Dev Patel fa il suo esordio alla regia con un film Monkey Man, da lui scritto, molto crudo e violento, estremamente spettacolare ma sopratutto sentito e personale. A supportarlo il regista Jordan Peele, che ha fortemente creduto nella pellicola e ha spinto per portarla sul grande schermo, in quanto destinata alla sola distribuzione su Netflix. Dev Patel, attore britannico di origini indiane, viene principalmente ricordato per il suo ruolo in The Millionaire (2008) di Danny Boyle e in quelli di Saroo nel commovente film biografico Lion – la strada verso casa (2016), nonostante sia stato uno dei protagonisti della prima generazione della serie inglese SKINS. In questo film l’attore veste i panni di un personaggio completamente diverso dai suoi soliti, un vendicatore silenzioso concentrato sulla sua missione, in un thriller d’azione che racconta la vendetta di un uomo contro leader corrotti. Patel ci mostra così un altro aspetto del suo talento recitativo nei panni di un eroe muscolare ma sensibile, che diventa una macchina per uccidere.

Ispirato alla leggenda di Hanuman, simbolo di forza e coraggio, Monkey Man vede Dev Patel nei panni di Kid, un giovane che si guadagna da vivere in un fight club clandestino dove, notte dopo notte, indossando una maschera da gorilla, viene picchiato a sangue da lottatori più famosi in cambio di denaro. Dopo anni di rabbia repressa, Kid scopre un modo per infiltrarsi nell’enclave della sinistra élite della città. Mentre il suo trauma infantile ribolle, le sue mani misteriosamente sfregiate scatenano una esplosiva ondata di vendetta per regolare i conti con gli uomini che gli hanno tolto tutto.

Il film inizia in medias red, con un primo atto che tenta di essere allo stesso tempo introduttivo e criptico, risultando quindi straniante e poco dinamico, ma ben presto le carte in tavola vengono completamente mescolate. Nella seconda parte la pellicola si scatena, diventando più adrenalinica, creando frenetiche sequenze d’azione tra inseguimenti e combattimenti che pur essendo derivativi dal genere di cinema cui appartengono – in stile John Wick e film asiatici come quelli di Kim Ji-woon (Bittersweet Life) o La trilogia della Vendetta di Park Chan-wook, fino all’action di Bollywood – hanno comunque la loro forza e personalità. L’estetica del film è ricercata e affascinante, merito di una fotografia polverosa e sporca che vede la storia destreggiarsi tra locali nei bassifondi, dove combatte Kid, in contrasto con le luci a neon dei nightclub lussuosi dove i ricchi si godono la vita calpestando i poveri, fino a sequenze ambientate all’interno di templi e lungo le strade affollate e caotiche indiane.

Tra battaglie clandestine della malavita, il lusso e la disgustosa corruzione delle élite indiana, la qualità dell’esecuzione delle coreografie di combattimento è impeccabile riuscendo a combinare i canoni hollywoodiani dei migliori franchise d’azione con un’affascinante immersione nella cultura indiana. Grazie ai montatori Dàvid Jancsó e Tim Murrell e alla direttrice della fotografia Sharone Meir, Patel mantiene la macchina da presa libera e fluida, quasi come un altro combattente nella stanza. C’è molto stile, con una camera a mano nervosa, sobbalzante, vertiginosa e transizioni da un’inquadratura all’altra molto rapide, immagini sfocate, luci stroboscopiche e distorsioni visive per instillare un senso di energia e caos, merito anche dei primi piani e primissimi piani costanti. Ottima la colonna sonora che si presta perfettamente a rendere ancora più avvincenti e dinamiche le risse, con musica elettronica in stile house che pompa quasi a rafforzare quanto mostrato su schermo.

Monkey Man non è solo un thriller d’azione, è anche una storia di oppressione, di crescita, superamento del lutto e identità. Patel ha preso modelli d’azione da tutto il mondo del cinema e li ha infusi con una brutalità che non si vede spesso nei film di uno studio di Hollywood. Monkey Man è sanguinoso e intenso. Le ossa si rompono, il sangue sgorga, alcune scene di violenza sono così forti che sembrano reali talmente sono naturali. Dettaglio che fa capire quanto sia stato influente Jordan Peele in fase di produzione e distribuzione di un film che senza il suo aiuto non avrebbe mai visto la sala. Uno dei difetti maggiori è l’abuso dei brevi flashback per mostrare il trauma del protagonista. Questi spezzano la fluidità del racconto e risultano eccessivi. Quasi da subito è chiaro cosa sia successo e la cosa rende superfluo il lungo flashback finale dove viene svelato completamente l’accaduto. Comprensibile la scelta di inserirli anche solo per smorzare l’escalation di violenza ma sarebbero stati decisamente più centrati se mostrati in modo più criptico, meno rivelatori.

In conclusione, l’esordio alla regia di Dev Patel, pur con i suoi difetti, convince. Monkey Man è un film selvaggio e ambizioso, con sequenze di combattimento corpo a corpo di grande impatto e spargimenti di sangue davvero creativi, sottolineati da una colonna sonora energica, una messa in scena frenetica e un utilizzo dell’illuminazione sapiente. Da Bollywood a Hollywood la storia dell’action è costellata di antieroi grigi, quello che distingue il giovane Kid di Patel sono le motivazioni che lo spingono all’azione in un vero e proprio revenge movie che non lascia scampo.


Monkey Man diretto da Dev Patel e prodotto da Jordan Peel è al cinema. Ecco il trailer italiano del film:

RASSEGNA PANORAMICA
Monkey Man
7.5
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monkey-man-bollywood-incontra-john-wick-nel-debutto-registico-di-dev-patel-recensioneL'esordio alla regia di Dev Patel, pur con i suoi difetti, convince. Monkey Man è un film selvaggio e ambizioso, con sequenze di combattimento corpo a corpo di grande impatto e spargimenti di sangue davvero creativi, sottolineati da una colonna sonora energica, una messa in scena frenetica e un utilizzo dell'illuminazione sapiente. Da Bollywood a Hollywood la storia dell'action è costellata di antieroi grigi, quello che distingue il giovane Kid di Patel sono le motivazioni che lo spingono all'azione in un vero e proprio revenge movie che non lascia scampo.

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