[Recensione] Sognare è Vivere – Natalie (non) ci vuole bene?

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Credo che in pochi non conoscano Natalie Portman, quantomeno come attrice. Ne è passato di tempo dal suo esordio cinematografico, Léon di Luc Besson, nel 1994 quando era a malapena tredicenne. Non sono mancate in questi 23 anni varie prove del suo talento attoriale, avendo avuto la possibilità di lavorare con registi come Terence Malick (Knight of Cups), Tim Burton (Mars Attacks!), Darren Aronofsky (Il Cigno Nero) o Woody Allen (Tutti Dicono I Love You).
In pratica potrei passare ore intere a descrivere ogni pellicola che abbia visto la sua partecipazione, nel bene e nel male (si…non mi sono scordato di Padme!), tuttavia non è questo il punto della recensione. Oggi infatti si parla della Portman sotto una veste diversa, più seriosa, e decisamente inusuale: la regista.

Natalie Portman

Sognare è Vivere, o in originale Tale of Love and Darkness, è una pellicola del 2015. Solo ora dopo ben due anni, seguendo l’esempio di diversi paesi del mondo, è arrivata anche da noi. Davvero un peccato, sinceramente mi sarei aspettato una maggiore attenzione verso il debutto registico ufficiale della Portman, anche si fosse trattato di una zozzeria immonda. Ammetto che da parte mia, sino a pochi minuti prima della visione, la curiosità era davvero alle stelle, specie dando una sbirciatina al soggetto del film, legato a doppio/triplo filo con la terra natia dell’attrice (una ricerca su Wikipedia, no?).
Ma piantiamola di lasciarvi sulle spine…recensiamo!

Comincia tutto con una mano e un racconto.

Tale of Love and Darkness è prima d’ogni cosa un adattamento “personale” dell’omonimo romanzo autobiografico dell’Israeliano Amos Oz. Il libro racconta, dal punto di vista del giovane autore, pezzi della sua infanzia, della sua vita a Gerusalemme con i due genitori (Fania e Arieh) e incontri importanti sino al trauma che ricevette a 12 anni, mentre nello sfondo si possono notare i cambiamenti, le guerre e i vari eventi che portarono alla nascita dello stato di Israele. Di certo non il materiale per il film più entusiasmante mai girato, tuttavia con il giusto regista una storia del genere potrebbe risultare godibile, commovente e interessante (recuperatevi Polanski!).
Quindi…come è il film?

Un ritratto familiare

Il debutto della Portman, lo dirò senza mezzi termini, è stato sia una sorpresa quanto una serie di pallonate nell’inguine alternate. Mi spiego meglio.
Come già il libro prima del film, la storia in questione viene raccontata in maniera spezzettata, dando l’impressione di star vedendo tante vicende che si intrecciano e sovrappongono. Vengono intervallate scene del “presente” del film e scene riflessione (spesso con voce narrante) ad altre scene “simil-oniriche”. Queste ultime compongono la parte della pellicola più “artistica”, trattandosi della rappresentazione delle storie raccontate dalla madre Fania, spesso con soggetto la propria giovinezza, strani individui incontrati o semplici miti e leggende, racconti con dei finali assai cruenti o tristi.
Questa continua alternanza di scene è sottolineata da due fatti piuttosto eclatanti. Anzitutto la presenza dopo ogni scena clou, di una doppia dissolvenza a nero, gesto che sembra voler sottolineare quanto il film sia costruito a compartimenti stagni (o sia stato creato per le pubblicità su History Channel). D’altro canto c’è il ben più concreto sentimento, appena finita la pellicola, di non aver capito quale fosse il punto, l’obbiettivo della storia.

Ok, tutto bello e legittimo…ma cosa significa?

A questo punto vorrei davvero invitarvi alla visione, anche solo per confermare quanto ho appena detto.

Punto cardine della pellicola è sicuramente il cast di personaggi, molto essenziale e capace e…particolare. Ho già nominato in precedenza il nucleo familiare che avremo come protagonista. Nel descrivere questi tre individui non posso che rimanere stupito davanti a certe caratterizzazioni. Da un lato abbiamo il piccolo Amos (Amir Tessler), osservatore primario di ogni vicenda della pellicola, dall’altro Fania, protagonista vera della storia (interpretata dalla stessa Portman). Ho trovato piuttosto strano, a tratti persino inquietante, il loro rapporto. Vorrei evitare di scendere in sordidi dettagli (complesso di Edipo, salvami tu), vi basti sapere che sono presenti determinate scene in cui avremo l’impressione che madre e figlio si scambino ruolo (e non so voi, dubito che un bambino di 10 anni possa avere determinate cognizioni). Tuttavia potrebbe trattarsi di una mia semplice impressione.

Io non dico niente…

A ricevere minor caratterizzazione è invece il padre Arieh (Gilad Kahana), rappresentato come freddo, assente o addirittura ingenuo rispetto alla sua famiglia. A colpire maggiormente perà è il suo idealismo e le sue credenze politiche.
Sono inoltre presenti altri personaggi di contorno (di cui non citerò i nomi, dato che la stessa pellicola dà molti di questi per scontati), come le sorelle di Fania, il fratello di Arieh, i nonni di Amos, che figurano maggiormente come esterni rispetto ai momenti familiari più concitati e boccata d’aria fresca a seguito delle scene più pesanti. Bisogna comunque dire che, sebbene la scrittura non convinca fino in fondo, il cast degli attori svolge un lavoro davvero egregio.

COLORE! COLORI!
Buon effetto. UCCELLI! BIRDS!

Parlando del lato più strettamente tecnico, il mio stupore è davvero tanto. Alla sua prima opera, la neo-regista dimostra un certo gusto nella creazione di inquadrature e sequenze, pur perdendosi in certe scelte che hanno del paradossale. Ho già citato ad esempio la dissolvenza a nero, tipica dei film TV, elemento che rompe completamente, di volta in volta, il ritmo della pellicola. Sono imbarazzanti persino i momenti in simil-slow-motion accompagnati da voce narrante, che preferiscono raccontarci un dettaglio, piuttosto che mostrarcelo.

Papà curioso!

Stupisce invece la presenza di soggettive e inquadrature di ampio respiro (frutto sicuramente di un buon obbiettivo grandangolare). Ottime anche le scenografie (appartenenti alla vera Gerusalemme) e i costumi d’epoca.
Ultima citazione per il doppiaggio italiano, generalmente buono e senza fronzoli. Per chi non lo sapesse infatti, la pellicola è stata girata interamente in lingua ebraica.

Cosa posso dire per concludere quest’analisi?
Natalie Portman ha aspettato ben 8 anni per scrivere un’adattamento cinematografico del libro di Amos (di cui aveva ottenuto i diritti proprio nel 2007) e ci sono voluti altri 2 anni perché questa pellicola arrivasse in Italia.
Da un lato, come ho già spiegato, colpisce il gusto registico della Portman, non perfetto ma capace di dare vita a immagini interessanti. D’altro canto non posso che essere perplesso. Non convincono del tutto i personaggi, sebbene un cast capace, e nemmeno il ritmo del film, settato perennemente su “lacrima movie”/”film sull’olocausto con fotografia grigia”. Ciò che posso dire è che, difetti a parte, questo potrebbe essere un discreto debutto per una nuova regista, capace in futuro di donarci perle interessanti e, si spera, molto meno pesanti di Sognare è Vivere.