilhelm Blomgran), per una vacanza studio in Svezia. Le circostanze fin da subito non sembrano le più favorevoli, il rapporto tra Dani e Christian non eccelle per affiatamento e gli amici del ragazzo tentano continuamente di spronarlo a chiudere con lei, a loro dire emotivamente troppo impegnativa. Il viaggio è organizzato da Pelle, di origini svedesi, che decide di portare gli amici ad Hälsingland, terra che ospita la comune dove lui è cresciuto, per festeggiare la festa di Midsommar, mezza estate. Giunti sul luogo i ragazzi verranno catapultati in un mondo a parte fatto di antichi costumi celtici, riti propiziatori e un’intensa vita di comunità, il tutto immerso in una perenne luce, causata dal sole di mezzanotte, e adornato di fiori e verde ovunque. Col procedere della loro permanenza i ragazzi si troveranno sempre più coinvolti nei rituali della comunità, via via sempre più sconvolgenti, fino a giungere ad un punto di non ritorno, un forte momento di rottura con la moralità “occidentale” al quale dovranno scegliere se conformarsi o rifiutare.

Visivamente incredibile, curato nei minimi dettagli e cromaticamente armonioso, “Midsommar” ricrea in modo assolutamente convincente la realtà di una piccola comunità agreste a metà tra un villaggio Amish (impossibile non pensare a “The Village” di M. Night Shyamalan qua e là) e un antico insediamento Norreno; i costumi, gli oggetti di scena e i riferimenti culturali sono collocati in un modo che rasenta la perfezione, lo studio di questi aspetti è stato condotto davvero ad altissimi livelli. Già vista, ma comunque particolare, la scelta di ambientare un film horror in una scena perennemente illuminata, che inizialmente smorza un po’ i toni ma che diventa consistente con il procedere della pellicola, che supera le due ore, creando un senso di disagio e trasmettendo allo spettatore tutto lo stress causato da questa continua sovraesposizione alla luce solare.

Ari Aster già in Hereditary aveva fatto intendere di non aver alcun pudore nell’approcciarsi alla morte, in particolar modo alla brutalità che può accompagnarla, e anche in Midsommar – Il villaggio dei dannati, in un paio di scene in particolare, la camera indugia in modo insistente e morboso su dettagli macabri e truculenti, evidentemente cercando l’angolatura più efficace per mostrarli e sortendo gli effetti desiderati. Nonostante ciò, non assistiamo mai a violenza gratuita o forzata, al contrario il film, almeno nelle aspettative di chi scrive, poteva essere molto più brutale e ricco di scene crude e sconvolgenti.

Le note prettamente horror della pellicola sono costantemente mitigate dall’alternanza tra rituali incomprensibili per l’uomo occidentale e momenti di vero affiatamento comunitario, in cui la “tribù” non sembra in effetti altro che questo, un luogo di ritrovo per persone che hanno la stessa fede. Non si intende con ciò dire che il racconto non sia inquietante, al contrario questo continuo contrasto contribuisce a creare un disagio nello spettatore, un senso di spaesamento dovuto all’incapacità di capire se si stia osservando una comunità di gente intrinsecamente malvagia o semplicemente si stia assistendo ad una comunità intenta a perpetrare attività di entità comunemente ritenuta criminale, ma in un contesto del tutto scevro di cattiveria e maliziosità. Il filo della tensione in Midsommar si gioca tutto sul bilanciamento di questi due aspetti, ed è abilmente equilibrato quasi fino alla fine della pellicola, dove si inizia a pendere un po’ troppo bruscamente in una delle due direzioni. In generale, gli elementi tipici del genere horror “mainstream” mancano quasi totalmente, non ci sono mai “jump-scares” ne giochi di chiaro-scuro o, più genericamente, momenti in cui si sceglie di spaventare lo spettatore con qualche scena inaspettata e sconvolgente, tutto è ampiamente preannunciato e questo, invece che smontare l’ansia, contribuisce a crearla.

C’è un solo aspetto che, purtroppo spesso, non funziona, ed è la psicologia dei personaggi. Sebbene l’intento fosse quello di costruire una vicenda che mettesse a confronto le reazioni psicologiche di personaggi profondamente diversi tra di loro, spesso e volentieri il tentativo di diversificarli, in modo considerevole, gli uni dagli altri, non sortisce l’effetto voluto. La compagnia di amici, in particolare gli uomini, ad inizio film è molto affiatata, si potrebbero tranquillamente definire migliori amici, ma dopo qualche ora a contatto con la comune iniziano già ad osteggiarsi gli uni con gli altri senza un’apparente ragione o, comunque, senza che una ragione venga dichiarata o resa evidente in qualche modo. Nel complesso si ha la sensazione che questo cambiamento sia troppo repentino ed è lo spettatore che, in sostanza, deve costruirsi una ragione per giustificarlo, “psicoanalizzando” i personaggi e immaginandosi che gli eventi straordinari a cui hanno assistito li abbiano condizionati in questo o quel modo e che siano, quindi, alla base dei loro voltafaccia reciproci.

E’ una macchia piuttosto significativa sulla totalità della pellicola perché da la sensazione che, in fin dei conti, Ari Aster si sia concentrato molto più sulla resa estetica del suo Midsommar, che è sublime, piuttosto che sulla costruzione dei suoi personaggi, un aspetto che non è nemmeno lontanamente ad un livello qualitativo similare. In particolar modo in finale di pellicola il momento di “breakdown” del personaggio principale è si visivamente fortissimo, ma approssimativo nel suo sviluppo, approdando ad una scena finale poco partecipata da parte dello spettatore che difficilmente potrà immedesimarsi nel “percorso mentale” dei protagonisti, lasciato molto in superficie. Da questo punto di vista la pellicola lascia un po’ l’amaro in bocca, perché è cosa rara ma sempre apprezzata vedere un film horror dove i personaggi siano ben costruiti e abbiano una convincente psicologia e, col senno di poi, Midsommar – Il villaggio dei dannati sarebbe stato il contenitore perfetto per questo genere di caratterizzazione.