[Recensione] Nick Cave – Mercy On Me, la biografia a fumetti del cantautore australiano

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Che lo conosciate semplicemente per la sigla di Peaky Blinders che, per la cronaca, si intitola Red Right Hand- o che ne siate fan sfegatati da anni, qualcosa di Nick Cave, celebre cantautore australiano che ha spaziato dal post-punk al folk, colpisce immediatamente l’occhio… e l’orecchio: la sua innata “oscurità”.

Lasciate che mi spieghi meglio: coi suoi capelli corvini ordinatamente tirati indietro, gli occhi seri e perennemente infossati, le giacche scure alla Johnny Cash e la sua voce cavernosa, Cave sembra nato per raccontare storie di morte, emarginazione, rabbia e violenza. Storie oscure. Storie nere. Nere come i disegni di Mercy On Me, fumetto biografico dedicato proprio alla sua vita, edito da Bao Publishing, scritto ed illustrato dal tedesco Reinhard Kleist, già celebre per altre graphic novel come Lovecraft, Il Pugile Cash: I See a Darkness ed Elvis: Eine Illustrierte Biografie. Insomma, è chiaro che Kleist non sia proprio nuovo alla trattazione di figure dalla vita in perenne bilico tra luce ed ombra… ed in Mercy On Me, questa sua naturale predisposizione è più che mai evidente.

Ma chi è Nick Cave? Questa domanda potrebbe far rabbrividire molti appassionati di musica, ma è legittimo spiegarlo per tutti coloro che non sono familiari con la figura. Come già anticipato, Nick Cave è un cantautore australiano che si è cimentato in vari generi, dagli inizi più ruvidi e rockettari con i Boys Next Door e i The Birthday Party, fino a trovare una nicchia più cupa e privata con i Nick Cave & the Bad Seeds, una nicchia fatta di country, gospel e folk; ma il suo talento di scrittore lo ha portato a spaziare ben al di là della sola musica, ed infatti Cave ha pubblicato numerose poesie, due romanzi ed ha firmato ben tre sceneggiature cinematografiche (tra cui spiccano titoli come La Proposta e Lawless, entrambi diretti da John Hillcoat). Per addentrarsi nei meandri di questa mente oscura e misteriosa, Kleist decide di partire proprio dal principio, mostrandoci il giovane Nick che dai sogni rock’n’roll innocenti di teenager passa al sudore e l’euforia dei locali punk, accompagnandolo infine lungo la sua tortuosa carriera musicale, costellata di delusioni, successi, droghe e molto altro, condensando abilmente il tutto in un totale di cinque capitoli.

Ed è proprio in questa suddivisione che sta l’elemento di vera originalità della graphic novel. Ogni capitolo viene infatti introdotto dal titolo di una canzone firmata da Cave -tranne il terzo, And the Ass saw the Angel, che prende il nome dal suo primo romanzo, pubblicato nel 1989- ed il narratore non è un’entità onnisciente che osserva le vicende con distacco, né il cantautore stesso che scava nel suo passato: sono proprio i protagonisti delle canzoni citate a raccontare gli avvenimenti. E se già questo sembra un elemento singolare ed affascinante, la ciliegina sulla torta è un’altra: i personaggi non si riferiscono al lettore, ma parlano direttamente con il loro creatore, con Nick Cave, con quell’uomo che è per loro come una divinità, che ha scritto della loro vita e, con una semplice pressione della penna sul foglio bianco, ha sancito la loro inevitabile morte. Paragonano la loro esistenza infelice a quella complicata del loro inventore.

Sì, esistenze infelici, perché non c’è gioia nelle parole dei protagonisti dei brani: il giovane cowboy di The Hammer Song giace agonizzante sotto le fronde di un albero e riflette con amarezza sull’ineluttabilità della sua fine, la bella Elisa Day sogna di un amore che finirà per trascinarla nella tomba, il muto Euchrid fugge da coloro che lo credono un mostro, il colpevole di The Mercy Seat continua a sostenere la propria innocenza prima di essere legato alla sedia elettrica. Sono tutte storie che si possono leggere nei testi oscuri di Cave, ma qua le dinamiche sono del tutto diverse, spiazzanti: qua tutti questi drammi non si ascoltano semplicemente, ma si vedono, si tangono, si vivono. Ed ogni dramma equivale ad un momento difficile nel percorso di formazione dell’artista: ogni personaggio riflette la difficoltà di Nick a confrontarsi con la vita, con la sua durezza, con le sue regole. Ogni personaggio odia Cave, ma al tempo stesso è una parte di lui. Ironico, no? E perfetto per rappresentare la frustrazione di un giovane ribelle che si fa spazio in un mondo che non riesce a capire… e che, d’altronde, si rifiuta di capirlo a sua volta.

Insomma, in questo guazzabuglio di emozioni e frustrazioni, è evidente che la trama non risulti “lineare”… ma questo perché, chiaramente, non vuole esserlo. Mercy On Me, più che una cernita attenta e cronologica degli avvenimenti nella vita dell’artista, che comunque descrive con un buon margine di dettagli, vuole essere un viaggio onirico nelle paure e nei dolori di un semplice uomo dalle mille sfumature e colori, colori che finiscono per confluire in un’unica tonalità: quella del nero, buio come la notte. Ma lasciando un attimo da parte queste riflessioni pseudo-filosofiche, passiamo ad un aspetto più “nerd” -almeno per tutti coloro che amano la musica- della graphic novel: apprezzabili sono infatti le numerosissime citazioni musicali, che spaziano dal post-punk dei primi anni Ottanta, divertente come ad esempio vengano derisi i Joy Division, cosa che Cave fece davvero anche in delle interviste ai tempi dei The Birthday Party, passando per l’underground della Berlino divisa dal Muro, fino ad arrivare al country oscuro di Johnny Cash, figura che a cui certamente Cave deve non poco.

L’unica pecca, se proprio se ne vuole trovare una, sono le poche e brevi citazioni in tedesco, che risultano però prevalentemente sgrammaticate, ma è una piccolezza quasi impossibile da notare -sono io che, dopo cinque anni di linguistico, tendo a rompere un po’ le scatole. Perché si tratta di errori che niente tolgono a questo viaggio volutamente grottesco e coinvolgente: un’odissea psicologica e musicale capace di appassionare sia chi Cave lo conosce già da un po’, sia coloro che magari intendono avvicinarsi a questa figura. Insomma, se lo scopo finale era quella di affascinare, Kleist può dire di aver centrato pienamente il bersaglio… ma, in fondo, non è una novità, no?

Chi riesce mai a resistere al fascino dell’oscurità?