[Recensione] House of Cards Stagione 5 – One Nation Underwood

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“We Make The Terror”

Avevamo lasciato così l’anno scorso gli Underwood e la casa bianca, in mezzo ad una grave crisi e ad una elezione presidenziale piena di intoppi e gestioni non proprio pulite delle campagne tramite i social media. Quest’anno la serie riprende esattamente da quel punto, da quella dichiarazione mettendo al centro sempre di più Frank e Claire e le loro ambizioni spesso contrastanti.

House of Cards è sempre stata una serie che ha guardato al mondo attuale e alla politica sia interna che esterna degli Stati Uniti per trarre ispirazione per le proprie storyline, arrivando spesso ad anticipare di poco degli avvenimenti reali e in questo, questa stagione non fa differenza, per lo meno dal punto di vista dei temi trattati, perché il motore stavolta non è più la politica quanto l’ambizione e il potere di Frank e Claire, quest’ultima sempre più connessa alla politica e sempre più personaggio di spicco nella serie.

Dopo la Terza Stagione abbiamo assistito sempre di più ad una serie che stava cambiando, ed è forse per questo che non abbiamo apprezzato (e mi ci metto anchio nel mucchio) il terzo anno della serie più importante di Netflix, ma ora, al termine di questa Quinta Stagione mi ritrovo a pensare a cosa sarebbe successo se quella Terza Stagione non avesse messo Claire Underwood (Robin Wright) sempre più centrale nella dipanazione delle politiche della serie tv, mi chiedo quanto avrebbe guadagnato in freschezza la serie e mi ritrovo alla conclusione che se House of Cards non avesse preso quella strada ora non sarei qui a parlarvene.

Dal punto di vista delle trame “estere” la Quinta Stagione ha continuato a seguire il filone della lotta al terrorismo e della guerra “fredda” che si stava venendo a creare da ormai 2 anni con la Russia, ma da qui in poi esse iniziano a divergere con l’entrata di nuovi giocatori in campo, come la Siria, e di nuovi personaggi.

Ogni anno la serie ha sempre cercato di rinnovare il cast e le dinamiche interne, prima al congresso e poi alla casa bianca con l’aggiunta di sempre nuovi giocatori in favore dell’estromissione di quelli  vecchi, e questa stagione non ha fatto differenza, infatti fanno la loro entrata prima molto in sordina nella parte iniziale della stagione i personaggi di Jane Davis (Patricia Clarkson) e Mark Usher (Campbell Scott), i quali giocano anche un ruolo importante nelle trame relative alle elezioni presidenziali e all’impeachment che Frank (Kevin Spacey) sta subendo per opera del congressista Alex Romero (James Martinez).

Vengono sempre di più messi in disparte personaggi come Will Conway (Joel Kinnaman), che aveva l’unico utilità di risultare una sorta di contro altare a Frank, un politico sveglio e giovane di sani principi che però non è riuscito a reggere il peso della politica ad un livello così alto e ha dovuto adeguarsi e sporcarsi le mani, certamente mai quanto gli altri personaggi come Seth Grayson (Derek Cecil), Doug Stamper (Michael Kelly) e Le Ann Harvey (Neve Campbell), segnando dunque un ulteriore cambiamento per la serie che aveva fatto di questi personaggi negli ultimi 3 anni un ampio uso sopratutto a livello di diversificazione delle storyline atta a creare più intrighi anche interni alla stessa linea gerarchica statunitense.

Il lavoro svolto da tutti gli attori protagonisti, ma sopratutto da Kevin Spacey e Robin Wright è ammirabile, House of Cards infatti ha sempre potuto vantare interpreti di grande spessore e ottime capacità per tutte le sue cinque stagioni rendendo spesso quei giri a vuoto che la serie compiva interessanti da seguire solamente per gli attori che riuscivano a dare allo spettatore il senso di avere uno scopo nonostante alla fine spesso si risolvessero in poco o nulla.

Ma se proprio devo trovare un problema, purtroppo non da poco, a questa stagione non lo cerco negli attori o nella regia. Quest’ultima infatti è sempre di livello e con una costruzione mirata a generare tensione nello spettatore, specie quando gli Underwood sono in scena; Essi infatti riempiono solo con la loro presenza l’intera scena, rendendo piccoli gli altri personaggi. Il problema risiede invece nel numero di puntate. Può sembrare un problema comune che affligge molte serie tv di Netflix, a parte una manciata come Narcos, che infatti è più breve rispetto alle canoniche serie da 13 episodi. Perché proprio riuscire a creare sempre tante storie da riempire una stagione non è facile quando si è ancorati ad argomenti spinosi e sempre di interesse come la politica e per quanto Spacey possa bucare lo schermo e ci possano essere questioni di carattere internazionale ad occupare la scena, o per quanto la regia possa essere sorprendente, spesso si ha l’impressione a torto o a ragione che la serie prenda tempo; arrivati a metà della stagione sembravano veramente pochi i cambiamenti non prevedibili o le storyline non ormai già fuori dalla porta ed è un vero peccato perché le prime stagioni della serie avevano gestito molto meglio l’intero aspetto politico del congresso ed è come se la casa bianca stessa rappresentasse un ostacolo per scrivere di determinati argomenti, e magari lo è anche, ma questo non giustifica la pesantezza che certe puntate avevano nonostante fossero anche più corte, quindi si aveva quasi l’impressione appunto di star vedendo un riempitivo, un peccato per una serie del genere che dovrebbe fare dell’intreccio uno dei suoi punti di forza.

Tra l’altro proprio gli episodi iniziali, centrali e finali a mio parere risultano i più interessanti e appaganti, perché fanno uscire tutta la bastardaggine di Claire e la bravura della Wright che nelle ultime due stagioni è riuscita sempre di più a far uscire il suo personaggio dall’ombra di Francis donando un punto di arrivo anche alla first lady, che è sempre stata vista come esterna alle politiche e che quindi ribalta anche la scena reale che si è dipinta nel “nostro” mondo.

Segnalo anche che le ultime due puntate le dirige abilmente proprio Robin Wright, che con mano ferma, impostando probabilmente il tono e la fotografia che la Sesta Stagione assumerà dopo il colpo di scena dei primi minuti dell’episodio 13, che ci regalano dei grandi momenti come solo House of Cards era capace ai tempi d’oro.

Insomma la domanda che vi state facendo tutti ora immagino sia: ma quindi siamo tornati ai vecchi fasti? Non ancora, ma le carte in tavola sono state rimescolate, nuovi personaggi sono stati inseriti, gli equilibri internazionali non sono più ancorati alla realtà e dopo le libertà prese in questa stagione penso che la sesta potrà solo beneficiare del nuovo vento e del nuovo assetto politico di Washington. Quindi sì, finalmente dopo un pò di tempo sono curioso di vedere come continuerà House of Cards.