In quest’ultima edizione di Lucca Comics & Games, uno degli ospiti più importanti ed attesi è stato sicuramente Naoki Urasawa. L’autore di opere di enorme successo come 20th Century Boys, Monster, Billy Bat, Pluto e il recente Asadora ha risposto alle domande degli addetti al settore durante una conferenza stampa durata all’incirca un’ora, che ha affrontato diversi temi, a volte anche esulando dal mero argomento fumetto.
È un grande onore averla qui, e comincerei con una domanda sulla mia opera preferita, 20th Century boys: si parla di passaggio dalla fanciullezza all’età adulta. Come la sua infanzia ha influenzato la sua vita e la sua arte?
Ho iniziato a disegnare manga a 5 anni, e dagli 8 anni in avanti ho iniziato ad avere uno stile simile a quello che ho ora. A 13 anni ho letto La Fenice del maestro Osamu Tezuka: da quel momento la mia percezione e la mia idea di come si possa realizzare un manga è totalmente cambiata.
A proposito di Tezuka, parliamo di Pluto, la sua versione di una delle storie di Astro Boy. Se potesse scegliere un’altra opera di altri autori, ci sarebbe qualcos’altro che vorrebbe riscrivere e reinterpretare come fatto con Pluto?
No, ne ho abbastanza degli altri autori (risate). Anche quando ho deciso di realizzare Pluto, sono stato malissimo, ho avuto l’orticaria al pensiero di cosa stessi facendo. Ne ho avuto abbastanza (altre risate)
A proposito di Pluto: in che modo si è approcciato all’opera di Tezuka e come ha rielaborato la storia in quella che è la sua versione?
È un argomento molto interessante e divertente: quando ho letto la storia originale avevo cinque anni, l’ho riletta nuovamente a otto, e quando ho realizzato il manga ne avevo quarantatre. Dagli 8 ai 43 non l’ho più letto, ma avevo dei ricordi che ho inserito nella mia versione della storia, per poi rendermi conto che nel manga originale non c’erano, è stato un modo inconscio di rielaborare quello che ricordavo del manga del Sensei Tezuka.
Dopo quest’ultima sfilza di opere di genere thriller e drammatico, è intenzionato a tornare a commedie e sportivi come agli esordi?
Non è che ci stia pensando a disegnare un manga sportivo, anche perché non penso di aver realizzato un manga sportivo con Happy. Nel mio cuore sento di dover realizzare manga a tema più misterioso, come ho sempre fatto.
In tutte le sue opere i personaggi arrivano quasi subito al cuore dei lettori grazie alla sua scrittura. È un dono naturale o si tratta di un lavoro fatto a priori per caratterizzarli in maniera così immediata ed efficace?
Non so se vale come risposta, ma mentre stavo realizzando 20th Century boys, dovevo disegnare la nonna di Kenji. Ci ho provato in mille modi ma non riuscivo a realizzare il personaggio che volevo io. Allora sono andato al supermercato a fare acquisti, alla cassa c’era una signora e mi son detto “è lei”. Quindi posso dire che in un certo modo mi faccio influenzare da quello che vedo intorno a me.
Visto che c’è la costante, come in Stephen King, del “tutto non è mai come sembra”, volevamo sapere se tra le opere di King, ce n’è una che ritiene la sua preferita.
È divertente potervi dire che da vent’anni leggo solo Stephen King. (risate)
E un pochino di Murakami.
Nelle sue opere c’è sempre un connubio abbastanza palese tra fumetto e musica, e sappiamo tutti che la musica è una delle sue grandi passioni: quando e come è nato questo amore ?
Suono la chitarra da quando avevo 13 anni. Dopo aver iniziato a suonare, ho iniziato a scrivere le mie canzoni. Utilizzavo due registratori analogici: sul primo registravo quello che suonavo e, una volta riascoltato, registravo sul secondo dispositivo il punto che ritenevo soddisfacente e poi ripartivo, costantemente alla ricerca di quello che per me era il suono perfetto. Ora che abbiamo tutto in digitale è più semplice, ma usando il sistema analogico, dovevo fermarmi nel momento in cui trovavo il suono perfetto, era tutto più complicato. Per certi versi questo metodo l’ho applicato anche alla realizzazione dei manga.
Nelle sue opere c’è una struttura quasi cinematografica, che usa un sacco di cliffhanger. C’è qualche regista a cui si è ispirato?
Sono tanti i registi da cui ho preso ispirazione, se devo prendere quelli che preferisco, direi sicuramente Kurosawa, Bogdanovic, i Cohen e Wim Wenders.
I personaggi delle sue storie crescono e invecchiano nel corso dell’opera.
Quanto c’è di prestabilito e quanto cambia in corso d’opera per i suoi personaggi?
A questa domanda Urasawa risponde mostrando una pedina del gioco dello Shogi, spiegando che si tratta di una pedina che può muoversi solo in due direzioni.
Questa pedina può andare soltanto qui o qui. Se pensiamo alla pedina come se fosse un personaggio, mi affascina che possa andare solo in posti predefiniti. Anche se volesse andare da un lato, non può. Ecco, io voglio disegnare personaggi che siano come la pedina dello Shogi. Che possano andare solo in alcune direzioni.
