[Recensione] Ready Player One – Riscrivere un (nuovo) Classico

0
Ready Player One

Otto anni fa (sette, per noi Italiani) veniva pubblicato “Ready Player One“, opera prima del santo nerd Ernest Cline. Il romanzo in questione (di cui potete leggere la recensione qui) si rivelò essere un trattato sulla cultura pop nata e divenuta leggenda tra gli anni ’70 e i ’90 abilmente camuffato da romanzo d’avventura in salsa sci-fi.
Del libro, divenuto in breve tempo un “nuovo classico” delle letteratura di genere, fu immediatamente annunciato un adattamento cinematografico (i diritti furono venduti addirittura prima della pubblicazione). Il lungometraggio sarebbe stato diretto da un amico dell’autore: nientemeno che Steven Spielberg (che in realtà fu confermato solo nel Marzo del 2015, la produzione propose il film anche a Christopher NolanRobert Zemeckis, Matthew VaughnEdgar Wright e Peter Jackson) e sceneggiato dallo stesso Cline, al quale in seguito è stato affiancato Zak Penn.

Nonostante gli elementi sopracitati rappresentino solo una parte della troupe, possiamo già capire quanto potenziale fosse insito nella trasposizione del romanzo di Cline fin dai primi giorni successivi all’acquisto dei diritti, quando la lavorazione era ben lontana dall’entrare in un set.
Otto anni di attesa, una troupe composta da pesi massimi del mondo del cinema e l’autore del media originale alla sceneggiatura, Ready Player One è dunque una perfetta trasposizione del romanzo da cui prende il titolo?

No, non lo è.

Ready Player OneReady Player One non è la trasposizione perfetta del media da cui trae ispirazione, bensì ne è una sorta di reboot ristretto, un po’ come accadde per il film tratto dalla saga di “Scott Pilgrim” ma con qualche differenza.
Essendo questa una recensione e non un confronto tra film e libro, le differenze tra i due media non verranno messe al centro del discorso, anche perché ciò potrebbe essere oggetto di un futuro articolo (*occhiolino*).

Tutta via, alla luce di quanto detto poc’anzi, due domande sorgono spontanee: in assenza di tutti quei riferimenti alla cultura pop che, incastrandosi perfettamente tra loro, fanno funzionare il libro alla perfezione, il film starebbe in piedi da solo? Dopotutto, il libro spende pagine e pagine parlando di minuscoli dettagli tratti da film, serie TV e videogiochi degli anni ’80, molti punti chiave della trama richiedono ai protagonisti di avere una conoscenza enciclopedica di quell’epoca. La narrazione del film ci avrebbe proposto lo stesso menù?

Ready Player One

Per entrambe le domande, la risposta è no. La versione di Ready Player One targata Spielberg è frenetica, colorata e divertente. Il film è pieno zeppo di richiami a decenni di film, videogiochi e serie TV, ma Spielberg li utilizza principalmente per creare l’atmosfera di un mondo ossessionato dalla cultura pop (qualcuno ha parlato di “realismo”? Cosa potrebbe esserci di più realistico di questo?!).
Il film prende le ampie sfumature del libro, unitamente ai messaggi di fondo che Cline diffondeva attraverso i suoi personaggi, adattando il tutto per rendere la “nostalgia funzionale” un vero e proprio ambiente in cui si svolge l’avventura e non una semplice stampella narrativa. Il risultato è un grande tributo al tema sci-fi della fuga dalla realtà che, ironia della sorte, diventa meno coinvolgente proprio in quei momenti in cui il film non ci mostra la realtà virtuale.

Ready Player OneReady Player One è, incontrovertibilmente, un film d’azione progettato per mettere l’azione davanti a tutto il resto. Per arrivare immediatamente a ciò, tutto quel che serve al pubblico per capire dove, come, quando e perché accade ciò che appare a schermo, viene proposto in modo chirurgicamente e prudentemente veloce attraverso la narrazione. Nei primi cinque minuti di film lo spettatore sa già tutto quel che deve sapere su questo mondo: è l’anno 2045 e tutti, letteralmente tutti, sfuggono ad un futuro derelitto collegandosi a un mondo virtuale chiamato OASIS. Mentre guardiamo il nostro eroe, Wade Watts (Tye Sheridan), meglio conosciuto con il suo nickname: Parzival, calarsi dalla sua casa in cima a un parco roulotte verticale (“le cataste”) fino al nascondiglio dove si connette indisturbato, vediamo i suoi vicini di casa che, già connessi alla rete, mimano vari compiti, coordinati con qualsiasi cosa stiano facendo i loro personaggi nel mondo virtuale.

