[Recensione] Ray Donovan Stagione 5 – La morte aleggia sui Donovan

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Ray Donovan, l’anno scorso, ci aveva lasciato con un finale di stagione in cui si respirava un’aria da chiusura di serie… Un finale “felice,” nonostante le terribili disgrazie che hanno accompagnato la vita di Raymond e della sua famiglia, ha degnamente concluso quella che si è rivelata essere una delle stagioni più importanti per la serie. Ma mai nessuno avrebbe immaginato un inizio tanto doloroso per Ray dopo un happy ending tanto ben delineato.

La stagione 5 inizia con Ray Donovan (Liev Schreiber) costretto dalla corte a frequentare degli incontri per persone con problemi di rabbia repressa, il tutto come conseguenza di una rissa al suo bar (una rissa “familiare”). Intanto Mickey (Jon Voight), Bunchy (Dash Mihok) e Daryll (Pooch Hall) si stanno preparando per il matrimonio tra Terry (Eddie Marsan) e Maureen (Tara Buck) , Bridget (Kerris Dorsey) e Connor (Devon Bagby) invece sono andati via da LA, la sposa è ora a New York mentre lo sposo si trova all’accademia militare, deciso a provare qualcosa al proprio padre.

La famiglia Donovan, che avevamo visto felice e unita nella scorsa stagione, si sta dunque sgretolando sotto al peso della morte di Abby (Paula Malcomson), su cui aleggia, per buona parte della stagione, un’alone di mistero. Gli sceneggiatori, in questi primi episodi, hanno utilizzato una tecnica ormai diffusa nella serialità televisiva, tecnica sdoganata da True Detective, ma che, per esempio è stata usata anche in serie TV di più largo consumo, ossia “l’intreccio temporale” tra presente e passato. Questi momenti sono stati realizzati con perizia e senza sotterfugi stupidi (qui non c’è nessun cerotto), il che si evince dal fatto che si riesce benissimo a capire quando una situazione a cui stiamo assistendo sia precedente all’incidente del bar e quando invece sia successiva. Di tale espediente narrativo non è stavo fatto abuso, cosa che, potenzialmente, avrebbe potuto rendere confusionarie le semplici ma efficaci dinamiche della serie, scegliendo di impostare la maggior parte delle puntate sulla base di tale intreccio ma, al contrario, l’utilizzo ben dosato di tale struttura non ha fatto altro che rendere ancor più intrigante, poetica e misteriosa la sorte di un personaggio che, ammettiamolo, odiavamo tutti.

L’atmosfera idilliaca è quindi surclassata da un mix di morte e disperazione che, sin dai primi minuti, impregna la vita di chi è rimasto, una vita che va avanti senza che qualcuno indichi la direzione da seguire, senza Ray. Per anni abbiamo visto il protagonista, interpretato da Schreiber, sbagliare e correggere i suoi errori, senza mai vacillare o finire in un baratro troppo profondo, Raymond non viaggia sulla linea sottile che divide bene e male, egli E’ la linea che separa bene e male. Tuttavia, ora Ray è ormai un uomo distrutto che si trascina, sempre di più stanco, verso una non precisata meta, quasi a rappresentare il declino dell’uomo stesso, in un turbinio di scelte sbagliate, segno di un’ormai assente capacità di giudizio. Emblematico il poster della stagione con il volto di Ray Donovan spaccato a metà, come il suo animo, ormai in pezzi.

Inevitabilmente però questa stagione ha dovuto fare i conti con una scelta narrativa di ardua gestione, ossia la decentralizzazione del proprio personaggio principale in favore delle linee di trama dei comprimari che, col procedere delle puntate, sembravano appunto aver acquisito la capacità di evolvere a prescindere dalla presenza del protagonista. A supporto di tale espediente narrativo, è stata anche l’abilità di un attore del calibro di Jon Voight, la cui presenza comunque iniziava a divenire ingombrante tanto da tornare, involontariamente, ad essere fautore delle disgrazie della propria famiglia che, senza Ray, cade a pezzi a causa di Mickey (come del resto era già successo) che lasciando libero il suo lato criminale di “Southie,” getterà su tutto e tutti un velo di caos.

Questa nuova stagione porta con se anche due nuovi personaggi: Natalie James, nuova fiamma del nostro riparatore e “damigella in pericolo” (ma anche ultimo collegamento con la defunta moglie  Abby), e Samantha “Sam” Winslow, imprenditrice pronta a tutto per mantenere il potere. Entrambe hanno fondamentalmente lo stesso scopo, ovvero, gettare ancor più terra sulla metaforica tomba morale di Ray che, proprio sul finire della stagione, si lascia completamente andare al suo ruolo di villain.

Una stagione necessaria, a mio avviso, gestita nel migliore dei modi dagli scrittori e che, in un certo senso, rappresenta la chiusura di un percorso per il personaggio interpretato da Liev Schreiber che, tuttavia, si ritrova immerso in un mare di nuove possibilità. Un nuovo cast di comprimari, nuovi scenari e, molto probabilmente, nuove sfide per un Ray Donovan ormai del tutto abbandonato al proprio lato “gangster.”

Per quello che riguarda le interpretazioni, siamo sempre di fronte a delle ottime performance attoriali, sopratutto per quanto riguarda Schreiber e Voight che si riconfermano due forze inarrestabili a cui, nel bene o nel male, gravitano intorno tutti gli altri personaggi.

La parte tecnica è assolutamente di prim’ordine, una regia virtuosa sostenuta da una fotografia studiata, in grado di mettere in evidenza lo stato d’animo del  protagonista con una serie di inquadrature costruite a doc, rendono la serie una “corridoio pieno di quadri appesi” dove ogni singola tela è in grado di raccontarci per interno la storia della serie, una storia fatta di declino e aberrazione morale.

In definitiva non ricorderò questa stagione di Ray Donovan come la migliore, ma non la ritengo una stagione frustrante e noiosa, anzi, ho trovato giusto dare il tempo a tutti i personaggi di raggiungere quella che sembra, per alcuni, una chiusura e, per altri, un nuovo inizio. Forse non avrei decentralizzato troppo il personaggio di Raymond, cosa che ha decisamente penalizzato il blocco iniziale di episodi, ma non mi pento di dire: sotto con la prossima, perché dalla prossima cambia tutto e, si spera, in meglio.