[Recensione] 1993: La Serie – Ogni rivoluzione ha un prezzo

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Dopo il grande successo della prima stagione, quasi 10 episodi di riscaldamento nonostante il pathos nel ricreare le scene che hanno segnato l’inizio della fine della prima Repubblica, torna 1992 e lo fa cambiando cifra finale, trasformandosi quindi in quel 1993 che risultò essere l’anno cruciale del famoso processo “Tangentopoli“, il secondo capitolo dell’ambizioso progetto di Sky nato da un’idea di Stefano Accorsi sulla fine della prima Repubblica e sulla nascita delle nuove forze politiche, una su tutte Forza Italia. La prima stagione, 1992, uscita nel 2015, ha messo la pulce nell’orecchio agli spettatori, introducendo i personaggi fittizi, calati nel contesto storico, da ottimo romanzo storico, e dando il via alla trama, ma questo 1993 amplia e conferma quanto accaduto in precedenza, conferendo ai personaggi una sorta di karma interno, che li ripaga per quanto accaduto in precedenza, rendendo 1993 una serie potente sia dal punto di vista dei temi trattati che da quello della narrazione; in futuro (tra un paio d’anni?) si arriverà a 1994, la resa dei conti e la nascita della seconda Repubblica, ovvero, la nascita del futuro.

Nella serie ritornano tutti i personaggi della prima stagione: il pubblicitario Leonardo Notte (Stefano Accorsi, alle prese con gli scheletri nell’armadio che continuano a perseguitarlo, la soubrette Veronica Castello (Miriam Leone), spietata arrampicatrice sociale in cerca di successo, il burbero leghista Pietro Bosco (Guido Caprino) catapultato in un mondo, quello politico, più grande di lui, l’ereditiera Bibi Mainaghi (Tea Falco) alle prese con la gestione dell’azienda di famiglia insieme al fratello Zeno e il collaboratore di Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi), il poliziotto Luca Pastore (Domenico Diele) che, contro la sua salute precaria cercherà di dare ma forte alle indagini del pool di Mani Pulite, accanto a due new entry, che diventeranno presto due dei protagonisti della seconda Repubblica, Silvio Berlusconi, interpretato da Paolo Pierobon, il Da Silva di Squadra Antimafia, e Massimo D’Alema, interpretato dal grande Vinicio Marchioni, il Freddo di Romanzo Criminale.

1993 si apre col botto, con un ritmo ed una regia anche superiori a quella della serie che l’ha preceduto, conferendo maggior spessore anche ai personaggi più marginali e catapultando lo spettatore nell’anno che ha più segnato l’odierna situazione politica del nostro paese, per colpa di atti, ottimamente reinscenati, come i numerosi attentati ed il requiem politico di Bettino Craxi all’hotel Raphael, rispecchiando inoltre nei personaggi fittizi i numerosi vizi, più che le scarne virtù, della popolazione italiana degli anni ’90, fatta di amore per il palcoscenico, arrivismo e subdoli giochi di potere: pericolosi sintomi di una società malata. Proseguendo poi col botto, date le ricostruzioni dell’attentato di via Fauro a Maurizio Costanzo e delle autobombe di Roma e Milano del luglio 1993, la serie non crolla nel ritmo, anzi, riesce ad essere magnetica ed emozionante, con continui colpi di scena e rivelazioni, sino allo spettacolare finale, che ci presenta nuove sfide e nuovi orizzonti per i nostri personaggi.

Gli attori, per quanto lontani dall’essere fenomenali, si dilettano egregiamente nel loro ruolo, specialmente l’ottimo Guido Caprino, coadiuvato da una costruzione eccellente del personaggio e dalla splendida storyline dell’esperienza della Lega a Palazzo Chigi nel turbine di Tangentopoli, ma anche la new entry Laura Chiatti riesce in una buonissima performance accanto all’ormai possenza attoriale di Stefano Accorsi. Ridimensionato il ruolo di Tea Falco, forse unico grande difetto della prima stagione: criticatissima in lungo e in largo, la giovane attrice è apparsa spesso svogliata, bolsa e a disagio nel ruolo, nonostante sensibili miglioramenti recitativi, perciò quest’importante riduzione dello screen time risulta funzionale sia per l’attrice che per il prodotto in toto. Grandissima prova d’attore anche per Domenico Diele, le cui doti recitative si confanno particolarmente per le sequenze più sperimentali della regia di Giuseppe Gagliardi, con numerosi riferimenti stilistici a Breaking Bad e a Mad Men, due delle serie che hanno scuola negli ultimi 10 anni di produzione televisiva.

La serie possiede inoltre una decisa e particolare impronta musicale grazie alle colonne sonore originali di Boosta, nome d’arte di Davide Dileo, tastierista e fondatore dei Subsonica, la cui abilità si può notare sin dalle prime note della potentissima, innovativa, sigla dai toni elettronici. Il comparto musicale, per il resto, è fornito di brani provenienti dal repertorio musicale dell’epoca: 883, Duran Duran e The Jam fanno da sfondo all’emozionante dramma di 1993, la nuova serie che non potete perdervi per alcun motivo.