Ready Player One

È buffo, sia nell’esecuzione che nella premessa che così tante persone utilizzino i controlli di movimento (ciò a dimostrare che la Nintendo ha fatto scuola anche nel lontano futuro distopico) per compiti così diversi tra loro. Ma, scambiando la VR di un ipotetico futuro con gli smartphone di oggi, non sembra più così assurdo…

Come ogni singolo trailer del film ha chiarito più volte: il MacGuffin di Ready Player One è “l’Easter Egg.” Sul suo letto di morte, il creatore di OASIS, James Halliday (Mark Rylance), ha lanciato una mastodontica caccia al tesoro, il cui campo di gioco è nientemeno che l’intero multi-verso virtuale. Vincendo tre prove che conducono a tre chiavi si arriva all’Egg e al premio che ne consegue: il controllo di OASIS, la proprietà dell’azienda di Halliday e del patrimonio legato ad essa. Parzival è un “gunter”, abbreviazione di “Egg Hunter” (cioè qualcuno che caccia l’Easter Egg). A spalleggiare il protagonista fin dall’inizio troviamo Aech (Lena Waithe) e poco dopo, grazie ad un incontro casuale, la famosa gunter Art3mis (Olivia Cooke). Parzival diverrà il primo gunter a vincere la prima sfida di Halliday, subito seguito da Art3mis e Aech che insieme a Daito (Win Morisaki) e Sho (Philip Zhao) formeranno gli “high five” ovvero i cinque gunter con il punteggio più alto di OASIS.

Ready Player One

Parzival gareggia contro Nolan Sorrento (Ben Mendelsohn), CEO della Innovative Online Industries (IOI che si pronuncia eye-oh-eye), azienda leader nella produzione di apparecchiature VR. La IOI è una corporazione ridicolmente malvagia che, usando eserciti di giocatori (a volte contro la loro volontà), tenta di risolvere le sfide dell’Egg, con l’obiettivo di possedere OASIS per poterlo monetizzare a suon di pubblicità e micro-transazioni.
Sorrento cerca di relazionarsi con Watts attraverso riferimenti cinematografici, usando una squadra di “storici” che si sforzano di imparare tutto sui giochi e sui film preferiti di Halliday. (Per inciso, perché chiunque creerebbe un hardware che ti consenta di percepire con brutale precisione un calcio virtuale ad altezza inguine, va oltre la mia comprensione… ma, ehi, questa è una società mooooolto malvagia…).
Il primo confronto verbale tra l’eroe e il villain, preme l’acceleratore sul fattore nostalgia mettendo in evidenza come anche la struttura del film, alcuni dei personaggi, degli espedienti di trama e altro ancora, siano chiaramente ispirati a molte pellicole degli anni ’80.

Ready Player OneAl di fuori di Watts/Parzival, Halliday e forse Sorrento, il cast di supporto sembra proprio questo: il supporto. In particolare, Art3mis e Aech sono evidentemente sotto-sfruttati e poco valorizzati, specie considerando la bellezza dei risicati momenti del film in cui hanno un po di risalto e centralità.
Come abbiamo già detto, è nel mondo reale dove i sopracitati colori del film diventano grigi e smorti. Per un film che punta a parlare di come l’interazione digitale non sia necessariamente significativa, la chimica del mondo reale tra Parzival e Art3mis sembra affrettata al punto di sembrare un ingiustificato appagamento del desiderio. Al contrario, la loro connessione (eheh, nel senso affettivo, non internettiano… ok, forse questa fa ridere solo me…) digitale sembra più dettagliata e significativa.

Ma, in fondo, il film non parla del mondo reale. Ready Player One parla dell’evasione dalla realtà, parla di OASIS e ogni scena nel mondo virtuale è una gioia per gli occhi.

Ready Player One

L’attenzione al dettaglio rende anche momenti minori, come guardare i personaggi passare in rassegna il loro inventario, stranamente avvincente. Non sorprende che molti giocatori scelgano di usare “skin” (l’aspetto) di personaggi di giochi come Street Fighter o Halo per personalizzare i propri avatar, o che gli elementi di gioco facciano riferimento a pietra miliari degli anni ’70 e ’80 come “Schoolhouse Rock” e “Monty Python e il Santo Graal“. Ciò che sorprende è come il tutto si incastri alla perfezione, non tanto a livello narrativo (del resto c’è l’autore del media originale alla sceneggiatura), quanto a livello visivo: personaggi, elementi e ambientazioni provenienti da periodi e media differenti, si amalgamano alle perfezione tra loro risultando credibili ma, nel contempo, mantenendo una propria individualità visiva.
Rimanendo in tema di “amalgama vincente”: menzione d’onore alla colonna sonora di Alan Silvestri che, oltre a riproporre l’iconico sound di “Ritorno al Futuro“, ha approntato un mix anni ’80 degno delle migliori compilation su musicassetta, mettendo insieme: Rush, Depeche Mode, Van Halen, A-Ha e molti altri ancora.

Di tutti i messaggi sociali e i significati profondi proposti dal libro e trasposti nel film, Spielberg vuole dare risalto in particolare al modo in cui sottovalutiamo l’interazione umana, cercando rifugio e via di fuga attraverso la tecnologia. E’ buffo che, alla luce di ciò, il look virtuale così meraviglioso vinca a mani basse contro una realtà proposta in modo tetro e desolante.

Ready Player One, più di ogni altra cosa, è un film progettato per essere spettacolare, per far dire “wow” agli spettatori e per farli saltare sulla poltrona. In tutto ciò, ha pienamente successo.