Paper Girls – Le giovani eternaute di Brian K. Vaughan e Cliff Chiang | Recensione

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Paper Girls

Stony Stream, Cleveland 1 Novembre 1988, Erin Tieng, una nuova residente della cittadina, è una paper delivery girl alle prime armi, e durante una sessione di consegna notturna incontra Mac, KJ e Tiffany, un gruppo di amiche e colleghe che invitano Erin ad unirsi a loro. Le ragazze di lì a poco verranno presto attaccate da un gruppo di adolescenti del futuro, troveranno una macchina del tempo in un seminterrato, verranno coinvolte in una guerra del tempo, saliranno su giganteschi mecha, affronteranno mostri e dinosauri, e ovviamente viaggeranno anche nel tempo. Il tutto senza nemmeno aver ancora fatto veramente amicizia. Paper Girls è una serie a fumetti della Image Comics e pubblicata in Italia da Bao Publishing in 6 volumi brossurati, scritta da Brian K. Vaughan, disegnata da Cliff Chiang e colorata da Matt Wilson, e quello che avete letto sopra ne è sia l’incipit che la trama (niente paura, non vi abbiamo fatto spoiler). Paper Girls infatti è quella roba lì, e purtroppo poco altro.

Colpito dalla febbre degli anni 80 che sta contagiando qualunque tipo di media al giorno d’oggi, vedi IT, Rise Of The Teenage Mutant Ninja Turtles, The Meg, Glow e sopratutto Stranger Things.Il pluripremiato autore di Saga, Brian K. Vaughan scrive una storia che omaggia in tutto ciò che può gli anni ottanta, nei quali tanto lo scrittore, tanto il disegnatore sono cresciuti. In Paper Girls infatti tutto è una citazione agli anni ottanta, e Vaughan si diverte molto nell’inserire, nei dialoghi tra i personaggi o nei contesti narrativi, continue strizzate d’occhio al lettore, e che esso abbia vissuto gli anni ottanta o no cambia poi veramente poco, poiché grazie a questa 80’s fever tutti sappiamo benissimo com’erano gli anni ottanta, o come questo genere di storie vogliono farceli sembrare quantomeno. Allora Paper Girls è lo Stranger Things dei fumetti? No. Paper Girls è purtroppo una storia che ha certamente una buona idea alla sua radice, ma che si perde nelle modalità con cui quest’idea viene sviluppata. Il fumetto pecca infatti, nella trama e nell’eccessiva velocità con cui questa viene narrata, e ciò si ripercuote ovviamente anche sui personaggi, sulle relazioni che intercorrono tra loro e sulle situazioni che vivono. Tutto è narrato troppo velocemente e con troppa semplicità. L’autore non si preoccupa mai di dare spessore alle situazioni che mette in scena, il tutto infatti sembra banale e decisamente poco realistico, quasi senz’anima o senza una reale immedesimazione nei personaggi.

La parte invece più interessante di Paper Girls è quello che viene evidenziato da ciò che succede alle giovani protagoniste dell’opera nei loro viaggi temporali. Durante la serie infatti, le ragazze sono spesso (e di solito, involontariamente) disperse nel tempo, viaggiando tra il 1988, il 2000, il 2016 e le ere più lontane del passato e del futuro. Mentre viaggiano nel tempo, incontrano versioni future di loro stesse e sono costrette a fare i conti con chi diventeranno in futuro. Identità sessuali che si modificheranno inaspettatamente, vite lavorative più o meno realizzate, e aspettative di vita diverse da quelle immaginate negli anni ottanta sono gli altri grandi nemici con cui il gruppo di ragazze dovrà fare i conti.

Se c’è però un aspetto nel quale Paper Girls eccelle, quello è relativo alla componente più prettamente grafica. Le tavole di Cliff Chang sono ampie e freschissime, e riescono a rappresentare al meglio ogni epoca nella quale la storia si va muovendo. Una menzione straordinaria poi, va fatta ai colori di Matt Wilson, che gioca con colori pastello e toni bluastri, sfumando al meglio questi ultimi durante le situazioni, e adattando dunque la propria palette a stati d’animo e azione diverse.

In definitiva Paper Girls è un fumetto che potremmo definire buono, con un ottima idea di fondo e un comparto grafico di primissimo ordine, ma che soffre in troppi punti, di una narrazione eccessivamente superficiale e veloce, e di uno sviluppo dei personaggi totalmente piatto, il che deve per forza di cose farcelo valutare come mediocre. Peccato, perché con questi autori si poteva fare davvero molto ma molto di più.