[Recensione] Better Call Saul Stagione 4 – La caduta nell'amoralità è completa

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Better Call Saul

L’abbiamo attesa per tanto tempo e quando è arrivata nemmeno ci siamo accorti quanto il tempo stesse passando velocemente guardandola, si sta parlando ovviamente di Better Call Saul Stagione 4.
La serie continua poco tempo dopo la morte di Charles McGill (Michael McKean), con tutti i protagonisti da Howard (Patrick Fabian) a Kim Wexler (Rhea Seehorn) passando per Jimmy (Bob Odenkirk) che stanno affrontando le conseguenze di tale avvenimento con anche l’infamia nascosta al pubblico che Chuck non ha avuto un incidente, ma si è suicidato. Intanto Mike (Jonathan Banks) è entrato a pieno titolo tra i fidati uomini di Gustavo Fring (Giancarlo Esposito) che deve avere a che fare con la famiglia Salamanca e l’unico testimone di quello che ha fatto a Hector, ossia Nacho Varga (Michael Mando).
Come la precedente Terza Stagione, Vince Gilligan e Peter Gould si concentrano su due storyline che seppur partite da un punto comune si sono andate via via distanziando, quelle di Jimmy e Mike. Ora entrambe sono due entità separate che si uniscono in alcuni punti, anche grazie al legame preesistente tra i due personaggi e che verrà poi sviluppato durante gli eventi di Breaking Bad, ossia quando gli spettatori li hanno conosciuti.
Sembrava impossibile realizzare uno spin off di una serie tanto acclamato riuscendo a riscuotere lo stesso successo se non maggiore, ma Better Call Saul ce l’ha fatta soprattutto grazie a due elementi che la serie madre non aveva, l’esperienza di un Gilligan dopo il suo grande successo e lo star power di Bob Odenkirk.
Gli showrunner, che ben ricordano i primi tempi di Breaking Bad stavolta senza scioperi di mezzo e la fiducia più che del network dello spettatore si sono presi il loro tempo per sviluppare Jimmy McGill e gli altri comprimari come Chuck, Howard e Kim nelle prime due stagioni, inserendo qua e là citazioni, personaggi e situazioni figlie di Breaking Bad, così quando nella terza stagione vi è stata l’introduzione graduale di Gus Fring, ossia il misterioso uomo che ha fermato Mike nel season finale della stagione due, non c’è stata una grossa sorpresa per il pubblico che è comunque riuscito a sentire la presenza malevola ed inquietante di un boss criminale in piena regola come Fring. L’attesa dell’arrivo del personaggio è stata probabilmente più appagante della resa di un Gus ancora potente e subdolo negli episodi successivi e che in questa quarta stagione ha veramente superato se stesso in programmazione e spietatezza, il tutto anche grazie alla grandissima interpretazione di Giancarlo Esposito. Sempre sul lato “criminale” della serie abbiamo seguito il dipanarsi delle vicende di Nacho e di Mike, il primo costretto in questa vita ed ormai trascinato così al suo interno che non potrà che uscirne male, il secondo messo nel mezzo per sua scelta ed ora impossibilitato ad uscirne e che sta facendo gli ultimi passi per vedere la sua umanità completamente distrutta. Non c’è neanche da ripeterlo, ma Michael Mando e Jonathan Banks sono quanto di più interessante c’era nel lato più da crime delle prime due stagioni e che continuano a regalare emozioni e prove attoriali eccellenti anche quando ci sono giganti come Esposito in scena.
Per quello che riguarda la parte “legale” ossia le disavventure di Slippin’ Jimmy, si continua a delineare attraverso l’anno “sabbatico” dalla pratica legale di Jimmy la caduta nell’amoralità del personaggio che già era iniziata nella stagione scorsa e che con gli “scherzi” ai danni di Chuck ha portato conseguenze terribilmente devastanti per tutti. Il proto-Saul si muove tra lavoretti, sotterfugi e banchetti con pezzi grossi dello studio di Kim, per riuscire a rimanere dentro, ma dentro a cosa se non può più praticare? Ovviamente tenersi vivo agli occhi dei ben pensanti avvocati di Albuquerqe, New Mexico. Buona parte delle trame relative a Saul vedono appunto Jimmy e il suo rapporto con persone che lo vedono solo in due modi o come l’ex truffaldino o come il fratellino di Chuck e così nel suo voler essere qualcun’altro e nei suoi comportamenti si delinea sempre di più la parlantina e anche la movenza tipica di Saul Goodman, che i fan accaniti di BrBa riconosceranno prendere possesso dell’avvocato McGill già poco dopo l’inizio della stagione, dato che l’effettivo turning point, da cui ormai non si può più sottrarre e che definitivamente ha creato la personalità di Saul è stato superato. Sarà dunque molto importante il personaggio di Kim Wexler che sempre di più diventerà lo specchio inverso di Jimmy e ne metterà in luce i difetti caratteriali e anche di pratica legale, una sorta di immagine “distorta” di Saul, un Saul Goodman che ci sta provando a scrollarsi una certa fama e che forse c’è riuscita.
Una stagione a dir poco piena di avvenimenti e cose grosse, che sempre di più riducono la sottile linea che divide questo prequel dalla serie madre, linea che con la quinta stagione probabilmente verrà pienamente colmata e che fa sperare porti a degna conclusione le vicende.

Dal punto di vista registico Better Call Saul continua a raccontare molto di più tramite le immagini più che i dialoghi, sono le movenze degli attori, la telecamera che li segue e le inquadrature studiate al millimetro che rendono anche l’esperienza di visione così appagante e particolare, sai cosa devi guardare perché non vieni bombardato di informazioni o da elementi che distraggono, minimale è la costruzione dei set che riescono ad essere anche dei palcoscenici dove gli attori possono anche lanciarsi in monologhi e sprezzanti battute, un tocco che Gilligan aveva già ben rodato nei suoi precedenti lavori e che qui trova la sua più alta evoluzione.
Eppure quando fu annunciato che sarebbe stata realizzata una serie su Saul Goodman, prequel di Breaking Bad, tutti erano abbastanza dubbiosi sulla riuscita, la vedevano come un modo per AMC di lucrare ulteriormente sul brand di Breaking Bad;  come fecero dividendo la stagione 5 in due tranche da 8 episodi per tenerla in onda un’anno di più, eppure Vince Gilligan e Bob Odenkirk ci hanno dimostrato che Better Call Saul non solo non ha nulla da invidiare alla sua serie madre, ma che nel delineare la caduta di un uomo nell’amoralità è riuscita ad essere più convincente e a non ripetere gli errori fatti con il personaggio di Walter White. Better Call Saul è in tutto e per tutto il degno successore di Breaking Bad che non lesina su tematiche e nemmeno sulla costruzione dettagliata del set e dell’immagine.