[Recensione] Jumanji: Benvenuti nella giungla – Il gioco si è evoluto

0
jumanji

Jumanji, un gioco che sa trasportar chi questo mondo vuol lasciar“.
Tutti abbiamo visto almeno una volta “Jumanji“, tutti abbiamo sentito pronunciare questa misteriosa frase. Chi al cinema, chi durante uno di quei noiosi pomeriggi passati a fare zapping in tv e magari chi, come il sottoscritto, ha ricevuto in regalo la cassetta del film, ormai dimenticata in qualche scatolone nascosto in chissà quale angolo dello sgabuzzino.
La pellicola con Robin Williams, e una giovanissima Kirsten Dunst, è divenuta una sorta di cult degli anni ’90. Un simbolo di un tipo di cinema ormai superato e avvolto da una certa aura nostalgica.

Jumanji

All’annuncio di “Jumanji: Benvenuti nella giungla”, molti si sono chiesti se effettivamente ci fosse la necessità di un altro film su una storia che non aveva più nulla da dire e se, soprattutto, questo sarebbe stato un remake in chiave contemporanea o semplicemente un sequel.
Bene, possiamo dirvi con certezza che questo film è un sequel, ma il giudizio sulla sua utilità sta solamente a voi. Sicuramente erano davvero in pochi quelli che volevano un seguito, quasi nessuno a dire la verità, e la sua uscita pone in evidenza anche un altro grosso problema, ovvero la crisi di idee che colpisce Hollywood da anni a questa parte.
Comunque sia, non è quel disastro che molti pronosticavano, soprattutto se consideriamo il target a cui è rivolto e le premesse che fanno da base alla storia.
Questa è molto lineare, semplice e, per certi versi, banale: quattro studenti (due ragazzi e due ragazze) si ritrovano, per motivi diversi, a dover scontare una punizione. Per puro caso, trovano una vecchia console con un gioco inserito al suo interno: Jumanji. I protagonisti verranno così trasportati all’interno di esso, divenendo gli avatar che avevano scelto all’avvio (mantenendo però la propria personalità), e per poter tornare indietro saranno costretti a superare vari livelli pieni di insidie.
Dunque, questo seguito si discosta notevolmente dal suo predecessore, sia come stile (ovviamente adatto al pubblico di oggi) che come trama in sé. In quello originale era infatti il “gioco” ad entrare nella nostra realtà, mentre in questo accade l’esatto contrario.

Per quanto l’idea di base sia discretamente interessante, la sceneggiatura non offre alcun tipo di spunto accattivante. Si limita infatti a far spostare i protagonisti da un punto “a” ad un punto “b”, ma la cosa può essere giustificata dal fatto che in fin dei conti l’avventura si svolge in un ambiente ludico, con le proprie regole e una semplicità data dalla natura del gioco stesso. Non sono assenti alcune incoerenze col film precedente (anche se le citazioni a quest’ultimo sono ben contestualizzate) e punti specifici che forse sarebbe stato meglio spiegare, anche se la scelta di mantenere il mistero su Jumanji non è totalmente sbagliata. Il ritmo è incalzante, non ci sono scene noiose e il tutto scorre molto bene, grazie anche a delle buone scene action, che tuttavia tolgono spazio ad una fase esplorativa quasi assente, ma che se gestita bene avrebbe potuto migliorare il tutto. I momenti comici sono pesantemente presenti e se alcune gag sono particolarmente riuscite, altre sono invece ripetitive e inutili, dettaglio che potrebbe infastidire qualcuno, un difetto ormai presente in molti film dello stesso genere.
Gli studenti sono caratterizzati secondo precisi stereotipi che esaltano i punti di forza e le debolezze di ognuno, ma che al contempo li mettono in contrasto l’uno con l’altro. Al contrario, quando impersonano i personaggi giocabili c’è un parziale stravolgimento, anche se abbastanza telefonato: fisicamente sono l’opposto di ciò che erano prima, ma mantengono le stesse caratteristiche caratteriali, pur “evolvendo” in qualche modo per via di una situazione che li costringe a maturare per poter collaborare al meglio.
Per poter attraversare i livelli, dovranno infatti sfruttare le proprie abilità peculiari, controbilanciate da specifici punti deboli, e aiutarsi l’uno con l’altro. Quest’ultimo aspetto risulta essere abbastanza riuscito e l’alchimia del gruppetto è ben bilanciata, pur non presentando nulla di nuovo e particolarmente memorabile.
Il cattivo della situazione ha una caratterizzazione unicamente superficiale ed è ancora più piatto di quello del primo film, rientrando comunque nello standard dei villain poco approfonditi scritti col solo scopo di fare da “movente”al protagonista. Esteticamente è abbastanza curato, ma anche in questo caso è un qualcosa di già visto.

Le performance attoriali sono tutte abbastanza buone, tra cui spicca quella di un Jack Black (Professor Shelly Oberon) in grado di strappare più di un sorriso, facilitato anche dalle caratteristiche del suo personaggio. Dwayne “The Rock” Johnson (Dr. Smolder Bravestone) a conti fatti recita lo stesso ruolo di sempre, ma anche qui fa il suo, così come Kevin Hart (Moose Finbar) e Karen Gillan (Ruby Roundhouse). Discreti anche i giovani attori (Alex Wolff, Madison Iseman, Morgan Turner e Ser’Darius Blane) che interpretano i quattro malcapitati nelle loro vesti reali.

La regia di Jake Kasdan è tutto sommato sufficiente, non è particolarmente ricercata e non offre alcun tipo di guizzo in grado di esaltarla. È molto semplice, classica, ma si comporta generalmente bene, in particolare nelle scene action, che sono comprensibili e abbastanza divertenti da vedere. Stesso discorso per la fotografia, molto pulita, che si adatta bene al tipo di regia e alla scenografia, soprattutto nei momenti diurni.
La CGI è sufficiente, ha i suoi difetti, ma non sono così vistosi come accade con produzioni sicuramente più “importanti” ed attese, anche se si potrebbe (e dovrebbe) fare di meglio.
Il comparto sonoro è nella norma e risulta essere migliore nei momenti di pura azione, in particolare con le divertenti scene legate al personaggio interpretato da Karen Gillan.
Tutto il comparto tecnico è dunque buono, tenendo in mente il tipo di film che è e il target a cui è rivolto, ma non è affatto esente da difetti, anche se passano sicuramente in secondo piano e non sono evidentissimi.

In conclusione, “Jumanji: Benvenuti nella giungla” potrebbe intrattenere e divertire più o meno tutti, soprattutto i più piccoli, anche se non è certamente un prodotto minimamente innovativo e al tempo stesso non aggiunge nulla al film precedente. Le citazioni all’originale ci sono e sicuramente vi faranno sorridere, ma se vi aspettate un sequel con dinamiche simili a quelle del primo capitolo, forse rimarrete delusi. Il cinema di oggi è diverso da quello di allora, si è adattato ad un pubblico e ad un mercato diversi, e perciò sarebbe stato impossibile vedere un seguito sulla falsariga del primo “Jumanji”.

Il film uscirà nelle sale italiane il primo gennaio e, come sempre, vi consigliamo di andare voi stessi per farvi un’idea della pellicola.