Parlando di Monster, il dottor Tenma, a causa di una sua scelta morale, vede la sua vita sconvolta. Ha mai pensato ad una scelta diversa? Cosa pensa della libertà di scelta e del singolo individuo?
Questa è una cosa che ho realizzato ieri durante un’intervista: la mia intenzione non era disegnare una storia che riguardasse il male o persone malvagie. Mi sono focalizzato su Tenma perché volevo raccontare una storia in cui una persona, in base alle sue scelte, in questo caso un dottore, potesse cambiare gli eventi. Voglio anche ringraziarvi perché grazie a queste domande scopro cose a cui non avevo mai pensato.
Le sue opere spaziano tra diversi argomenti e temi, cambiando anche ambientazioni e stili. Ma cosa le piace maggiormente disegnare?
Quello che preferisco è sicuramente disegnare e raccontare la commedia, perché penso che nel cuore degli uomini sia tutto una commedia, al di là degli eventi che poi possono sfociare in dramma o eventi negativi. Quello che preferisco è comunque la commedia. Ad esempio adoro disegnare una persona affamata anche nei momenti più difficili, perché per me questo è l’uomo: anche nel dramma c’è sempre un momento divertente, che rende i personaggi più umani.
Nella costruzione delle sue opere, quanto adatta la sceneggiatura ad una scena o evento che voleva mandare in quella direzione, e come approccia la scrittura in questo senso?
In fase di creazione della storia penso sempre al finale, ma le cose possono cambiare, soprattutto in base alla durata dell’opera. Dal primo capitolo alla fine può succedere che cambi totalmente o parzialmente gli eventi in corso d’opera. Durante lo svolgimento i personaggi e lo scrittore crescono, e a volte succede che il finale non sia sempre quello che ho pensato. Questo succede spesso anche nei film, perché qualche elemento che inizialmente è pensato in un modo, magari viene realizzato in maniera diversa. Inoltre ci sono dei cambiamenti anche in base alle reazioni dei lettori, a cosa hanno apprezzato o meno durante la serializzazione del manga. È qualcosa che mi capita frequentemente, spesso in corso d’opera mi rendo conto di elementi che inizialmente avevo trascurato e che magari diventano fondamentali.
Le piace Lucca? Cosa pensa del festival? Potrebbe mai disegnare qualcosa ambientato a Lucca?
Lucca è bellissima, è un tipo di città che sarebbe bello disegnare. Se decidessi di scrivere una storia ambientata in Europa, sicuramente userei elementi di Lucca… e per questo sto facendo un sacco di foto. (risate)
In alcune sue opere parla di futuro, crescita e nuove generazioni: ha un consiglio che vuole dare alle nuove generazioni, non necessariamente agli aspiranti mangaka?
Parlo da mangaka ma è un discorso che possiamo applicare anche al resto delle persone: scrivere manga è una cosa impegnativa, un lavoro molto duro, ma quello che mi sento di dire è: non cercate di realizzare qualcosa solo per vendere, cercate di fare qualcosa che piace a voi. Così facendo ceerete un punto di partenza per la nuova generazione, creare qualcosa che vende e basta vuol dire realizzare qualcosa che è già stato fatto. Questo è il punto di partenza per le nuove generazioni. Vi porto l’esempio di Monster: quando ho proposto la storia agli editor, mi hanno detto “Ok, ma questa storia non venderà, possiamo darti quattro volumi” Alla fine, la storia è piaciuta così tanto che i volumi sono diventati diciotto. Perché ho realizzato qualcosa che a me piaceva, e non qualcosa che doveva per forza vendere.
Ci sono degli eventi che si ripetono o vengono citati più volte nelle sue opere, ad esempio l’expo di Osaka: sono eventi che hanno caratterizzato la sua vita o fanno parte di un immaginario collettivo a cui attinge? E come mai tutti gli eventi più importanti passano sempre attraverso l’emozione che scaturisce da un pianto?
Sinceramente non ho capito benissimo la domanda. Non mi vengono in mente eventi che si ripetono tra una serie e l’altra. E non mi piace realizzare scene di pianto, tanto che anche quando le realizzo mi dico “cos’è questa cosa?”, e non provo troppa commozione. Però questo discorso mi da uno spunto per raccontarvi qualcosa sull’argomento. Quando ho visto per la prima volta 2001 Odissea nello spazio, la mia prima reazione è stata: “Non ho capito cosa ho appena visto”, eppure, contemporaneamente, la visione del film di Kubrick ha scatenato il mio desiderio di realizzare qualcosa del genere.
In Giappone, quando si scrive un manga, ci sono quattro temi fondamentali che devono essere presenti: amore, divertimento, rabbia e tristezza vanno messi nella storia. In mezzo possiamo inserire altre emozioni, ed è quello che cerco di fare io inserendomi tra i piccoli spazi presenti tra i quattro temi, cercando lo spazio per altre piccole emozioni.
Per esempio, quando realizzo un personaggio che sorride a pieno volto, voglio realizzare più livelli di emozione: immaginate di vedere il sorriso e pensare anche a quanto possa essere triste il personaggio nonostante stia sorridendo. Questo è esattamente quello che cerco di fare io con le emozioni nei miei manga.